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Il trasporto aereo è il nuovo carbone. Se vogliamo salvare il Pianeta, i nostri voli devono “decrescere”. Ecco perché

Vista aerea dell’aereoporto Hartsfield–Jackson di Atlanta (USA) istockphoto.com/NNehring

Il numero di passeggeri è più che raddoppiato in meno di quindici anni, con le emissioni globali di CO2 schizzate a quasi 900 milioni di tonnellate. Ma il settore non è regolamentato ed è sotto tassato, e questo fa sì che prendere un aereo risulti estremamente economico rispetto ad altri mezzi di trasporto. La nostra inchiesta

Tratto da Altreconomia 217 — Luglio/Agosto 2019

Il cielo è segnato dalle rotte aree che uniscono 21.332 città. A fine 2018 i punti collegati con regolarità sono 1.300 in più rispetto al 2017. Alcuni si divertono a osservare sul web il “traffico”, usando piattaforme come FlightRadar24 o RadarVirtuel, ma ciò che accade davanti ai loro occhi fissi sugli schermi non è un gioco: dietro a quegli aereoplanini ci sono motori veri spinti da combustibili fossili, sui quali nel 2018 hanno volato 4,3 miliardi di passeggeri, salendo su circa 38 milioni di voli, secondo i dati resi pubblici dall’ICAO (Organizzazione internazionale dell’aviazione civile, icao.int). Nel 2015, appena tre anni prima, erano stati circa 3,5 miliardi, mentre i decolli erano stati 34 milioni. La crescita nel numero di persone che hanno volato è impressionante: 23%, quasi un quarto; ed è addirittura di un punto superiore l’aumento registrato nei chilometri percorsi in cielo, più 24,2% (significa che mediamente le tratte sono diventate più lunghe). Il 2015 non è un metro di paragone scelto a caso: nel dicembre di quell’anno, infatti, alla conferenza sul clima di Parigi (COP21), 195 Paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. Ha l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, e per farlo c’è un’unica strada: ridurre le emissioni di gas climalteranti. E se si fa un passo indietro al 2005, l’anno in cui è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto, il primo documento vincolante con l’obiettivo di ridurre le emissioni e i loro effetti negativi, si capisce che il problema è ormai quasi cronico: quell’anno gli aerei avevano trasportato “appena” 2 miliardi di persone. Questo significa che il numero di passeggeri è più che raddoppiato in meno di quindici anni, con le emissioni globali di CO2 schizzate a quasi 900 milioni di tonnellate. Ogni jet bimotore che vola per un’ora, con 150 passeggeri a bordo, brucia 2.700 chilogrammi di cherosene (un carburante che si ottiene nella distillazione del greggio di petrolio, come frazione intermedia tra la benzina e il gasolio), ed emette 8.500 chilogrammi di CO2, ma anche ossidi di azoto, ossidi di zolfo, monossido di carbonio.

Per osservare le dinamiche in profondità si può restringere lo sguardo all’Europa, pur sapendo che nove dei dieci mercati che crescono più in fretta stanno fuori dal vecchio continente, e che solo due dei dieci mercati più grandi in termini assoluti (per numero di viaggiatori) sono europei, secondo l’ultimo rapporto dell’International Air Transport Association (IATA, iata.org). Nell’Ue, mentre altri settori facevano sforzi enormi per ridurre le emissioni di gas climalteranti (tra il 2005 e il 2016, ad esempio, la quantità di energia elettrica prodotta in Europa da fonti rinnovabili è raddoppiata in termini assoluti, ed anche in percentuale, passando dal 14,8 al 29,6%), quelle dell’industria dell’aviazione hanno continuato a crescere senza sosta. Hanno fatto un salto del 26,3% tra il 2014 e il 2018, se si guarda esclusivamente ai voli con partenza e atterraggio all’interno dell’Unione europea. Con grave ritardo, almeno a parole, l’Europa s’è accorta che il settore è completamente fuori controllo, tanto da aver pubblicato -nel 2016 e quindi nel 2019- l’European Aviation Environmental Report. “Il settore dell’aviazione presenta esternalità che non possono essere sottovalutate. Il traffico cresce ogni anno, e lo stesso fanno gli impatti ambientali e sulla salute”, ha scritto nell’introduzione Violeta Bulc, slovena, commissario ai Trasporti tra il 2014 e il 2019. “L’aviazione vale il 3% delle emissioni globali di gas climalteranti e le stime di lungo periodo indicano che il traffico continuerà a crescere”, ha spiegato nel suo intervento l’europarlamentare francese Karima Delli, che fa parte del Gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea e ha presieduto la Commissione trasporti e turismo fino al maggio 2019.

