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Le brigate di volontari che creano nuove reti di solidarietà a Milano
Nate nel marzo 2020 per rispondere ai primi bisogni inascoltati della pandemia, non hanno interrotto i loro interventi nei quartieri e li hanno differenziati. Dalla distribuzione di cibo al supporto psicologico, hanno avviato cure mutualistiche
Pasta, olio, biscotti, passata di pomodoro e carne in scatola. Con gesti veloci e precisi gli attivisti dell’associazione Mutuo soccorso Milano compongono le cassette destinate agli abitanti di alcuni complessi di case popolari nella periferia Nord-Est di Milano. In una fredda mattina di inizio gennaio, uomini e donne di diverse età si affacciano alla porta del magazzino: a fine giornata i pacchi alimentari consegnati saranno un’ottantina. Ma i giovani attivisti non si limitano alla distribuzione di cibo: “Abbiamo avviato un piccolo corso di teatro, che coinvolge sia chi prepara i pacchi sia chi viene a prenderli -spiega Ilaria-. E se ci sono ricorrenze particolari organizziamo qualche evento, come abbiamo fatto in occasione del Natale”.
L’associazione è nata a fine 2020 per iniziativa di quegli stessi ragazzi e ragazze che allo scoppio della pandemia da Covid-19 avevano dato vita alla “Brigata Lena-Modotti” (intitolata a due partigiane milanesi, Lena d’Ambrosio e Tina Modotti) e si erano attivati per distribuire generi alimentari durante il primo lockdown. “Inizialmente siamo entrati a far parte del progetto ‘Milano aiuta’ organizzato dal Comune per portare generi alimentari a chi non poteva uscire di casa per fare la spesa. Poi abbiamo iniziato a raccogliere cibo e distribuirlo a chi, non potendo lavorare, non aveva nulla da portare in tavola”, racconta Sergio Marchese, uno degli attivisti.
Con il passare delle settimane la brigata ha organizzato diverse attività che continuano ancora oggi: la distribuzione di pasti caldi alle persone senza dimora, il recupero e la lavorazione di prodotti alimentari invenduti (principalmente frutta e verdura) e la gestione di un Gas per avvicinare anche la popolazione meno abbiente ai prodotti biologici e sostenibili. Continua anche la distribuzione di generi alimentari, sebbene con forme diverse: “Abbiamo deciso di strutturarci e svolgere un’azione più mirata. Abbiamo selezionato tre complessi di case popolari con situazioni particolarmente difficili: distribuiamo cassette di cibo ma il nostro lavoro mira soprattutto a creare reti di solidarietà che coinvolgano anche gli abitanti in un’ottica mutualistica”, spiega Marchese.
Nati durante i mesi dell’emergenza Covid-19 per dare una risposta ai bisogni dei più fragili, diversi gruppi di volontari non si sono sciolti con la fine del lockdown. “Nel corso di questi due anni ne sono nati più di trenta: alcuni hanno interrotto l’attività, altri si sono fusi tra loro mentre quelli ancora attivi oggi sono una ventina”, spiega Ivan Bonnin, coordinatore delle Brigate volontarie di Milano, una rete nata per coordinare le realtà presenti sul territorio cittadino e che collabora con Emergency per la distribuzione di generi alimentari nell’ambito del progetto “Nessuno escluso”. “Quella delle brigate è stata un’esperienza che ha saputo mobilitare molte persone, soprattutto tra i più giovani: dal marzo 2020 all’inizio del 2022 abbiamo registrato circa 1.200 volontari e volontarie, quelli ancora attivi con regolarità sono circa 300”.
Dare numeri precisi è difficile anche perché molte brigate si organizzano in autonomia. Alcune operano all’interno di un quartiere ben definito, altre estendono il proprio raggio d’azione su tutta la città concentrandosi su un tema ben preciso. È il caso, ad esempio, della Brigata Basaglia, che offre ascolto e supporto psicologico, o della Brigata Kulishoff che in questi mesi ha portato avanti il progetto “Tampone sospeso”. “Dopo una prima fase più tumultuosa abbiamo capito che siamo qui per restare, ma non ci immaginiamo più come una realtà che si rimbocca le maniche solo in caso di emergenza ma che opera in modo sistematico e continuativo”, sottolinea Bonnin.
Se alcune brigate sono nate da zero allo scoppio della pandemia, altre invece hanno potuto contare fin dall’inizio su un forte radicamento sul territorio. È il caso, ad esempio della Brigata Vargas, nata a Quarto Oggiaro per iniziativa degli attivisti di “Spazio baluardo” che da 16 anni portano avanti iniziative nel quartiere: “Prima del Covid-19 facevamo educativa di strada per minori e abbiamo un progetto per la messa alla prova di un gruppo di detenuti che oggi coinvolge 13 persone, tutte residenti nel quartiere”, racconta il coordinatore Aaron Paradiso.
Oltre alla distribuzione di generi alimentari, la brigata ha ampliato il proprio raggio d’azione dando vita (in collaborazione con altre associazioni) a un “segretariato sociale”: uno spazio informale dove gli abitanti della zona possono trovare aiuto per risolvere piccoli e grandi problemi burocratici, chiedere supporto psicologico o una consulenza legale. “Una delle emergenze più gravi che stiamo affrontando è quella della casa: molte persone che si rivolgono a noi, in particolare giovani donne con figli, si sono viste bloccata l’assegnazione della casa popolare per errori burocratici -spiega Paradiso-. Negli ultimi due anni si sono cementati i rapporti tra di noi della brigata: diverse persone che hanno terminato il percorso di messa alla prova sono rimasti ad aiutarci. E stiamo pianificando nuovi interventi sul territorio per la sistemazione di alcune aree del quartiere e per organizzare attività ludico-ricreative per i ragazzi”.
Chi invece ha iniziato da zero l’attività allo scoppio dell’emergenza Covid-19 sono “le Lie”: gli attivisti della brigata intitolata alla partigiana Lia (nome di battaglia di Gina Galeotti Bianchi) che opera in tutto il Municipio 9. Beatrice Ruffini, una delle attiviste, elenca le attività svolte dal gruppo: oltre a proseguire la distribuzione di generi alimentari, la brigata ha organizzato una piccola scuola di italiano, la raccolta di abiti e libri usati e ha intenzione di avviare un percorso di emancipazione digitale “per fornire a chiunque sia interessato le basi per un uso consapevole e critico degli strumenti digitali, in un’ottica di mutuo supporto e confronto aperto”, spiega Ruffini. Che insiste in particolare sulla volontà della brigata di superare la distinzione tra “volontari” e “beneficiari”.
“Puntiamo a creare una realtà di cura mutualistica: vogliamo che i nostri ‘beneficiari’ entrino a far parte di una rete sociale e territoriale attiva per dare una risposta ai bisogni di tutti. Non è un obiettivo facile da raggiungere, è necessario che entrambe le parti si mettano in gioco -conclude-. Servirà del tempo, certamente, ma siamo convinti che ci sia un grande potenziale in questo modo di fare attivismo”.
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