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La Regione dei funamboli: scarsa trasparenza, alto rischio

I vertici della Regione Lombardia -che scalpitano per riaprire- si sono rifiutati di diffondere un quadro epidemiologico valido durante l’emergenza Covid-19. Continueremo a chiederne conto. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Duccio Facchini

Tratto da Altreconomia 227 — Giugno 2020
Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana - © Marmorino Clemente/Eyepix/ABACA / IPA / Fotogramma

I vertici politici e sanitari della Regione Lombardia hanno una strana concezione del rischio. Ricordano i funamboli mentre si destreggiano spericolati sulla fune “fase due” dell’emergenza Covid-19. Il loro numero da circo è però particolare: chi li osserva è bendato, non può controllarli. Son cascati? C’è il trucco? Non si sa. Dall’inizio dell’epidemia, infatti, i dati certi su quanto è accaduto in Lombardia sono stati negati alla stampa e all’opinione pubblica. Sembra assurdo ma è andata così nella Regione dell’eccellenza, la “locomotiva”, la Baviera, e noi di Altreconomia possiamo testimoniarlo.

Due mesi fa, all’inizio di aprile, in piena pandemia, abbiamo inviato formali istanze di accesso civico a tutte le Agenzie di tutela della salute (ATS) e alle Aziende socio sanitarie territoriali (ASST) della Regione, chiedendo dati certi sull’epidemia. Decine di domande protocollate relative tra le altre cose a decessi (negli ospedali e nelle RSA), contagi tra il personale sanitario, inclusi i medici di base, dispositivi di protezione distribuiti anche nelle RSA e flussi (da/verso) registrati tra ospedali e residenze per anziani. Un tentativo di sollevare la benda e provar la buona fede dei funamboli. Nell’arco di tre settimane quasi tutte le ATS e le ASST interpellate, nelle persone dei direttori generali, ci hanno però risposto con un diniego fotocopia concordato, salvo qualche virgola. “Tutto il personale, non solo sanitario ma anche tecnico e amministrativo è occupato nella gestione dell’epidemia che ha particolarmente colpito il territorio di afferenza”, hanno scritto. Le strutture sarebbero state troppo “provate dall’eccezionalità”, troppo impegnate nell’assicurare il loro “buon andamento”. Impossibile quindi evadere “l’elaborazione di una mole considerevole di dati, allo stato non aggregati”. Guai a distoglierle, a meno di provocare “nocumento sull’efficienza dell’Amministrazione” o esser “causa di intralcio”. Tra le ultime a farsi vive, a fine aprile, è stata l’Agenzia di tutela della salute di Milano, la punta della piramide-eccellenza. “L’osservatorio epidemiologico regionale -ci ha scritto il 28 aprile il direttore generale Walter Bergamaschi, a pochi giorni dal primo momento di ‘fase due’- sta avviando delle attività collegate alle richieste pervenute, anche mediante il coinvolgimento degli uffici di epidemiologia delle ATS e delle amministrazioni comunali, che permetteranno di raccogliere e strutturare correttamente i dati mediante elaborazioni valide, che potranno essere messe a disposizione per l’accesso pubblico”. Sul serio: mentre si pontificava su quattro sfaccendati ai Navigli era del tutto assente (o inaccessibile) un quadro epidemiologico “valido”. La “fase due” poteva cominciare, al buio.

A metà maggio, mentre larga parte dell’informazione premeva sulle riaperture, anche indiscriminate, abbiamo tentato nuovamente di togliere la benda dagli occhi. Con il supporto degli avvocati Ernesto Belisario e Francesca Ricciulli dello studio E-Lex, abbiamo predisposto 25 richieste di riesame indirizzate ad altrettanti “responsabili per la prevenzione della corruzione e della trasparenza” presenti nelle ATS e nelle ASST lombarde, precedentemente chiuse a riccio. La legge (decreto legislativo 33/2013) dà venti giorni di tempo per fornire un riscontro. Abbiamo contestato la motivazione “carente, contraddittoria, irragionevole e illogica” del diniego, sostenuto la “violazione dell’obbligo di dialogo cooperativo con il richiedente” (noi), sottolineato la pretestuosità di quei “no”, considerando peraltro i tempi ristrettissimi della prima risposta-fotocopia all’istanza. Negare informazioni fondamentali in maniera illegittima e ingiusta rappresenta una grave violazione del diritto alla trasparenza e della libertà di informazione costituzionalmente garantita. Staremo a vedere. Confidando nelle parole pronunciate da Lelio Basso alla Commissione per la Costituzione durante la discussione generale sui princìpi dei rapporti civili, il 26 settembre 1946: “La libertà comporta sempre una responsabilità. Chi vuole avere la libertà deve assumersi la responsabilità degli atti che può compiere”. Anche i funamboli.

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