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Diritti / Opinioni

La vicenda di Catania e la deriva dei diritti umani

La nave Humanity 1 al porto di Catania © Max Cavallari

L’ordine, illegittimo ed estremo, impartito alla “Humanity 1” di riportare i naufraghi in acque internazionali segna un pericoloso precedente. La rubrica di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 254 — Dicembre 2022

Per giustificare la gestione del soccorso dei naufraghi salvati dalle navi delle Ong a inizio novembre il muscolare governo presieduto da Giorgia Meloni ha usato una pletora di argomentazioni: dalla rivendicazione di non essere il Paese competente a esaminare le domande di asilo presentate dai naufraghi (che avrebbe dovuto invece essere individuato nello Stato di bandiera della nave, ipotesi in contrasto con il diritto dell’Unione europea in materia di asilo) alla parallela rivendicazione di non essere neppure lo Stato competente a effettuare il coordinamento dei soccorsi. 

Con decreto del ministero dell’Interno -d’intesa con quelli della Difesa e delle Infrastrutture- del 4 novembre (la cui legittimità non è stata oggetto di vaglio giudiziario perché con lo sbarco di tutti i naufraghi è cessata la materia del contendere) veniva “fatto divieto alla nave Humanity 1 (e alle altre Ong, ndr) di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in situazioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti autorità nazionali”. 

Uno sbarco selettivo che è stato giustificato con il fatto che le operazioni di soccorso messe in atto dalla nave dell’Ong sarebbero “state effettuate in mancanza di qualsivoglia istruzione e forma di coordinamento da parte della competente autorità Sar”. Nel caso specifico la Germania, secondo una tesi assai bizzarra. Si tratta di espressioni del tutto simili a quelle che, a conclusione della vicenda, sono state utilizzate in una dura nota congiunta di Italia, Malta, Grecia e Cipro dell’11 novembre con la quale si stigmatizza l’operato delle Ong che operano i soccorsi in “modo non coordinato sulla base di una scelta fatta da navi private, che agiscono in totale autonomia rispetto alle autorità statali competenti”. 

Sempre secondo il Governo Meloni le Ong agirebbero in violazione “dello spirito delle norme internazionali, europee e nazionali in materia di soccorso in mare” senza tuttavia citare quali norme sarebbero state violate. Nel suo agire, il governo ha dimenticato sia di non avere mai risposto alle ripetute richieste del capitano della nave di assumere il coordinamento dei soccorsi, sia che sul medesimo capitano incombe l’obbligo di condurre i naufraghi nel porto sicuro più vicino o raggiungibile con la minor deviazione possibile. 

È noto come si è conclusa l’intera vicenda di Catania, ma poca attenzione è stata posta al fatto che il governo italiano ha tentato in ogni modo di dare attuazione al citato decreto ordinando al capitano della nave (con provvedimento formalmente notificato il 6 novembre) di riprendere il mare aperto, pena l’applicazione di pesanti sanzioni pecuniarie. Nel detto ordine il governo italiano non indicava in alcun modo dove avrebbero dovuto essere trasportate le persone né quale autorità statale diversa da quella italiana avrebbe dovuto occuparsene. 

Ordinava di andarsene in alto mare e basta, ovvero che venisse ripristinata la condizione di naufraghi. Si è trattato di un ordine illegittimo al quale il comandante della nave, nel pieno rispetto della legalità, non si è piegato. Tale aberrante ordine, di cui mi pare non ci siano precedenti nella storia contemporanea, non ha dunque prodotto effetti. Tuttavia c’è stato e dobbiamo avere il coraggio di guardarlo nella sua natura di provvedimento estremo. Per riprendere le parole del magistrato Domenico Gallo “impedire quest’attività di soccorso significa pianificare la morte di migliaia di persone come strumento ordinario della politica di gestione dell’immigrazione”. 

Le reali intenzioni dell’attuale esecutivo non mi sembrano quelle di ottenere più ricollocamenti dall’Europa, né di avere più risorse per l’accoglienza, né di modificare le norme sul soccorso, né di perseguire nessun altro obiettivo che non sia quello di abituarci ad accettare ciò che fino a oggi è impensabile ma che, passo dopo passo, domani potrebbe diventare possibile. 

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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