Diritti
La riforma Di Paola: meno generali, più operatività. Ma risparmi zero
Dal Governo solo poche informazioni sulla riforma della Difesa, con proposte di modifica che non abbasseranno le spese militari e la volontà del MInistro Di Paola di procedere dritto per la sua strada. Il racconto di Altreconomia dalla conferenza stampa di Monti e Di Paola.
Nella Sala stampa di Palazzo Chigi la notizia più attesa e chiacchierata era quella relativa al NO alle Olimpiadi di Roma 2020 da parte del Governo. Ma quando si presentano ai giornalisti il Presidente del Consiglio Mario Monti ed il Ministro della Difesa Ammiraglio Di Paola l’attenzione di alcuni (e in particolare di Altreconomia) è focalizzata sulla presentazione del progetto di revisione dello strumento militare nazionale
Monti, forse conscio delle grandi polemiche su questo punto in corso in tutto il paese, ha introdotto il tema spendendo belle parole per il lavoro presentato dal suo Ministro della Difesa.
“Il nostro Governo, così impegnato nelle riforme strutturali, considera quella del modello di Difesa proposta oggi dal ministro Di Paola un’importantissima riforma strutturale dal punto di vista economico. Voglio sottolineare – ha spiegato il Presidente del Consiglio – la grandissima importanza di questo settore per la vita nazionale ed internazionale del Paese. Il ministro Di Paola ci ha presentato un modello di riforma basato su una profonda analisi sia di tipo strategico in relazione allo scenario internazionale, sia in considerazioni economiche. Di Paola si è reso interprete delle esigenze di grande attenzione alla spesa e agli equilibri economici”.
Il Ministro Di Paola parlando della riforma appena illustrata al Consiglio dei Ministri ed in precedenza presentata al Consiglio Supremo di Difesa ha detto che essa “si pone sul solco della riforma dell’Unione Europea , la stella polare della nostra difesa”. Secondo il Ministro-Ammiraglio “lo scenario internazionale cambia con velocità impressionante, e la realtà globale in cui viviamo fa si che la sicurezza non si garantisce solo ai confini, ma anche dove nascono e si consolidano” i problemi.
“Per essere più europei ed atlantici dobbiamo realizzare uno strumento militare che sappia convergere con gli altri strumenti militari”. Come da molti anni a questa parte è poi partita la solita recriminazione sulle poche risorse a disposizione “Per ogni 100 euro di ricchezza nazionale prodotta – si è lamentato il Ministro Di Paola – 90 centesimi vanno alle Forze Armate, contro una media di 1 euro e 60 centesimi dell’Europa, e queste risorse vanno per il 70% al personale e solo il restante 30% all’operatività ed agli investimenti”. Peccato che, come al solito e come abbiamo dimostrato sia nel libro "Il caro armato" sia in tutte le analisi successive, nel riportare questi conteggi Di Paola si dimentichi (come i suoi predecessori) di grosse fette di fondi come quelli delle missioni all’estero o le sovvenzioni all’industria militare provenienti da fondi dello Sviluppo Economico.
La prospettiva, forse per distogliere da questi "errori di conto" viene quindi spostata sulle efficienze perché secondo la Difesa serve quindi riforma che rilanci le risorse da mettere a disposizione: “quei 90 centesimi devono essere spesi bene”. Il Ministro ha detto che si sta lavorando per “costruire oggi quel percorso che porterà domani ad una Difesa europea più integrata. Infatti le modifiche vanno a toccare anche capacità operative: alcune verranno ridotte, come l’entità di alcuni comandi, alti gradi e certi programmi”. Ma il Ministro non è voluto scendere nei dettagli che ha promesso riferirà solo al Parlamento.
Altreconomia ha provato ad incalzarlo con due domande: la prima per sapere con che strumento verrà attuata questa riforma e la seconda per avere un chiarimento esplicito ed ufficiale riguardo alle condizioni date dal Parlamento nel 2009 per l’acquisto dell’F-35. In quel momento di "via libera" al programma le commissioni Difesa di Camera e Senato avevano chiesto ritorni industriali, livelli occupazionali garantiti e accesso a tecnologie e risorse ad hoc. Nessuna di queste cose è stata esplicitata con documentazione ufficiale (proveniente invece copiosa da oltre Atlantico) e perciò in questi giorni continuano a susseguirsi notizie fantasiose e contradditorie.
Il Ministro ha risposto che “compito del Governo è fare proposte, non si tratta di un nuovo modello di difesa, ma di una revisione dello strumento militare per far si che quei 90 centesimi vengano spesi bene”. Affermazioni che in parte contraddicono quelle del Premier Monti che, introducendo la conferenza stampa, aveva invece sottolineato la dimensione "strutturale" di questo cambiamento. Ma il Ministro-Ammiraglio in questa come in altre questioni sta invece applicando un approccio molto "amministrativo" a scelte che dovrebbero invece essere più ponderate e condivise.
Lo strumento parlamentare scelto per l’approvazione sarà quello del disegno di legge delega, per una riforma che ha un percorso di almeno un decennio. Il programma dell’F-35 secondo il Ministro “è stato riesaminato e, come altri, riportato in equilibrio, ma rimane un impegno importante dal punto di vista tecnologico, industriale ed occupazionale. Questo non è chiaro solo a chi non vuole vedere la chiara realtà”, una evidente frecciata agli oppositori del progetto. “Ci sono investimenti importanti – ha ricordato il Ministro – di realtà industriali che si stanno realizzando a Cameri. Più di venti aziende hanno vinto contratti e ci sono circa 10.000 posti di lavoro potenziali, se si compete e si vince”.
Che rimanga un progetto importante è chiaro, meno evidente è chi vincerà: i soliti noti beneficiati dalle commesse industriali militari o il Paese? In tutta questa incertezza, alimentata ancora una volta dal Ministro, sembra sicuro che a rimetterci sarà il Paese che dovrà sorbirsi una decisione ostinatamente riproposta nonostante difficoltà e problemi del programma JSF.