Diritti / Attualità
L’Arabia Saudita e il progetto di una nuova megalopoli nel deserto dei diritti
A essere colpita è soprattutto la comunità Howeitat che si oppone all’esproprio delle terre necessarie a costruire -tra le altre cose- gli impianti per i Giochi Panasiatici invernali del 2029. Tre uomini sono stati condannati a morte ma l’appello alle Nazioni Unite per il momento rimane inascoltato
L’Arabia Saudita non è certo famosa per inverni freddi e nevosi eppure il 4 ottobre 2022 è stata scelta dal Consiglio olimpico d’Asia per ospitare i Giochi Panasiatici invernali del 2029. Non è la prima volta che viene presa una decisione così azzardata dal punto di vista climatico: la Cina ha fatto da apripista quando, nel febbraio 2022, ha ospitato le Olimpiadi invernali a Pechino, le prime in cui tutte le gare sono state disputate su un manto di neve artificiale.
I giochi del 2029 si svolgeranno nella provincia di Tabuk, nel Nord-Ovest dell’Arabia Saudita, a poche centinaia di chilometri dalla città egiziana di Sharm el Sheik, dove dal 6 al 18 novembre, si svolgerà la 27esima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (Cop27). Mentre su una sponda del Mar Rosso si discuterà di come agire per ridurre le emissioni climalteranti e contenere l’innalzamento delle temperature medie globali al di sotto di 1,5 °C entro fine secolo, sull’altra sono già partiti i lavori per realizzare la futuristica megalopoli di Neom che ospiterà l’evento sportivo.
Il progetto, dal costo preventivato di 500 miliardi di dollari, comprende una smart linear city battezzata “The Line” lunga 170 chilometri e larga solo 200 metri: una città in grado di ospitare nove milioni di abitanti in appena 34 chilometri quadrati (una superficie grande quanto la città di Como). All’interno di Neom è prevista anche la costruzione di Trojena, una località dedicata agli sport invernali aperta tutto l’anno e dove, in occasione dei giochi Panasiatici gli atleti si contenderanno le medaglie nello sci alpino, nell’hockey su ghiaccio, nel curling e nel pattinaggio.
Come già osservato per i mondiali di calcio in Qatar che prenderanno il via il prossimo 20 novembre (e dove, secondo le stime del Guardian sarebbero morti almeno 6.500 lavoratori immigrati durante i lavori di costruzione degli stadi) anche Neom e quindi le competizioni del 2029 saranno macchiati. Secondo quanto denunciato Alqst, organizzazione per i diritti umani con sede nel Regno Unito, il 2 ottobre un tribunale saudita ha condannato a morte tre uomini che si erano opposti agli sfratti compiuti per avviare i cantieri della megalopoli. Tutti appartengono alla comunità Howeitat e si trovano in carcere già dal 2020 con una condanna a 50 anni di detenzione. Uno di loro, Shadli al Howeiti, è il fratello di Abdul Rahim ucciso nell’aprile 2020 dalle forze di sicurezza saudite: arrestato dopo essersi rifiutato di accettare lo sgombero forzato, Rahim iniziò uno sciopero della fame. Venne torturato e lasciato morire dietro le sbarre.
Secondo quanto riferito da Al-Jazeera i rappresentanti della tribù Howeitat hanno inviato una comunicazione urgente alle Nazioni Unite chiedendo un’indagine sugli sgomberi messi in atto da Riad per fare spazio ai cantieri di Neom: non solo non c’è stata nessuna risposta, ma l’Organizzazione mondiale per il turismo sta persino promuovendo la megalopoli saudita sulle proprie pagine online con tanto di logo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. La nuova città, infatti, è stata presentata come carbon neutral: per azzerare le emissioni di gas serra entro il 2060, il governo saudita ha promesso di piantare miliardi di alberi e di raddoppiare le zone protette nel Paese, comprendendo anche la regione di Tabuk. Difficile pensare però che questo sia sufficiente a compensare l’impatto di cantieri che andranno a costruire intere città in zone desertiche, per non parlare delle piste da sci.
Una volta ultimata, Neom si estenderà su una superficie di oltre 26mila chilometri quadrati andando a cancellare le aree desertiche dove vivono circa 200mila persone, quasi tutte di etnia Howeitat. Secondo Alqst, negli ultimi mesi le autorità saudite hanno arrestato, perseguitato e ucciso diversi membri della tribù che si sono rifiutati di vendere allo Stato i propri terreni. Per costruire le piste da sci, il lago artificiale e gli altri impianti necessari allo svolgimento delle gare il governo aveva deciso inizialmente di offrire agli Howeitat un trasferimento in altre zone del Paese, passando poi alle maniere forti verso chi si è opposto a questa soluzione.
Per la monarchia saudita Neom rappresenta uno dei cardini della Vision 2030, l’ambizioso programma lanciato nel 2016 da Mohammed bin Salman (figlio di re Salman, principe ereditario e primo ministro del Paese) con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dell’Arabia Saudita dal petrolio, diversificare la sua economia e sviluppare settori quali sanità, istruzione, infrastrutture, attività ricettive e turismo. Un tentativo di presentare al resto del mondo un Paese moderno e dinamico. Un’immagine però molto lontana dalla realtà: in Arabia Saudita infatti i diritti sono fortemente limitati, così come il dissenso politico, la libertà di stampa e di espressione. La pena di morte è ancora in vigore: come evidenzia Alqst, nel solo 2022 le autorità hanno ordinato 122 esecuzioni, 81 delle quali sono state eseguite in un giorno solo.
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