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Esteri / Reportage

La parte fantasma di Cipro. Tra caschi blu e contese turche

Varosia è controllata dai turchi dal 1974 quando, dopo un colpo di Stato organizzato dai colonnelli di Atene, Ankara rispose occupando il Nord ed espellendo i greco-ciprioti. Quello che era considerato il quartiere più turistico di Famagosta è una distesa di hotel ridotta a carcasse © i Anna Maria Selini

Viaggio nel quartiere turistico di Varosia, abbandonato dopo il conflitto del 1974. Ritornano i turisti, anche su spinta del governo turco. Erdogan preme sulle divisioni ma gli abitanti vogliono cambiare pagina e costruire comunità

Tratto da Altreconomia 242 — Novembre 2021

“Avevo sette anni ma ricordo ogni giorno, anche quando iniziarono a cadere le bombe”. Okan Dagli racconta e alle sue spalle va in scena uno spettacolo surreale: una città abbandonata e ferma al 1974 -facciate di hotel scrostate, finestre rotte, porte sprangate, insegne pubblicitarie corrose, intere vie di palazzi pericolanti, serrande e parchimetri arrugginiti- attraversata da odierni turisti in bicicletta o a piedi, che scattano foto sorridenti. Benvenuti a Varosia o Maraş, quartiere della città di Famagosta, Cipro Nord, uno dei due luoghi fantasma che, più dei mari cristallini, la frenesia immobiliare e le orde di turisti russi, raccontano Cipro. 

La storia dell’isola parla di occupazioni -in primis quella britannica fino al 1960- spie, traffici e grandi potenze da sempre interessate a controllarla. Qui sarebbe nata Afrodite, ma soprattutto Cipro è l’ultimo avamposto d’Europa, un ponte strategico a pochi chilometri dalle coste turche e dall’imbocco dell’Asia. Popolata da due comunità, quella greco-cipriota (circa l’80% della popolazione) e quella turco-cipriota (20%), dopo l’indipendenza dal Regno Unito, una guerra civile (1963) e violente ingerenze di Grecia e Turchia, nel 1974 venne divisa. Una spartizione etnica: i greco-ciprioti a Sud e i turco-ciprioti a Nord, con solo i primi di fatto riconosciuti dalla comunità internazionale, nella Repubblica di Cipro. L’autoproclamata Repubblica di Cipro Nord esiste solo per la Turchia che la sostiene economicamente utilizzandola come pedina ai grandi tavoli della geopolitica.  

L’ultima mossa riguarda proprio Varosia, la città fantasma controllata dai turchi dal 1974 quando, dopo un colpo di Stato dei colonnelli di Atene per accaparrarsi l’isola, Ankara rispose inviando le proprie truppe, occupando il Nord ed espellendo con la violenza i greco-ciprioti. I devastanti combattimenti provocarono la morte di circa settemila persone, l’esodo forzato di circa 180mila greco-ciprioti verso Sud e di 50mila turco-ciprioti verso Nord, nonché la scomparsa di migliaia di persone. 

Da allora nessuno ha più abitato in quello che era il quartiere più turistico di Famagosta, una distesa di hotel, oggi ridotti a carcasse, affacciati su un mare da cartolina, nei ricordi degli abitanti la Saint-Tropez di Cipro. Mentre tutt’attorno la vita è continuata, tra le splendide mura medievali del centro storico e il resto della città abitato solo da turco-ciprioti. 

L’ultima mossa è stata per l’appunto, nel luglio scorso, in occasione della visita per l’anniversario dell’invasione del 1974, l’annuncio del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, di riaprire Varosia, farla tornare allo splendore di un tempo, con la possibilità per i greco-ciprioti di riavere le antiche proprietà ma sotto amministrazione turca. La risposta delle Nazioni Unite (Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia in testa) è stata un secco “No” per una misura unilaterale che non terrebbe conto di cinquant’anni di risoluzioni, tentativi di riunificazione e negoziati perennemente sfumati. 

“Varosia deve tornare a essere unita, come un tempo, ma sotto l’egida delle Nazioni Unite”, dice Okan Dagli, medico turco-cipriota che qui è nato ed è tra i fondatori dell’Iniziativa di Famagosta, una Ong che ha preso forma nel 2010 su impulso di attivisti turco-ciprioti, ai quali presto si sono uniti dei greco-ciprioti, proprio per restituire ai legittimi proprietari quanto spetta loro della città fantasma. L’obiettivo è sviluppare una visione comune per un rilancio sostenibile di tutta la regione, per trasformare Famagosta da simbolo della divisione a quello dell’unione. Un modello per tutta l’isola.

Intanto però, già dalla fine del 2020, i turchi hanno tolto parte della recinzione che isola la città fantasma, rendendo accessibile uno dei tratti di spiaggia più suggestivi e ora fotografati di Cipro. E poi sono comparse anche le biciclette. 

