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La Germania si riscopre in emergenza abitativa

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Per anni il Paese ha ignorato i senza dimora, al punto da non avere nemmeno statistiche ufficiali. Il governo di Olaf Scholz dice di voler affrontare il fenomeno ma il numero di persone che non riescono a pagare l’affitto è ancora in crescita

Tratto da Altreconomia 248 — Maggio 2022

In Germania, da più di vent’anni, non si conosce il numero delle persone senza dimora. Il governo tedesco ha smesso di monitorare il fenomeno nel 1998, anno di pubblicazione dell’ultima statistica ufficiale. La condizione dei senzatetto è rimasta quindi lontana dai tavoli decisionali della politica nazionale, che non ha mai elaborato una piano organico. Almeno fino ad ora. Mai come nell’ultimo anno, infatti, le cariche più importanti dello Stato si sono interessate all’esclusione abitativa nel Paese, riportando la questione al centro del dibattito pubblico.

Con l’avvento del nuovo governo guidato da Olaf Scholz è infatti cambiata la sensibilità verso l’argomento: la costruzione di 100mila nuovi alloggi di edilizia sociale all’anno costituisce uno dei punti del contratto tra le forze politiche. Anche il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier ha dedicato parte del discorso per la sua rielezione alla condizione dei senzatetto. L’obiettivo è risolvere l’esclusione abitativa entro il 2030 e anche il Parlamento si è impegnato a ricominciare a stilare statistiche puntuali: i primi dati sono attesi entro la metà del 2022.

A occuparsi di colmare il gap informativo lasciato finora dalle autorità è stata l’associazione BAG Wohnungslosenhilfe, che raccoglie i dati da differenti tipologie di strutture che lavorano con le persone senza dimora, sintetizzandoli poi in rapporti annuali. Non si tratta però di uno studio onnicomprensivo: le strutture prese in considerazione nell’analisi sono gestite da Ong. Questo significa che le persone che ricevono assistenza all’interno dei circuiti statali -come i rifugiati- non appaiono nel rapporto. 

Inoltre le strutture partecipano allo studio su base volontaria: di cinque Länder, tra cui la capitale Berlino, non si hanno informazioni. Le ragioni di questa mancata partecipazione sono molteplici e in larga misura dipendono dalla natura federale dello Stato tedesco. Esiste però un comune denominatore tra gli Stati mancanti: la precedente appartenenza alla Germania socialista. “Per motivi storici, nell’ex Germania dell’Est i bisogni delle persone senza dimora sono gestiti maggiormente da istituzioni governative piuttosto che Ong, essendo quest’ultime spesso legate alla Chiesa”, spiega ad Altreconomia Sarah Lotties, autrice del rapporto 2019 di BAG Wohnungslosenhilfe.

Secondo una stima elaborata dall’associazione BAG Wohnungslosenhilfe le persone senza dimora in Germania sono 256mila

Secondo una stima realizzata dall’associazione relativa al 2020, le persone senza dimora in Germania sarebbero 256mila, rifugiati esclusi, mentre l’emittente tedesca Deutsche Welle a gennaio 2022 ne ha contati quasi un milione. Avere un’esatta misura del fenomeno è quindi impossibile, ma il rapporto può comunque fornire informazioni sulle sue caratteristiche. Emerge, ad esempio, che le persone vittima di esclusione abitativa sono per i tre quarti uomini e quasi sempre single. Il 63% ha tra i 30 e i 59 anni e poco meno del 40% ha un background migratorio, ma si tratta quasi certamente di una stima al ribasso. Inoltre, circa il 12% ha un lavoro retribuito: una quota che è raddoppiata negli ultimi dieci anni, mostrando come sempre più persone che lavorano non riescano a permettersi un alloggio. Secondo le stime dell’Ufficio federale di statistica relative al 2019 l’8% degli occupati viveva sotto la soglia di povertà e nel 2020 la percentuale dei working poor è salita all’11%.