L’orizzonte del Report è l’anno 2040: secondo le stime, a quella data le emissioni, già raddoppiate tra il 1990 e il 2016, saranno aumentate di un ulteriore 21%, con una crescita del 42% nel numero dei voli. E anche se questo darebbe conto di una maggiore efficienza, “questi risultati non sono sufficienti a controbilanciare il volume maggiore di CO2 emessa legato all’aumento dei voli, delle dimensioni medie degli aeromobili e della distanza percorsa”, prosegue l’European Aviation Environmental Report 2019. “Il rapporto conferma con i trend e le prospettive dell’aviazione non sono compatibili con l’esigenza di proteggere l’ambiente, il clima e la salute pubblica” commenta Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Agenzia europea per l’ambiente (EEA, eea.europa.eu). Non esiste, insomma, un’opzione alternativa: bisogna ridurre il numero di biglietti aerei acquistati, la rincorsa al low cost, l’idea che sia normale e logico spostarsi per un weekend nelle città europee, o verso quelle del Medio Oriente o dell’Africa mediterranea, perché tanto il biglietto costa meno di quello di un treno tra Roma e Venezia, o tra Milano e Firenze. Andrew Murphy, che lavora presso il centro studi indipendente Transport & Environment (T&E, transportenvironment.org), con sede a Bruxelles, è convinto che l’aviazione rappresenti per l’Europa il peggiore fallimento in termini di politiche sul clima (“biggest climate failure”), e che i vettori low cost, come Ryanair, siano “the new coal”, il nuovo carbone, inteso come il più inquinante tra i combustibili fossili. Spiega ad Altreconomia: “Il settore è assolutamente non regolamentato e sotto tassato, e questo fa sì che prendere un aereo risulti estremamente economico rispetto ad altri mezzi di trasporto. Finché i governi non affrontano seriamente il tema, regolando le emissioni, non possiamo che aspettarci questa crescita continua”. “Alcuni Paesi europei -continua Murphy- hanno messo completamente fuori legge il carbone: i risultati si sono visti, le emissioni per il suo settore stanno scendendo, ma i risultati positivi sono in parte vanificati dall’aumento della CO2 del traffico aereo”. Secondo Murphy, non c’è alcuna prospettiva per un cambio di rotta. A livello globale s’è immaginato di applicare al settore un meccanismo denominato CORSIA (acronimo di Carbon Offsetting and Reduction Scheme for International Aviation), che però presenta parecchi limiti: avrà come base le emissioni del 2020, sarà volontario fino al 2027 e non si pone come obiettivo la riduzione delle emissioni ma di generare meccanismi per “compensare” le proprie emissioni, acquistando i crediti prodotti da progetti green, secondo un modello già visto in atto con il Clean Development Mechanism e di cui la stessa Commissione europea ha riconosciuto l’inefficacia. “Non esiste in assoluto alcun meccanismo di compensazione che in qualche modo possa ridurre le emissioni” sostiene il ricercatore di T&E. Perché ciò che sta accadendo è senza dubbio epocale, e risposte efficaci non possono che essere radicali: nel 2018, secondo i dati della Commissione europea elaborati da T&E, in quattro Paesi europei una compagnia aerea è risultata il primo soggetto per emissioni complessive di gas climalteranti. Si tratta, rispettivamente, di Easyjet nel Regno Unito, di Ryanair in Irlanda, di Norwegian in Novergia e di SAS in Svezia. In altri 12 Paesi europei, e tra questi non c’è l’Italia, una compagnia aerea risulta tra i primi dieci soggetti per emissioni. Ci sono cinque Paesi dove le compagnie aree sono due, su dieci. E nella piccola Malta il dato sale a cinque.