“Do you know Erdogan?” risponde ironico il ragazzo che le affitta, quando gli domandiamo da quanto tempo esiste la possibilità di girovagare tra le rovine su due ruote. Hanno riasfaltato anche la strada con tanto di strisce e pista ciclabile. Un colpo d’occhio surreale, quando tutto attorno è abbandono, ruggine e desolazione. C’è anche la navetta vintage, in perfetto stile Seventies, che trasporta i turisti più pigri o le famiglie con i passeggini nei view point più suggestivi. Fanno la fila per riprendersi nei luoghi più devastati e inquietanti. Lo chiamano dark tourism, turismo macabro. 

L’aeroporto di Nicosia è fermo dal 1974. L’entrata principale è sbarrata e, accanto alla pista, si trova ancora parcheggiato un velivolo © Anna Maria Selini

L’altro luogo rimasto congelato al 1974, esattamente come Varosia, è il vecchio aeroporto di Nicosia, l’ultima capitale divisa d’Europa. Si può visitare solo col permesso delle Nazioni Unite, che proprio nel 1974 ne presero il controllo, così come di tutta la zona cuscinetto che divide il Nord dal Sud. L’entrata principale è sbarrata, ma attraverso i vetri rotti si vedono ancora i banchi dei check-in, le sedie della sala d’aspetto, i poster e i cartelloni pubblicitari della zona imbarchi, su tutto una coperta di polvere e calcinacci. Accanto alla pista, tra hangar, rovi ed erbacce, si trova ancora parcheggiato un velivolo. O meglio quel che resta di un aereo di linea cipriota. Gli hanno tolto il motore e i portelloni e l’hanno transennato come le case di Varosia. Monumento immobile, come tutto da queste parti, da quasi mezzo secolo. 

La missione delle Nazioni Unite Unficyp (United Nations peacekeeping force in Cyprus) in realtà è presente dal 1964 ed è tra le più longeve nella storia: dopo la guerra civile del 1963 i caschi blu arrivarono sull’isola e da allora non se ne sono più andati. Negli anni si sono alternati più di 150mila soldati. Attualmente sono circa 850, in tre settori. I Paesi che contribuiscono maggiormente sono l’Argentina e il Regno Unito (che sull’isola ha mantenuto anche due basi), seguiti da Slovacchia e Ungheria. L’Italia partecipa alla missione di polizia Unpol con una manciata di militari.

La zona cuscinetto si estende da Est a Ovest per circa 180 chilometri: molte aree sono coltivate o abitate, in totale ci vivono o lavorano 10mila persone che entrano con apposite autorizzazioni dell’Unficyp, tranne che all’interno di aree a uso civile appositamente designate. Ogni anno si verificano ancora circa mille incidenti, si legge sul sito della missione, “che vanno dall’insulto all’uso non autorizzato di armi da fuoco”: per questo e anche per via della presenza di migliaia di mine antiuomo ancora dormienti, la zona cuscinetto è costantemente presidiata dai militari in macchina, bici o in elicottero.

La zona cuscinetto divide il Nord dal Sud: si estende per circa 180 chilometri e si può visitare solo con il permesso delle Nazioni Unite che la controllano dal 1974

Da Varosia basta attraversare il valico di Dherynia -dal 2003 sono stati aperti numerosi punti di passaggio- per vedere riaffiorare rabbia e antichi dolori. C’è chi ha costruito una specie di torretta d’avvistamento sopra un bar, dove per pochi euro con consumazione inclusa si possono affittare cannocchiali per guardare quel che resta della città fantasma, le postazioni militari turche e quelle delle Nazioni Unite. Nel locale, pochi tavoli di plastica e qualche turista incuriosito dalle guide, c’è anche un piccolo museo con articoli e immagini della violenta cacciata dei greco-ciprioti. Un video multilingue corona il tragico e doloroso racconto in quello che sembra un ultimo avamposto. 

“Ma anche i turco ciprioti -ricorda Okan Dagli- hanno sofferto. Anche loro se ne sono dovuti andare. Vorremmo solo poter vivere in pace”. “Non siamo considerati a livello internazionale”, dice Alp, giovane tassista che ci accompagna fino al confine, cinto ancora da filo spinato e triangoli rossi con la scritta “pericolo mine”. “I greco-ciprioti ci boicottano, dicono ai turisti di non venire, la verità è che non ci vogliono”. 

Ma a non volere l’unità è in primis anche il leader turco-cipriota, Ersin Tatar, sodale di Erdogan e accanito sostenitore della soluzione dei due Stati. A fine agosto si è visto revocare il passaporto che può essere rilasciato solo dal governo riconosciuto a livello internazionale. Una rappresaglia a quanto pare per la voglia di secessione e per l’affaire Varosia. 

 

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