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Diritti / Opinioni

La strumentale “difesa delle identità nazionali” è l’anticamera del razzismo

Il presidente ungherese Viktor Orbán, © EU2017EE Estonian Presidency via Flickr

L’involuzione verso la democrazia illiberale in Ungheria è frutto di una politica xenofoba. Una deriva che ci riguarda. La rubrica di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 253 — Novembre 2022

L’articolo 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 sancisce che “a ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, […] o di altra condizione”. In base alla Convenzione internazionale per l’eliminazione di ogni discriminazione razziale del 1965 “gli Stati contraenti condannano la discriminazione razziale e si impegnano a continuare […] una politica tendente ad eliminare ogni forma di discriminazione razziale”.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce che “è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. Nel diritto internazionale ed europeo, dunque, la nozione di razza è usata non per oggettivarla, bensì per condannare ogni forma di discriminazione basata su un’attribuita appartenenza razziale. 

Se in Europa il razzismo basato sull’idea di una supposta superiorità biologica è ancora (ma per quanto?) confinato a gruppi politici marginali, quello socio-culturale è invece dilagante. A prima vista si presenta come difensivo di un’identità nazionale costruita artificialmente come un insieme di tratti e valori ereditati da un passato mitizzato e che vanno preservati senza mutazioni. Il 25 luglio 2022 il presidente ungherese Viktor Orbán (alleato dell’estrema destra italiana, oggi al governo) ha affermato che “i popoli dell’Europa occidentale ormai si mescolano con razze extra-europee, mentre gli ungheresi non vogliono mescolarsi. Entro il 2050, in Europa occidentale non esisteranno più nazioni, ma solo una popolazione incrociata”. 

Anche se lo storico Krisztian Ungvary lo ha definito “un discorso nazista”, posizioni simili vengono già accettate in Europa: chi le sostiene non parla apertamente di razze inferiori e neppure di una loro soppressione, ma invoca una sorta di diritto alla legittima tutela della propria identità nazionale. L’assenza di un disegno violento è però solo apparente: in una società globalizzata come quella attuale per raggiungere gli obiettivi identitari proclamati bisogna bloccare l’evoluzione di nazioni nelle quali le identità linguistiche, religiose e culturali sono in forte mutamento. Occorre alzare barriere fisiche alle frontiere, ridurre i diritti dei rifugiati. Infine è necessario andare oltre il blocco delle migrazioni per attuare misure autoritarie sull’intera società. 

I parlamentari europei che il 15 settembre 2022 hanno votato a favore della risoluzione che ha definito l’Ungheria una “autocrazia elettorale” sono stati 433

È quello che è successo in Ungheria, da anni interessata da un’involuzione democratica così ampia e profonda da portare il Parlamento europeo (con la risoluzione del 15 settembre 2022) a ritenere che il Paese “non sia più una democrazia” essendo divenuta “il primo Stato membro autoritario nella storia dell’Unione”. Si tratta di un crollo democratico che si è prodotto quale parte integrante e inscindibile della politica razzista e xenofoba attuata dall’ideologia della democrazia illiberale. Non esiste dunque, né in Ungheria né in Italia, come in qualsiasi altro Paese d’Europa, alcuna forma di chiusura identitaria e nazionale che non sia in realtà una forma nuova di ideologia razziale incompatibile nel medio periodo con l’ordinamento democratico. Come infatti acutamente fa osservare Christian Geulen, professore di Storia all’Università di Coblenza, “il razzismo come ideologia serve a imporre un ordine gerarchico alla diversità sociale e a farlo rispettare”.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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