Gli attivisti del movimento “Extinction Rebellion” nel Regno Unito hanno pubblicato sul proprio sito una “Heathrow Action Proposal”, in cui rivendicano il diritto a manifestare in forma non violenta contro il progetto di costruzione di una terza pista del principale aeroporto londinese

Sempre nel 2018, per la prima volta, Ryanair è entrata in decima posizione nella classifica dei dieci “grandi emettitori” europei. Un record per la low cost domiciliata nello Stato a fiscalità agevolata dell’Irlanda, che nel 2018 ne ha stracciati altri, come evidenzia il Ryanair’s 2018 Annual Report: è cresciuta la flotta (+13% rispetto all’anno precedente, a 431 aerei) e il numero di passeggeri (fino a 130 milioni, +9%), oltre ovviamente a ricavi (7,15 miliardi di euro, +8%), utili (1,45 miliardi di euro, + 10%) e utili per azione (1,22 euro, + 15%). Intanto, Ryanair apportava il proprio contributo di 9,9 milioni di tonnellate di CO2 alle emissione complessive dell’industria europea dell’aviazione commerciale, che hanno toccato i 67,5 milioni di tonnellate, ed hanno quasi pareggiato le emissioni totali di un Paese di oltre 10 milioni di abitanti, il Portogallo (72,5 milioni nel 2016). Scrivere della multinazionale irlandese obbliga ad entrare in un terreno minato per il traffico aereo, quello legato al turismo (anche quello dei weekend mordi-e-fuggi): a livello mondiale, oltre la metà dei turisti che nel 2018 hanno attraversato un confine, in tutto 1,4 miliardi di persone, lo hanno fatto volando. Se guardiamo all’Italia, invece, la compagnia irlandese risulta il primo vettore in 20 de 41 scali principali, secondo i “Dati di traffico 2018” dell’ENAC (enac.gov.it). In un articolo pubblicato nel maggio del 2018 dalla rivista Nature, “The carbon footprint of global tourism”, si spiega che il turismo ed i turisti generano l’8% delle emissioni globali di gas serra, e che l’1% circa delle emissioni globali dipende oggi esclusivamente dal trasporto aereo di turisti. L’impatto sociale ed ambientale del turismo non è solo quello diretto. Guardiamo all’Italia: il numero dei passeggeri che sono transitati per l’aeroporto di Treviso nel 2018, “satellite” della città di Venezia, sono stati 3,27 milioni. Il 98% è arrivato o partito utilizzando un vettore low cost, e l’aumento del traffico dal 2009 è pari all’86,2%, oltre il doppio dell’aumento -pur consistente, 42%- che s’è registrato negli stessi anni su scala nazionale. A livello globale le compagnie low cost generano il 31% del traffico. In Europa arrivano al 36%. In Italia, caso da manuale, hanno superato il 50% (nel 2018, fonte ENAC).

L’aumento del traffico porta con sé la pressione per la continua espansione della rete aeroportuale, “anche se questo avviene in assenza di una strategia, di una pianificazione che permetta di investire risorse dove serve -sottolinea Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente-: a Roma si pensa a una quarta pista, a Firenze la seconda, a Bologna è in corso un allargamento dello scalo, a Parma l’allungamento della pista”. C’è anche Salerno, uno scalo da 6.500 passeggeri nel 2018 (da “aviazione generale”, non per servizi commerciali) che potrebbe nei prossimi anni raggiungere i 4 milioni di utenti. A metà giugno il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha firmato infatti il decreto che dà il via libera a un innovativo progetto di integrazione industriale dello scalo salernitano con l’Aeroporto di Napoli, per lo sviluppo della Rete aeroportuale campana. La stima è che il nuovo Sistema possa generare un traffico di circa 15 milioni di passeggeri all’anno distribuiti sui due scali di Napoli (10 milioni di passeggeri nel 2018) e Salerno, che a regime può arrivare a circa 17 milioni. “Per la realizzazione dell’infrastruttura aeroportuale sono previsti circa 500 milioni di euro di investimenti pubblici e privati sui due scali della Regione Campania”, spiega un comunicato del ministero dell’Economia. Gli attivisti del movimento “Extinction Rebellion” (rebellion.earth, vedi Ae 212) nel Regno Unito hanno pubblicato sul proprio sito una “Heathrow Action Proposal”, in cui rivendicano il diritto a manifestare in forma non violenta contro il progetto di costruzione di una terza pista del principale aeroporto londinese. “Siamo l’ultima generazione?”, ammoniscono i loro striscioni. 

