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Economia / Approfondimento

La povertà energetica incide sulla salute. A Torino lo studio pilota

Chi vive in condizioni energetiche precarie è più esposto a malattie ischemiche e polmonari. Una ricerca dell’Asl 3 del capoluogo piemontese evidenzia dati preoccupanti. Ma le politiche introdotte dal governo sono insufficienti

Tratto da Altreconomia 241 — Ottobre 2021
Nel 2019, l'8,5% delle famiglie italiane viveva in povertà energetica

Immaginate di salire su un tram che parte dal centro di Torino -da uno dei quartieri più ricchi- verso la periferia, ad esempio a Mirafiori, dove è particolarmente elevata l’incidenza della povertà energetica tra le famiglie residenti, che non riescono a procurarsi un paniere minimo di beni e servizi energetici. “Abbiamo stimato una perdita di aspettativa di vita di circa tre mesi per ogni chilometro percorso. E una differenza dell’aspettativa di vita di quattro anni legata prevalentemente alla povertà energetica”. Anna Realini, ricercatrice di Rse-Ricerca sul sistema energetico (parte del gruppo Gestore dei servizi energetici), è tra i curatori dell’innovativo studio “Fabbisogni e consumi delle famiglie vulnerabili: caratterizzazione del fenomeno e politiche di mitigazione e contrasto” pubblicata nel 2021 in collaborazione con l’Osservatorio epidemiologico Asl 3 di Torino.

La ricerca ha analizzato i dati sanitari di oltre 300mila persone, tra il 2000 e il 2018. “Per verificare se vi fossero differenze di mortalità prematura e incidenza di determinate patologie tra persone in povertà energetica e persone che non si trovano in quella situazione”, spiega Realini, autrice di uno dei contributi del volume “Che cos’è la transizione ecologica” edito da Altreconomia. I primi esiti dell’indagine hanno messo in luce dati preoccupanti: tra le persone che vivono in povertà energetica, il rischio di morte prematura (entro i 70 anni di età) è più alto del 7% rispetto a chi non ha difficoltà a pagare le bollette dell’elettricità e del riscaldamento e vive in una casa efficiente. 

Lo studio ha indagato anche l’incidenza di alcune patologie e ha riscontrato un incremento del rischio del 22% di sviluppare malattie ischemiche del cuore per gli adulti d’età compresa tra i 25 e i 64 anni che vivono in condizioni di povertà energetica rispetto a coloro che non si trovano in questo stato. Un aumento del 27% del rischio di broncopneumopatia per gli anziani over 65, mentre per i bambini e i ragazzi entro i 15 anni che vivono all’interno di famiglie in povertà energetica c’è un aumento del rischio di sviluppare l’asma del 46%. “La mappa della povertà energetica a Torino e quella dell’incidenza delle patologie che abbiamo preso in esame per il nostro studio sono quasi perfettamente sovrapponibili -aggiunge Anna Realini-. I quartieri interessati sono quelli dell’area Sud della città, i quartieri operai nella zona di Mirafiori e la zona Nord-Ovest della città”. 

Come spiega la ricercatrice dell’Rse, le cause che possono determinare l’insorgenza di queste malattie e che sono direttamente collegate alla povertà energetica sono diverse e, per certi versi, persino banali. L’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms) fissa un range di comfort termico compreso tra i 18 e i 20 gradi durante i mesi invernali per garantire il benessere all’interno delle abitazioni. La temperatura più elevata si raccomanda, in particolare, per bambini e anziani. “Oltre alla temperatura dell’aria, le determinanti oggettive individuate dall’Oms sono legate all’umidità degli ambienti, che incide soprattutto sul rischio di sviluppare l’asma, alla capacità di ricambio d’aria, alla presenza o meno di spifferi d’aria, all’eventuale formazione di muffe -spiega Realini-. Basta un muro non isolato, un ponte termico fatto male. Stiamo parlando, purtroppo, di situazioni che si trovano facilmente in molte case in Italia”.

Sebbene il fenomeno della povertà energetica nel nostro Paese sia diffuso, non c’è una misura ufficiale della povertà energetica “intesa come misura codificata dall’Istat” come evidenzia il Secondo rapporto dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica (Oipe). Dal 2017, il governo italiano ha adottato nei suoi documenti ufficiali (Strategia energetica del 2017 e Piano nazionale clima ed energia del 2019) una definizione (Lich, low income, high costs) che annovera tra i poveri energetici sia le famiglie con una quota di spesa per elettricità e riscaldamento troppo elevate, sia quelle in condizioni di grave deprivazione e con spesa per il riscaldamento pari a zero. Sulla base di questo criterio, nel 2019 le famiglie in povertà energetica erano oltre 2,2 milioni, pari all’8,5% del totale. Si tratta di quei nuclei che hanno “difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici o, in alternativa, un accesso ai servizi energetici che implica una distrazione di risorse, in termini di spesa o di reddito, superiore a un ‘valore normale’”. 