“Il problema della carenza di alloggi a prezzi accessibili interessa non solo i gruppi marginalizzati ma ampi strati della popolazione” – Werena Rosenke

Una delle principali cause dell’esclusione abitativa è legata al mancato pagamento del canone d’affitto. In Germania i prezzi della locazione sono aumentati in maniera esponenziale negli ultimi dieci anni, con Berlino che nel 2017 è stata la città che più ha sofferto del rincaro a livello globale. Secondo Dieter Rink, sociologo urbano e professore all’Università di Lipsia, esistono due ragioni fondamentali per spiegare questo fenomeno. A partire dal 2010 e per tutto il decennio seguente, si sono trasferite a Berlino tra le tra le 40 e le 50mila persone ogni anno, aumentando così la domanda di alloggi. Parallelamente, con la crisi finanziaria del 2008, sono aumentati anche gli investimenti nell’edilizia. Berlino era vista come mercato immobiliare sottovalutato: c’era l’aspettativa che i prezzi potessero solo crescere. Gli investimenti sono stati indirizzati a immobili di pregio, aprendo così la strada alla gentrificazione: “Nel 2015 il 20% dei movimenti interni alla città erano il risultato di questi processi”, commenta il professore.

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Oggi, la maggior parte degli appartamenti è in mano a poche grandi aziende, che spesso restringono l’offerta per continuare a far salire i prezzi. Queste dinamiche vanno lette anche alla luce del fatto che la metà della popolazione tedesca vive in affitto. “La ragione va ricercata alla fine della Seconda guerra mondiale, quando ad Ovest è stato sviluppato un ampio settore di edilizia sociale, mentre ad Est la maggior parte delle case erano possedute dallo Stato o da associazioni -continua Dieter Rink-. Inoltre il settore degli affitti è molto ampio, di buona qualità e protetto da leggi, per questo è considerato sicuro”.

Ogni anno in Germania vengono costruite 26mila nuove abitazioni di edilizia sociale a fronte di un fabbisogno di circa 200mila. Ad aggravare l’emergenza abitativa anche il fatto che ogni anno scadono i contratti calmierati di circa 70mila appartamenti, che vengono poi affittati a prezzi di mercato

Potersi permettere oggi una stanza in affitto è però sempre più difficile e gli alloggi di edilizia sociale non sono sufficienti: ogni anno vengono costruite circa 26mila nuove abitazioni, contro le 200mila necessarie. E nello stesso periodo oltre 70mila alloggi rientrano nel libero mercato allo scadere dei contratti d’affitto calmierati. “Il problema della carenza di alloggi a prezzi accessibili interessa non solo i gruppi marginalizzati, ma ampi strati della popolazione”, conferma Werena Rosenke, segretaria generale di BAG Wohnungslosenhilfe. Nel piano nazionale realizzato dall’associazione la prevenzione dell’esclusione abitativa occupa un posto prioritario.

Sul tavolo delle alternative del governo però c’è anche la possibilità di implementare strategie di tipo housing first. Questo modello è stato utilizzato con successo a livello nazionale in Finlandia: dal 2008 (anno del primo piano d’azione) al 2020 il numero delle persone senza dimora si è quasi dimezzato, passando da circa 8mila a poco più di 4mila. “A differenza di altri Paesi, qui l’housing first non è un progetto ma un servizio -spiega Elisabetta Leni, ricercatrice italiana presso Y-Foundation, uno dei principali sviluppatori di housing first in Finlandia-. Non c’è limite temporale e questo permette alla persona di ricostruire il proprio progetto di vita ed essere supportata per tutto il tempo necessario”. Il governo ha scelto di puntare sulla riconversione delle strutture d’emergenza in unità abitative permanenti e il più possibile individuali. Parallelamente alla crescita di questi alloggi, Helsinki ha visto diminuire i posti letto nei dormitori: dai 2mila negli anni Ottanta a poco più di una cinquantina nel 2016. Tra i pregi di questo tipo di strategia vengono spesso citati i vantaggi economici per lo Stato, perché si andrebbero a ridurre le spese per alcuni settori come le forze dell’ordine e i servizi d’emergenza. Secondo Leni la logica economica non può costituire il fattore decisionale principale: “Per eradicare l’esclusione abitativa, e non solo gestirla, si devono offrire alle persone soluzioni permanenti”. 


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