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Diritti

La Shell viola i diritti umani nel Delta del Niger?

Ong, ma anche gruppi di base, esponenti del mondo accademico ed esperti di tutela ambientale hanno sottoscritto la lettera che l’organizzazione britannica Platform ha inviato alla multinazionale petrolifera Shell per chiedere conto del suo eventuale coinvolgimento in recenti casi di violazione dei diritti umani nel Delta del Niger, nel sud della Nigeria.

In questi giorni si è aperto il processo Kiobel vs Shell presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, un procedimento che dovrà verificare il ruolo attivo giocato dalla oil corporation nei crimini contro l’umanità perpetrati dalla giunta militare nigeriana di Sani Abacha dal 1992 al 1995. Platform denuncia il rischio che gli stessi errori commessi due decenni fa possano essere ripetuti (o siano piuttosto già stati ripetuti). Soprattutto in considerazione del fatto che il governo nigeriano sta militarizzando ulteriormente il territorio, a fronte di una devastazione ambientale che sembra non avere mai fine.

Nonostante le numerose richieste di provvedere a ripulire gli effetti dell’inquinamento e fornire le adeguate compensazioni alle comunità del Delta, la Shell ha continuato a non fornire alcun tipo di riscontro positivo. Eppure nell’ultimo decennio non sono mancati i rapporti che hanno evidenziato come la compagnia stia addirittura esacerbando la situazione, garantendo contratti a gruppi che si sono resi colpevoli in maniera diretta o indiretta di violazioni dei diritti umani. Nel 2003 già la WAC Global, società di consulenza indipendente messa sotto contratto dalla stessa Shell, ha certificato uno status quo molto complesso poi confermato da Amnesty International (2005), il Financial Times (2006) e Platform (2011) con uno studio che metteva in evidenza le tante criticità di un territorio dove la crescente presenza di militari e forze dell’ordine non è la soluzione, ma una parte quanto mai consistente del problema.

Nel rapporto di Platform si racconta in particolare dei fatti avvenuti nel villaggio di Rumuekpe, nella parte orientale del Delta, dove si stima che fra il 2005 e il 2008 siano state uccise almeno 60 persone e altre centinaia siano state costrette a lasciare le loro abitazioni. In proposito, il Parlamento nigeriano ha inoltrato una richiesta di chiarimenti alla compagnia anglo-olandese, che ha cercato di minimizzare il suo ruolo negli incidenti.

La repressione dell’esercito e della polizia nei confronti delle comunità che lamentano pessime condizioni di vita per colpa dello sfruttamento petrolifero è consistente un po’ in tutto il territorio del Delta ed è possibile, ricorda ancora Platform, grazie ai generosi fondi che la Shell garantisce per il trasporto e la sistemazione di soldati e poliziotti.

Lo stesso direttore di Shell Nigeria Mutiu Sunmonu, come riportato in un articolo del quotidiano inglese Guardian dello scorso 3 ottobre, ha riconosciuto che “i pagamenti a dei contractor e alcuni investimenti per ‘progetti sociali’ nella Regione del Delta del Niger possono causare frizioni tra le comunità”. Per Platform i cosiddetti investimenti sociali non creano posti di lavoro, ma destabilizzano il tessuto sociale di numerose aree del Delta, generando contrapposizioni all’interno delle comunità.
 

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