Dopo la fase di analisi dei dati emersi dallo studio di Torino, Rse sta lavorando per allargare il campo della ricerca e calcolare l’impatto della povertà energetica sulla salute a livello nazionale. “Stiamo avviando una collaborazione con tre Regioni -una nel Nord Italia, una al Centro e una al Sud- per allargare il nostro studio a una macro-zona del Paese. Ma anche la tipologia delle abitazioni e valutare gli interventi necessari per migliorare l’efficienza energetica degli edifici, che devono essere diversi in base alla tipologia degli edifici e al territorio”. L’aspettativa dei ricercatori è quella di avere i primi risultati preliminari per una o due Regioni entro la fine del 2021. 

Ma la povertà energetica non riguarda più solo il tema del riscaldamento: l’aumento delle temperature medie, la crescente frequenza e intensità delle ondate di calore rendono sempre più necessaria l’installazione di impianti di climatizzazione domestici. “Sarà sempre più urgente avere sistemi di raffrescamento accessibili a tutti -spiega Realini-. La normativa italiana fissa a 26 gradi la soglia di benessere per il raffrescamento degli ambienti nei mesi estivi”. Uno studio condotto da Rse stima in circa 500mila il numero di famiglie che cadrebbero in povertà economica nel momento in cui dovessero affrontare le spese di acquisto e manutenzione di un impianto di climatizzazione. “Saranno le Regioni del Centro-Nord Italia a essere più colpite. In particolare, in Trentino-Alto Adige, Piemonte, Umbria e Toscana si trovano buona parte delle famiglie, e circa metà è comunque collocata nel Nord e nel Centro. Aree dove il clima è sempre stato più mite rispetto al Sud e dove non c’era esigenza di installare un climatizzatore -spiega Simone Maggiore, ricercatore Rse, co-autore dello studio-. Un altro elemento che contribuisce all’aumento della povertà energetica in queste aree è dato dal fatto che si tratta di famiglie che già si trovano appena sopra la soglia di povertà energetica e che con questa spesa ci ricadono”.

Ai fattori climatici si somma il fatto che l’emergenza Covid-19 e la crisi economica che è seguita alla pandemia hanno fatto crescere il numero di famiglie in condizioni di povertà. E che, di conseguenza, rischiano di trovarsi in condizioni di povertà energetica. A questi fattori, aggiunge il rapporto dell’Oipe, si affianca poi la previsione nei prossimi decenni di un aumento dei prezzi dell’energia elettrica, indicato come “il vettore che dovrebbe diventare sempre favorito dal processo di transizione”.

Da qui l’esigenza di rivedere le politiche introdotte dal governo per il contrasto alla povertà energetica, il più importante dei quali è il “bonus energia” che prevede sconti sulla bolletta dell’elettricità e del gas a chi ne fa richiesta. “Il bonus è un buono strumento, che riesce a mitigare il fenomeno della povertà energetica, ma ha dei limiti: circa due terzi delle famiglie che ne avrebbero diritto, ad esempio, non vi accedono per complessità burocratiche. Dal 2021 è stato attivato l’automatismo del bonus in base all’Isee: si spera in questo modo di allargare la platea che vi accede. Inoltre, non riesce ad andare a risolvere il problema alla base: occorrono anche interventi strutturali per rendere efficienti le abitazioni da un punto di vista energetico -commenta Simone Maggiore-. La transizione energetica deve avere come obiettivo quello di una società più sostenibile, ma deve essere giusta e non lasciare indietro nessuno. I costi delle politiche di efficientamento energetico non devono essere scaricati sui più deboli”. Servono quindi misure e interventi ad hoc, come incentivi alla ristrutturazione degli edifici per le fasce meno abbienti. Ma bisogna anche tenere in considerazione il fatto che una fetta importante delle famiglie che non riescono a pagare le bollette di gas e luce non vivono in una casa di proprietà. “Se consideriamo le famiglie non in povertà energetica, circa tre quarti (74%) di esse vive in case di proprietà e il 15% in affitto -spiega Maggiore-. Mentre se consideriamo le famiglie in povertà energetica la quota di quelle che vivono in case di proprietà si riduce dal 74% al 50%, mentre la percentuale delle famiglie che vivono in affitto aumenta dal 15% al 38%”. 

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