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Le mafie sono cambiate: l’antimafia deve fare lo stesso

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Il numero dei Comuni sciolti per infiltrazione impone una riflessione sulla normativa, ma non basta. Politica e cittadini devono fare la loro parte. La rubrica di Pierpaolo Romani

Tratto da Altreconomia 249 — Giugno 2022

Le mafie sono cambiate. L’antimafia non può rimanere la stessa. Sulla base di questo principio, il 29 e 30 aprile a Roma Libera (libera.it) ha organizzato una nuova edizione di Contromafiecorruzione, a cui hanno partecipato attivisti, amministratori locali, giornalisti, studenti, sindacalisti e rappresentanti delle istituzioni. La due giorni è stata preceduta da 44 incontri tematici, trattati in 11 gruppi di lavoro. Avviso Pubblico ha coordinato quello sul tema “Mafie e politica”, lavorando insieme a Gian Carlo Caselli, già procuratore di Palermo e di Torino. A questo gruppo di lavoro sono intervenuti: lo scrittore Enzo Ciconte, l’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi, il ricercatore in Sociologia dei fenomeni politici Vittorio Mete, il presidente di Avviso Pubblico, Roberto Montà.

La riflessione sul tema “Mafie e politica” è partita da un principio: non ci può essere mafia senza rapporti con la politica, ma ci può essere una politica senza rapporti con la mafia. Per ragionare di un tema così complesso si è partiti dal dossierLe mani sulle città” curato dall’Osservatorio parlamentare di Avviso Pubblico che analizza il fenomeno dei Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose in Italia dal 1991 ad oggi. I dati fanno riflettere: 270 Comuni e sei Asl sciolte in trent’anni; 72 Comuni più di una volta. Gli enti sciolti nel 2021 sono stati 14 e sono già tre quelli oggetto di questo provvedimento nel 2022 (Castellamare di Stabia e Torre Annunziata in Campania; Trinitapoli in Puglia).

Nel 2021, sono stati 92 gli amministratori locali e 111 i dipendenti della pubblica amministrazione coinvolti in processi di scioglimento dei Comuni. Sono dati che impongono una riflessione sulla legge promulgata nel 1991. Trent’anni fa, le mafie esibivano con maggiore intensità la loro violenza mentre oggi operano sempre di più con una logica d’impresa, riducendo il ricorso alle armi e aumentando quello della corruzione, anche in ambito politico. Un mondo quest’ultimo, dove non esiste più soltanto la logica per cui sono le mafie a offrire voti, ma sono sempre di più i candidati a chiedere loro stessi voti ai boss o cosche che candidano persone organiche al mondo criminale.

Sono 270 i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa in Italia dal 1991 a oggi. A questi si sommano sei Aziende sanitarie locali, collocate tra Campania e Calabria.

Parlare del rapporto tra mafie e politica ha spinto Avviso Pubblico e Libera a riflettere sul ruolo dei partiti politici, compagini che negli ultimi tre decenni si sono trasformate da movimenti di massa a movimenti legati a singoli leader. Manca ancora in Italia, e urge approvarla, una legge che traduca il contenuto dell’articolo 49 della Costituzione e che definisca in modo puntuale cosa sono e come devono agire i partiti, che preveda meccanismi di funzionamento realmente democratici al loro interno, che fornisca criteri rigorosi per effettuare la scelta dei candidati, che assicuri la trasparenza dei finanziamenti e degli impieghi delle risorse.

Serve ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti, cancellato sull’onda della rabbiosa reazione agli scandali emersi con Tangentopoli. Se non vi è un sostegno pubblico alla politica (adeguatamente controllato e rendicontato) di fatto viene meno il principio per il quale tutti possono concorrere per essere eletti in un’assemblea in cui si prendono decisioni che avranno un impatto sulla collettività. Rompere il rapporto tra mafie e politica significa anche preoccuparsi della formazione dei cittadini e delle cittadine -a partire dai giovani- della promozione e della diffusione di una cultura della cittadinanza responsabile, di operare per ridurre il più possibile l’astensionismo e aumentare la disponibilità a candidarsi. Andare a votare ed essere disponibili a candidarsi presuppongono l’esistenza di una politica credibile. Un compito che riguarda tutti, non soltanto qualcuno.

Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie

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