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Altre Economie / Reportage

La produzione di cosmetici sostiene l’autonomia delle donne marocchine

Nel Paese sono attive più di duecento cooperative agricole al femminile che lavorano i frutti dell’albero di argan da cui si ricava un olio pregiato. Una filiera solidale che porta benefici economici e consapevolezza dei propri diritti

Tratto da Altreconomia 252 — Ottobre 2022
Hajar, vicedirettrice della cooperativa Izourane, passeggia davanti alle piante di argan. Il campo si trova nel villaggio di Imzilene nel Sud del Marocco © Luca Rondi

“Mi sento un po’ l’avvocato delle donne rurali. Il mondo le giudica negativamente ma si dimentica che il loro sapere è prezioso, anche se non sono andate a scuola. Io ho studiato tanto, ma a differenza di mia nonna non ho vissuto a contatto con la terra per tutta la mia vita, lei ha semplicemente coltivato un sapere diverso”. Hajar, 23 anni, mostra l’immensa distesa di alberi di argan che coprono gran parte del territorio di Imizilene, un piccolo villaggio nel Sud del Marocco. Al suo fianco Lalla Fadma, sua nonna, ripercorre i passi che hanno portato, nel 2006, alla nascita della prima cooperativa femminile della zona che ha visto oltre 60 donne coinvolte nell’attività di lavorazione dei prodotti locali. Un’esperienza non isolata: a partire dagli anni Novanta, grazie all’iniziativa di Zoubida Charrouf, docente in Chimica all’Università di Rabat, le cooperative femminili si sono diffuse in tutto il Paese. Oggi sono più di duecento: da Imizilene ad Aglou, passando per la periferia di Essaouira, la produzione di cosmetici diventa un piccolo passo verso l’autonomia delle donne che vivono nelle zone rurali.

La cooperativa Izourane, che in arabo significa “luogo d’incontro”, nasce nel 2005 in un villaggio a Sud di Agadir, la quarta città commerciale del Marocco. Fadma convince il marito ad anticipare i soldi per l’apertura della cooperativa e offre la sua casa come sede. Inizialmente l’attività è esclusivamente legata alla vendita sfusa delle mandorle ma a partire dal 2008, grazie ai fondi stanziati dal ministero dell’Agricoltura marocchino, inizia anche la produzione di olio di argan cosmetico e alimentare. Nel giro di qualche anno, la forte concorrenza del mercato e la mancanza di canali di commercializzazione internazionali causa una forte riduzione della produzione di argan e la cooperativa decide di indirizzare l’attività anche su altri prodotti come il cous cous, la crema alla nocciola e il miele. Oggi grazie al sostegno dell’associazione Asdikae Bila Houdoud, che si occupa di sostenere queste realtà attraverso il turismo responsabile, in collaborazione con il ministero dell’Artigianato marocchino è possibile acquistare i prodotti anche online, in modo da garantire la vendita degli olii nei Gruppi di acquisto solidale in Italia.

Dietro alla crescita della cooperativa dal punto di vista commerciale c’è proprio la giovane Hajar, oggi direttrice operativa di Izourane. “Qui non mancano le competenze -racconta-. Il mio compito è dare una spinta. Lavoro per un’azienda francese che ha sede ad Agadir ma non ho mai rinunciato al mio impegno per questo progetto: i miei studi impreziosiscono il loro sapere attraverso l’utilizzo del web e l’alfabetizzazione di chi è impiegato in cooperativa”. Nelle zone rurali del Marocco, infatti, il tasso di alfabetizzazione è molto basso. “Lo è certamente per chi ha dai 45 anni in su e non è andato a scuola. L’analfabetismo è un fenomeno diffuso nei villaggi, tanto che anche il governo ha promosso diverse iniziative per organizzare corsi. Oggi i giovani hanno maggiori possibilità di studiare almeno fino alla terza media”, spiega Ismail El Mansor membro di Amici senza frontiere, nata da un gruppo di migranti marocchini residenti in Italia riuniti a Bologna nell’associazione Sopra i Ponti, e operatore della cooperativa di turismo responsabile ViaggieMiraggi. “Aiutiamo queste realtà a svilupparsi attivando canali di commercializzazione dei prodotti e portando in visita i turisti che con il loro contributo sostengono le attività”.

Più a Nord, a una trentina di chilometri dalla città di Essaouira, Zahra nel 2005 ha dato vita alla cooperativa Assafar. “L’obiettivo era migliorare l’autonomia delle donne e creare per loro opportunità di lavoro -spiega Zahra-. Anche per noi era una soluzione positiva: volevamo un impiego avendo però la possibilità di restare vicino a casa”. Grazie al clima più favorevole le lavoratrici di questa cooperativa raccolgono direttamente le bacche di argan. La lavorazione è laboriosa: dopo la raccolta, dal doppio guscio devono essere estratti i frutti, simili a mandorle. Il secondo guscio, quello più interno, è particolarmente resistente e viene scalfito colpo su colpo: il “sapere” si tramanda così da madre in figlia, così come la pietra utilizzata per compiere questa operazione. Il passaggio in un frantoio trasforma i frutti in una sorta di impasto da cui poi si estrae l’olio, mentre la “pasta” residua viene utilizzata come base per produrre saponette e creme. Nella zona i frutti delle piante di argan permettono la produzione sia dell’olio alimentare sia di quello utilizzato come cosmetico, come a Imizilene. Oggi però la siccità ha reso più scarso il raccolto e le grandi cooperative lucrano con i piccoli produttori che “soffrono” perché costrette ad acquistare i frutti da altri produttori per tenere il passo con le consegne. Inoltre i prezzi sono saliti da 80 a 150 dirham (circa 1,5 euro) per 150 chilogrammi di frutti. Un importo elevato, considerando che occorrono 50 chilogrammi per mezzo litro d’olio.

Le donne della cooperativa marocchina Assafar impegnate nella lavorazione dell’argan. Una volta estratti dal guscio, i frutti vengono pressati in un frantoio: questo permette di ottenere l’olio (alimentare e cosmetico) e una pasta da cui ricavare saponette e creme © Luca Rondi

Le donne assunte dalla cooperativa guadagnano circa novemila dirham all’anno (poco più di 800 euro), che permettono loro di avere una quota propria di soldi da spendere: l’80% dell’economia familiare resta infatti sostenuta dal marito. Ma è un piccolo passo. “Io educo i bambini, cucino, aiuto l’economia del mio Paese mentre l’uomo lavora soltanto -racconta Harja-. Ci vuole parità”. Una strada che non è distante dalle lotte femministe dell’Occidente: “Vogliamo esserne parte -spiega-. Lottare da soli non basta, serve creare una rete per supportare le nostre battaglie, soprattutto in una società maschilista come quella marocchina. Il governo nel 2011 (dopo la primavera araba, ndr) non ha concesso dei diritti alle donne: abbiamo lottato per ottenerli e vederci riconosciuto quello che ci spetta”.

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