Ambiente / Attualità
Inquinamento del Lago di Vico, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso di ClientEarth e Lipu
I giudici amministrativi hanno dato ragione a inizio ottobre alle due organizzazioni, obbligando la Regione Lazio ad attivarsi in difesa della salute dei cittadini, che da anni in provincia di Viterbo non hanno accesso all’acqua potabile. L’uso eccessivo di fertilizzanti nei noccioleti della zona sarebbe tra le cause. Il punto della situazione
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso in appello presentato dalle organizzazioni ambientaliste ClientEarth e Lipu e ha obbligato la Regione Lazio ad attivarsi per la tutela della salute dei cittadini che vivono nei Comuni di Ronciglione e Caprarola (in provincia di Viterbo) che da anni non hanno più accesso all’acqua potabile. Il pronunciamento (pubblicato il 12 ottobre), come scrivono le due organizzazioni in un comunicato congiunto di dieci giorni più tardi, “obbliga la Regione Lazio a esercitare i poteri sostitutivi e attivandosi per garantire la tutela della acque destinate al consumo umano nell’area”.
Al centro di questa vicenda c’è l’inquinamento del lago di Vico, che svolge un ruolo fondamentale per l’approvvigionamento idrico dei Comuni circostanti dove vivono circa 15mila persone. Periodicamente, infatti, all’interno del bacino si verifica una fitta fioritura di alghe che toglie ossigeno all’acqua, innescando così un processo di eutrofizzazione che minaccia la sopravvivenza degli habitat naturali. Queste alghe, inoltre, rilasciano sostanze chimiche cancerogene e tossiche (dette micro-cistine) che non possono essere né uccise né filtrate: una situazione che ha costretto gli amministratori di Ronciglione e Caprarola a dichiarare “non potabile” l’acqua che esce dai rubinetti nei due paesi, con delibere approvate rispettivamente nel 2015 e nel 2012.
Di fronte all’inazione delle istituzioni competenti per contrastare il fenomeno, le due organizzazioni hanno promosso un’azione legale contro la Regione Lazio e nei confronti delle autorità responsabili per il servizio idrico e dei Comuni di Ronciglione e Caprarola. Nei ricorsi presentati davanti al Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio a ottobre 2022 hanno contestato alle istituzioni regionali e locali la violazione di quanto previsto da tre Direttive europee: “Nitrati”, “Conservazione degli habitat” e “Acqua potabile”.
A febbraio 2023 il Tar del Lazio ha emesso le sentenze: i giudici amministrativi si sono espressi in modo concorde sul tema “Nitrati”, imponendo alla Regione Lazio di pronunciarsi in merito all’istituzione di una “Zona vulnerabile ai nitrati” entro novanta giorni, mentre hanno rigettato i ricorsi sui temi “Habitat” e “Acqua Potabile”. ClientEarth e Lipu hanno quindi deciso quindi di fare appello al Consiglio di Stato che ha – ad oggi – dato loro ragione rispetto alle problematiche relative all’inerzia della Regione nel garantire alla popolazione accesso all’acqua potabile
“Nel corso degli anni Regione Lazio ha adottato una serie di delibere regionali che prevedono misure finalizzate a contrastare il fenomeno della proliferazione algale -spiega ad Altreconomia Francesco Maletto, avvocato esperto di diritto dell’ambiente e della biodiversità -. Il codice dell’ambiente prevede che, qualora le autorità locali non agiscano, la Regione deve intervenire ed esercitare i propri poteri sostitutivi. Noi abbiamo presentato un’istanza alla Regione affinché si attivasse ed esercitasse questi poteri sostitutivi, ma non ci ha risposto in maniera soddisfacente. E il Consiglio di Stato ci ha dato ragione”.
Ora la Regione ha 60 giorni di tempo per attivarsi, dando seguito al giudizio espresso dal Consiglio di Stato, prendendo di fatto, come si legge nel testo della sentenza, “tutte le misure idonee a prevenire e contrastare il fenomeno delle fioriture”, tra cui la “messa in atto di tutte le azioni preventive/correttive appropriate al fine di ridurre il rischio di sviluppo di fioriture algali (riduzione del carico di nutrienti)” e la predisposizione di “uno specifico piano per la gestione di eventuali fenomeni massivi di proliferazione algale (blooms), incluso il controllo della filiera idropotabile e dei trattamenti, al fine di rimuovere alghe e tossine dalle acque distribuite per il consumo umano”.
“Oltre a confermare e condannare l’inerzia delle autorità competenti, che si è protratta per anni, nel prevenire e contrastare il fenomeno della fioritura delle alghe tossiche -continua l’avvocato Maletto- la decisione riconosce indirettamente gli effetti deleteri che le monocolture possono avere sugli ecosistemi, che finiscono per riverberarsi sulle comunità locali, le quali, pur beneficiando economicamente di tali attività, ne risultano in ultima analisi gravemente danneggiate, insieme alla biodiversità”.
Responsabili del sovraccarico di nutrienti che favorisce la presenza delle alghe nel lago di Vico sarebbero i fertilizzanti utilizzati nelle aree agricole che circondano il lago caratterizzati per lo più dalla coltivazione intensiva delle nocciole: le piantagioni coprono infatti più di 21.700 ettari nella regione, presentandosi lungo le sponde del Lago di Vico come una monocultura. Anche l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) in un rapporto del 2020 ha evidenziato come i “noccioleti convenzionali, a causa dei trattamenti fitosanitari e di fertilizzazione, rappresentano la principale pressione per la qualità delle acque del lago che ospita numerose comunità vegetali riferite agli habitat Natura 2000”.
In attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’altro ricorso in appello presentato da ClientEarth e Lipu -la sentenza in materia di conservazione degli habitat è attesa per i primi mesi del 2024- l’azione legale può rappresentare un punto riferimento importante anche per altri territori segnati dall’impatto ambientale e sanitario della coltivazione intensiva di nocciole nell’Alto Lazio, come l’area attorno al lago di Bolsena.
Anche da un punto di vista prettamente giuridico, questi ricorsi segnano un precedente importante: “L’azione che abbiamo esercitato ha come finalità quella di stimolare l’attività delle amministrazioni locali nei casi in cui queste non hanno agito o non lo hanno fatto correttamente per affrontare un problema -conclude l’avvocato Maletto-. E lo strumento che abbiamo utilizzato per raggiungere questo obiettivo è un’azione contro il silenzio-inadempimento della Regione. Il Consiglio di Stato ci ha dato ragione, affermando che si tratta dello strumento adatto perché ha come obiettivo quello di stimolare l’esercizio di un’attività amministrativa nel caso in cui l’Amministrazione sia tenuta a provvedere in tal senso”.
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