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L’alluvione delle Marche e la politica dell’attimo dopo (inutile e dannosa)

Pianello di Ostra (Ancona), i danni dopo l'alluvione che ha devastato le Marche © Andrea Vagnoni / Fotogramma

Nelle Regione nel solo anno pandemico (2020-2021) il consumo di suolo è cresciuto di 138 ettari. “La politica non può continuare a ignorare il fenomeno, così come la siccità, le pratiche agricole intensive e scorrette, le terre esposte all’erosione. Non ce ne facciamo nulla dei mesti telegrammi”, scrive Paolo Pileri

Marche: l’ennesima alluvione che sorprende la politica. Ma siamo sorpresi noi che si sorprendano loro. In quale mondo parallelo vivono? Sono decenni e decenni che parliamo di dissesto ecologico il quale è un carattere peculiare del nostro Paese che, lo ricordiamo sempre, è per più della metà traballante, su un piano inclinato e scivoloso e sempre con i piedi nell’acqua.

In un Paese così dovrebbe esserci il ministero della Prevenzione idrogeologica Ugo (Unica grande opera, come già Tomaso Montanari diceva anni fa) e non dovrebbe neppur essere esposto ai mal di pancia di quella o quell’altra corrente politica perché l’unica corrente da ascoltare è quella di acque, suoli e venti. Se poi in questo Paese ci si aggiunge il cambiamento climatico e gli impatti che con disinvoltura continuiamo a vomitargli addosso, che cosa volete aspettarvi? Tutto questo lo ripetiamo da anni e anni e sorprende trovarsi ancora davanti a commenti politici da “politica del giorno dopo”, con le solite frasi con le quali si dicono affranti, pur giustamente, e vicini ai parenti delle vittime. Per carità non possiamo non dire che alcuni di loro, ma sempre il giorno dopo, hanno ricordato il cambiamento climatico. Ma ci serve questa attenzione “politica del giorno dopo”? O non ce ne facciamo nulla? Se poi neppur si radica nel loro agire, resta una recita dovuta.

Quel che ci serve è una “politica del giorno prima”, capace di parlare di dissesto idrogeologico prima che devasti il nostro Paese, capace di mettere insieme i pezzi e capire finalmente che occorre cambiare modello di sviluppo e narrazione culturale decidendo di mettere molta più attenzione e molte più risorse nella questione ambientale.
Nel 2005 il democratico Al Gore uscì con il film “Una scomoda verità”, una sorta di riassunto facile facile, non solo per far capire a tutti il disastro nel quale siamo e le cause che lo generano, ma per dare ai politici, da politico, uno strumento che li mettesse in tensione e non li assopisse. Ma di quel film, di quello sforzo (e di tantissimi che si sono succeduti fino a coinvolgere straordinarie ragazze come Greta Thunberg e Vanessa Nakate e non solo), non si raccolgono mai i frutti e i nostri leader politici preferiscono parlarsi male l’un dell’altro o preferiscono lavorare a spaventare gli elettori chiedendogli di votare di qua per non cadere di là. Un disastro culturale che accelera gli effetti disastrosi del cambiamento climatico e dell’ordinaria fragilità del nostro Paese.

Nella loro agenda elettorale (e politica) il tema del dissesto idrogeologico è solo uno tra i tanti, ficcato nei programmi solo perché non puoi non mettercelo. Ma fino a ieri non ne parlavano neppure. Questo è il punto. Non abbiamo una politica capace di anticipare, che è poi proprio quel che dovrebbe fare. Altrettanto grave è la miopia nel non vedere le relazioni tra ciò che accade e quel che prima si è fatto o non si è fatto. Nelle Marche, nel solo anno pandemico (2020-2021), il consumo di suolo è cresciuto di 138 ettari: uno sproposito. Ma anche il consumo di suolo nelle Regioni vicine destabilizza gli equilibri ambientali perché in ecologia tutto è connesso e tutti sono responsabili: non valgono un tubo i perimetri amministrativi in cui giocano a fare i politici.

Cementificare suolo libero vuol dire abbassare la capacità di risposta del territorio, vuol dire renderlo più vulnerabile, vuol dire aumentare la spesa pubblica (quella che si dovrà ora appostare per i danni), vuol dire esporre la popolazione a nuovi rischi, vuol dire far in modo che meno acqua si infiltri e più acqua scorra in superficie riducendo il tempo tra quando la pioggia cade a terra e quando riempie i corsi d’acqua. Quei consumi di suolo non arrivano da Babbo Natale, ma dal lavoro insostenibile e impresentabile di sindaci e governatori delle Regioni (ovvero della classe politica) e di tecnici compiacenti che non solo continuano ad acconsentire nuovi consumi di suolo, ma non capiscono che devono portare in modo indelebile e irreversibile la questione ecologica nel dibattito politico e nelle loro agende. Solo pochi sindaci e leader politici chiedono questo, la stragrande maggioranza è indifferente, ma non per questo incolpevole.

Se cose e cause come il consumo di suolo, la siccità che rende meno permeabili i terreni, le pratiche agricole scorrette, l’intensivizzazione agricola che lascia per mesi e mesi i terreni nudi ed esposti ad erosione, etc. la politica continua a ignorarle quando gliele si dice (vedi il rapporto 2022 Ispra sul consumo di suolo e quello del 2021 sul dissesto idrogeologico che i politici neppur commentano e molti di loro neppure sanno che esistono) noi dobbiamo imparare a dire che è una politica colpevole e non ce ne facciamo nulla dei loro mesti (pur dovuti) telegrammi del giorno dopo. I nostri figli, i nostri vecchi, i nostri prati li vogliamo salvare il giorno prima.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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