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Le armi europee e la violenza in Messico. Il ruolo della filiale Usa di Beretta

Agenti di polizia a Città del Messico © Timothy Neesam, via Flickr

Negli ultimi dieci anni più di due omicidi su tre nel Paese sono stati compiuti con armi prodotte da aziende europee che vengono utilizzate dalle polizie. Ma una quota rilevante di fucili e pistole arriva nelle mani dei cartelli sfruttando i punti deboli della legislazione (Usa e Ue). Il report della Rete europea contro il commercio di armi

Le armi leggere continuano ad alimentare la violenza in Messico e contribuiscono a serie violazioni dei diritti umani a danno della popolazione civile. In particolare, tra il 2012 e il 2021 più di due omicidi su tre sono stati compiuti con armi da fuoco -fucili e pistole- che in quasi tutti i casi sono state prodotte in Europa o negli Stati Uniti.

A lanciare nuovamente l’allarme -ponendo l’accento soprattutto sulla responsabilità delle aziende europee- è l’European network against arms trade (Enaat) che a metà luglio ha pubblicato un rapporto in cui ha dato conto dell’esito di una missione svolta nel Paese latinoamericano a febbraio 2023 cui hanno partecipato anche l’associazione tedesca Ohne rüstung leben e la Rete italiana pace e disarmo. L’iniziativa è stata organizzata dalla coalizione “Stop Us arms to Mexico” con il supporto della Mexican commission for the defense and promotion of human rights.

Il punto di partenza sono i dati relativi all’export di armi leggere: tra il 2006 e il 2018 le aziende europee avrebbero venduto più di 200mila armi da fuoco alle forze di polizia di 32 Stati messicani. Più della metà erano state prodotte da due sole aziende: l’italiana Beretta e l’austriaca Glock. “Durante quel periodo -si legge nel report– il numero degli episodi di violenza commessi dalle forze di polizie e di omicidi sono aumentati in maniera drammatica”. Secondo le stime contenute nel documento, a partire dal 2010 la violenza armata ha causato la morte di oltre 217mila persone e la sparizione forzata di oltre 111mila.

Anche in uno dei casi più emblematici della condizione di violenza endemica in cui versa il Messico, la scomparsa e l’omicidio dei 43 studenti a Ayotzinapa del settembre 2014, sono state utilizzate armi Made in Europe: in particolare, i reparti della polizia municipale accusati di aver attaccato gli autobus su cui viaggiavano gli studenti avrebbero imbracciato 73 fucili d’assalto Beretta e svariati fucili d’assalto dell’azienda tedesca Heckler & Koch.

A tutto questo si aggiunge il traffico illegale. “Le armi Beretta sono finite anche nel mercato mercato nero -continua il report-. Tra il 2010 e il 2020, più di 2.700 armi illegali recuperate dalle autorità messicane sono state identificate come italiane”. Le autorità messicane hanno inoltre riferito di aver ritrovato sulle scene di diversi crimini 180 armi prodotte dalla società belga FN Herstal: tra questi anche tre modelli in uso alle forze di polizia, in particolare l’FN Five-SeveN i cui colpi sono in grado di perforare i giubbotti antiproiettile da una distanza di 200 metri. Un terzo caso riguarda la tedesca Heckler & Koch (H&K) che tra il 2006 e il 2009 avrebbe esportato diecimila fucili d’assalto G36 destinati ufficialmente alle forze di polizia.

Numeri importanti che mettono in luce le falle delle legislazioni europee, incapaci di arginare il flusso di fucili, pistole e munizioni che alimenta la violenza in Messico. Sebbene a partire dal 2018 ci sia stata una riduzione significativa del numero di licenze e autorizzazioni all’export da parte di diversi Paesi Ue, le tre organizzazioni stimano che in soli tre anni (dal 2019 al 2021) il Paese latinoamericano abbia importato più di 125mila armi leggere prodotte da aziende europee facendo ricorso a due diverse strategie.

Da un lato pistole e fucili vengono venduti per “uso privato”, ad esempio per la caccia o per la pratica sportiva per le quali è prevista una normativa meno stringente. Dall’altro le armi leggere (ma anche fucili d’assalto e mitra) raggiungono il Messico dopo essere transitati per Paesi terzi. Non è dunque un caso che le principali aziende produttrici europee abbiano dato vita a filiali o impianti produttivi negli Stati Uniti: le armi fabbricate su suolo statunitense, infatti, non devono sottostare ai requisiti europei e possono attraversare il confine con maggiore facilità. A completare il quadro vi sono anche quelle vendute direttamente e legalmente nel mercato statunitense che vengono poi trasportate illegalmente in territorio messicano per finire nelle mani dei cartelli della droga.

Di fronte alla varietà di canali attraverso i quali le armi europee entrano in Messico è particolarmente importante “che le aziende produttrici di armi siano ritenute responsabili lungo l’intera catena del valore della loro produzione -scrivono le tre organizzazioni nel rapporto-. La natura stessa del settore degli armamenti rende questo commercio particolarmente complesso e opaco, motivo per cui l’industria degli armamenti deve rientrare a pieno titolo nell’ambito di applicazione della direttiva Corporate sustainability due diligence (Csdd), attualmente in fase di negoziazione”. Il testo della direttiva -già approvato dal Parlamento europeo- ha come obiettivo quello di promuovere condotte aziendali sostenibili e rispettose dei diritti umani.

Nonostante la scarsa attenzione dimostrata sul tema da parte dei rappresentanti istituzionali incontrati -che hanno negato le proprie responsabilità per le armi prodotte negli Usa o entrate in Messico attraverso traffici illegali- le organizzazioni della società civile hanno denunciato l’inefficacia dell’attuale sistema di controllo delle esportazioni di armi e hanno chiesto ad aziende e Stati coinvolti di smettere di alimentare “il drammatico livello di violenza in Messico”.

Richieste che rientrano nel solco della battaglia che il governo messicano sta combattendo da diversi anni nei tribunali statunitensi: nel 2021, infatti, ha fatto causa a diversi produttori di armi con sede nel territorio degli Stati Uniti (tra cui Beretta Usa e Glock Usa) sostenendo che le leggi in vigore nel Paese favoriscano il traffico di armi attraverso la frontiera. Fino ad ora la battaglia giudiziaria non ha sortito l’effetto auspicato: in base a quanto previsto dal Protection of lawful commerce in arms act (che fornisce a questo comparto industriale un’ampia protezione dalle azioni legali per l’uso improprio dei loro prodotti) i giudici statunitensi hanno dato ragione ai produttori. Lo scorso marzo, il governo messicano ha presentato ricorso contro questa decisione.

La nuova azione legale del Messico, così come le istanze delle organizzazioni europee, muovono da un assunto comune: “Continuando a mandare armi e munizioni in Messico, qualunque sia il canale, Paesi e aziende europee sono complici coscienti di crimini contro il popolo messicano”. Una situazione che le organizzazioni chiedono di affrontare urgentemente, a partire da tre proposte: smettere di esportare armi nel Paese latinoamericano, in accordo con la posizione comune europea secondo cui “è proibito esportare armi in nazioni dove potrebbero prolungare conflitti violenti o usati in violazioni dei diritti umani”; ritenere responsabili le aziende anche per quelle prodotte negli stabilimenti non europei; far rientrare l’intera catena di valore delle aziende produttrici negli obblighi della direttiva Csdd.

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