Economia / Attualità
La Brebemi arranca ancora. La Corte dei conti fotografa il disastro dell’autostrada lombarda

I magistrati contabili bocciano il prolungamento della concessione e l’aumento dei pedaggi, ultimo spiraglio per cercare un equilibrio nella gestione dell’infrastruttura inaugurata nel 2014 da Renzi, Lupi e Maroni. Il problema, spiega una delibera di fine marzo, è “la non adeguata quantificazione dei flussi di traffico operata in origine” che rende impossibile il pareggio di bilancio. L’indebitamento è sempre intorno ai due miliardi di euro, mentre il 2024 si è chiuso in negativo per quasi 50 milioni
Anche nel 2024, per l’undicesimo anno di fila, il bilancio di Brebemi Spa, la società che gestisce l’autostrada direttissima Brescia-Bergamo-Milano, è in profondo rosso. Dopo il segno meno, sta una cifra pari a quasi 50 milioni di euro (47,58, per la precisione), mentre l’indebitamento netto continua a superare i due miliardi di euro.
Per provare a sollevare le sorti dell’autostrada inaugurata nel 2014 in pompa magna dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, insieme al ministro delle Infrastrutture dell’epoca (Maurizio Lupi, oggi leader di Noi Moderati, nel centro-destra) e al presidente della Regione Lombardia, il leghista (oggi scomparso) Roberto Maroni, il concessionario -la cui controllante si chiama Autostrade Lombarde Spa- ha provato a seguire la strada di una proroga della durata della concessione, di circa sette anni, accompagnata da un aumento dei pedaggi.
Questa strada, però, si è fermata a fine marzo, di fronte a una netta bocciatura da parte della Corte dei conti, che ha “ricusato” (rispedito al mittente) una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) che nel novembre 2024 si era espresso in modo favorevole in un “Parere sulla proposta di aggiornamento del Piano economico finanziario e schema di atto aggiuntivo n. 4 alla Convenzione unica di concessione tra Concessioni autostradali lombarde Spa (Cal) e società di progetto Brebemi per il periodo regolatorio 2021-2025”.
In pratica, i magistrati della Corte dei conti -come già in precedenza l’Autorità di regolazione dei trasporti- hanno evidenziato che in nessuno modo la nuova scadenza della concessione può essere fissata al 31 dicembre 2046, “con una proroga di circa sette anni rispetto alla scadenza precedente del 22 gennaio 2040”, e che l’incremento tariffario programmato -del 3,49% per il 2021, del 5,61% dal 2023 al 2026 e del 4,83% dal 2027 al 2046- non trovava giustificazione nel piano di investimenti, quasi interamente realizzati, e nemmeno considerando le spese per manutenzioni ordinarie, di ammontare complessivo pari a circa 603 milioni di euro fino al 2046.
La Corte, inoltre, ha rilevato l’importanza che il valore nominale di subentro, che nel corso del procedimento Brebemi Spa e Cal avevano immaginato di fissare a 1.450 milioni di euro, fosse riportato a quanto pattuito in precedenza, cioè 1.205 milioni di euro.
Al netto delle considerazioni in punta di diritto dei magistrati contabili, la lettura del dispositivo integrale offre un’utile ricognizione del disastro alla base del fallimento della Brebemi, uno dei tanti progetti inseriti anche nel dossier di Expo 2015. Intanto, aiuta a ricordare che in origine la scadenza della concessione era “fissata in diciannove anni e sei mesi decorrenti dalla data di entrata in esercizio”, quindi considerato che l’autostrada è entrata in esercizio il 23 luglio 2014 avrebbe dovuto scadere a gennaio 2034.
Successivamente, la scadenza è stata già prolungata per un nuovo investimento legato all’interconnessione con l’autostrada A4, per cui -ricorda la Corte dei conti- “erano stati previsti contributi pubblici in conto investimenti a fondo perduto, di ammontare complessivo pari a 320 milioni di euro”.
Da 19 anni e 6 mesi si è già passati, cioè, a 25 anni e 6 mesi di pedaggi incassati, che però non bastano a garantire la sostenibilità a Brebemi Spa. Forse perché il traffico non cresce, come ricordano i magistrati contabili. E se alla base dell’esigenza di riequilibrio del Piano economico e finanziario (Pef) c’è “l’ulteriore riduzione dello sviluppo del traffico nell’arco della concessione” (dal parere del nucleo di valutazione Nars del Dipartimento per la programmazione economica), tale situazione “non appare riconducibile agli effetti del Covid-19, vista la divergenza tra l’andamento effettivo ed andamento stimato anche nelle annualità precedenti”.
Il problema, quindi, è che “le previsioni di traffico si sono dimostrate lontane dalla realtà sin dall’entrata in esercizio dell’arteria autostradale e, nel corso degli aggiornamenti del Pef, sono sempre state riviste al ribasso”. Il valore “sul quale è stato tarato tutto l’intervento nella sua dimensione tecnica ed economica”, nel 2003, era pari a 50mila veicoli al giorno “e non è stato mai raggiunto”.
“La non adeguata quantificazione dei flussi di traffico operata in origine, sostanzialmente confermata nel corso del rapporto, ha compromesso l’equilibrio economico del rapporto contrattuale e ha suggerito le richieste di incremento tariffario. Sulla scarsa propensione degli utenti ad utilizzare l’autostrada ha inciso anche il livello medio iniziale delle tariffe, che risulta uno dei più elevati rispetto alla media dei livelli praticati dai concessionari nazionali. In effetti, come sostenuto dall’Art, l’estensione chilometrica della tratta autostradale, pari a 62 chilometri, risulta inferiore al minimo individuato per gli ambiti ottimali di gestione e costituisce un valore al di sotto del quale è stata rilevata la presenza di significative inefficienze di costo”, conclude la Corte dei conti: l’autostrada, insomma, è stata mal progettata e realizzata, probabilmente, solo per sfruttare i vantaggi del project financing, che permetteva ai soci costruttori del concessionario di eseguire le opere per la realizzazione dell’infrastruttura in house, senza ricorrere a gare e appalti.
Secondo la Corte dei conti, inoltre, “il prolungamento della durata, l’inserimento di un valore di subentro e di un contributo pubblico”, cosa già accadute, vanno “tutte a vantaggio della società concessionaria” e “hanno inciso sull’allocazione del rischio, anche attraverso il relativo trasferimento, almeno in parte, sull’utenza, senza che ciò sia previsto nella convenzione unica né consentito dalla normativa nazionale ed eurounionale”. Un fallimento, insomma, che stanno pagando i pochi utenti che si fermano ai caselli della direttissima Bresca-Bergamo-Milano.
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