Diritti / Opinioni
Le disparità di trattamento dei profughi sono un segnale preoccupante
Da diritto universale l’asilo rischia di trasformarsi in una “concessione” da elargire o meno. Nessuno è al sicuro. La rubrica di Gianfranco Schiavone
Mentre scrivo questa riflessione (il 12 marzo 2022) il numero dei profughi in fuga dall’Ucraina e arrivati in Polonia ha già superato il milione: più di due terzi di tutti gli sfollati ucraini arrivati nell’Unione europea. E aumenterà. La Polonia, più di ogni altro Stato dell’Ue è dunque sottoposta a una pressione fortissima e va sostenuta. Nello stesso Paese sulla stessa linea di confine -più a Nord, dove inizia la Bielorussia- un numero minuscolo di rifugiati, per loro sciagura non europei ma provenienti da Afghanistan, Iraq e Pakistan, continuano però a essere respinti sistematicamente in violazione delle leggi europee e internazionali sul diritto d’asilo. Mentre i pochissimi rifugiati che si trovano in Polonia (circa 1.500) sono detenuti in centri fatiscenti.
Il governo attuale del Paese dove 80 anni fa sorsero la maggior parte dei campi di sterminio nazisti, ha scelto proprio il 26 gennaio 2022 (giorno che precede la ricorrenza della Giornata della memoria) per avviare la costruzione di un muro di 186 chilometri lungo il confine con la Bielorussia. Con lo scopo di difendere il territorio polacco dall’invasione dei rifugiati “strumentalizzati” dal regime di Aljaksandr Lukašėnka e usati come “armi ibride” verso l’Europa.
Dalle violazioni del diritto europeo al confine polacco, mai condannate dalle istituzioni europee, fino alla proposta di rivedere il sistema d’asilo in Europa il passo è stato fulmineo. Il 14 dicembre 2021 la Commissione europea ha infatti presentato al Parlamento Ue una proposta di nuovo Regolamento per “gestire efficacemente le frontiere esterne dell’Ue” quando “un Paese terzo istiga flussi migratori irregolari verso l’Unione incoraggiando attivamente o facilitando lo spostamento di cittadini di paesi terzi verso le frontiere esterne […] e la natura di tali azioni può mettere a rischio funzioni essenziali dello Stato”.
Chi scrive ritiene che la strumentalizzazione dei migranti e dei rifugiati da parte di regimi autoritari che usano il dramma delle persone in fuga per propri scopi politici contro l’Europa sia una strategia di politica internazionale con la quale dovremo fare i conti sempre di più in futuro. Anzi già da ora, guardando proprio alla crisi ucraina in atto, poiché è chiaro che scaraventare una massa di profughi verso l’Europa è parte integrante della strategia della guerra di aggressione condotta dalla Russia. La gravità estrema delle proposte avanzate dalla Commissione non sta dunque nel voler affrontare un serio problema di politica internazionale bensì nel volere modificare le leggi fondamentali della Ue per trasformare le vittime della strumentalizzazione in “armi ibride”, inserendole così nella categoria del nemico e pensando che la loro strumentalizzazione si combatta negando alle vittime ogni protezione e respingendole con ogni mezzo. Proprio mentre si consumava la crisi al confine polacco/bielorusso, il 19 novembre 2021 il ministro dell’Interno di Kiev minacciava di aprire il fuoco contro i migranti “illegali” spinti dalla Russia verso l’Ucraina attraverso la Bielorussia e, forse per non sentirsi da meno di altri politici europei, annunciava la costruzione di un muro lungo 2.500 chilometri.
Le macroscopiche contraddizioni che la nostra epoca ci sta consegnando non vanno lette solo come una spregevole diversità di trattamento tra situazioni simili, bensì come un segnale di qualcosa di molto più grave. La risposta al dilemma della strumentalizzazione dei flussi di rifugiati o si risolve confermando la scelta della inviolabilità dei diritti umani fondamentali che l’ordinamento statale è solo chiamato a riconoscere e a tutelare, o si risolve attuando un gigantesco arretramento storico che degrada tali diritti a concessioni da elargirsi o meno da parte del potere politico del momento. Il sistema internazionale dei diritti umani è recente e fragile ed è un fatto triste ma non sorprendente che venga violato in gran parte del mondo; ma è inquietante che la sua demolizione avvenga anche laddove più dovrebbe essere protetto, l’Europa. Se l’attuale scenario di regressione avanzerà ancora, nessuno potrà più dirsi al sicuro: né il profugo ucraino che oggi fugge e forse verrà ancora accolto, né l’afghano di nuovo respinto, né ognuno di noi.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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