“A che cosa serve crescere ancora, se il traffico aereo deve rallentare?”, chiedono alle istituzioni, responsabili di inazione. Che cosa sta accadendo ad Heathrow? In questo scalo che nel 2018 ha visto il transito di 78 milioni di passeggeri, e ha una capacità di 480mila movimenti all’anno, è in programma la “Heathrow Expansion”, con l’obiettivo di raggiungere i 130 milioni di passeggeri (circa 25 milioni in più rispetto a quelli che nel 2018 sono passati per Atlanta, lo scalo più trafficato al mondo), arrivando a una capacità di 740mila movimenti. Tra le proposte collegate all’investimento, nell’ambito dell’“Heathrow’s 9-point plan to connect the UK” c’è l’abolizione dell’Air Passenger Duty, una delle poche forme di tassazione sui biglietti aerei presenti in tutta Europa. Una misura che servirebbe a “spingere la domanda” secondo British Airports Authority plc, la società privata che gestisce lo scalo. Eppure, nel 2019 le tariffe medie per un biglietto di andata e ritorno saranno del 61% inferiori a quelle registrate nel 1998, secondo le proiezioni di IATA, contenute nel rapporto Economic Performance of the Airline Industry. È per questo che secondo Transport&Environment vanno applicati modelli di tassazione al settore dell’aviazione: probabilmente è l’unico modo per frenare la corsa del consumatore al biglietto. Lo conferma un report commissionato dalla Commissione europea, diffuso da T&E nel maggio del 2019. Si tratta di un leak, una fuga di notizie: non è stato diffuso forse perché evidenzia come i Paesi europei potrebbero iniziare a tassare il cherosene, come accade già in Canada, negli Usa, ad Hong Kong, in Australia, Giappone, Armenia, Laor e Myanmar, tra gli altri. Introdurre un’accisa di 0,33 euro al litro, la più bassa nella finestra indicata dall’Energy Taxation Directive del 2003, permetterebbe di incassare 26,5 miliardi di euro e al contempo andrebbe a ridurre dell’11% traffico ed emissioni.

L’aeroporto di Bergamo Orio al Serio, terzo scalo in Italia per numero di passeggeri. In Italia nel 2009 la tratta aerea più trafficata era quella tra Milano Linate e Roma Fiumicino. Quell’anno l’hanno utilizzata 1,72 milioni di passeggeri. Nel 2018 sono stati appena 1,09 milioni, il 36,6% in meno (a fronte di una crescita del 42% del traffico aereo)Traffico drenato dall’Av ferroviaria – © Paul Barker Hemings

Per quanto riguarda l’Italia, il ministero dell’Ambiente ha calcolato – nel “Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi”- che l’esenzione dall’accisa sui prodotti energetici impiegati come carburanti per la navigazione aerea costi al nostro Paese 1,5 miliardi di euro all’anno. “Dobbiamo tassare il cherosene, come vengono tassati i carburanti usati dalle auto” sottolinea Murphy. C’è un’iniziativa dei cittadini europei (ICE) sul tema, appena pubblicata: il 10 maggio 2020 è il termine ultimo per raccogliere 1 milione di firme, in tutta Europa (eci.ec.europa.eu/008/public/#/initiative). Servono a chiedere alla Commissione la fine delle esenzioni fiscali per l’aviazione. Per salvare il clima.

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