Diritti / Opinioni
In Polizia non ci sono cretini
La risposta del capo della Polizia Pansa alle violenze durante la manifestazione romana del 12 aprile dimostra che le nostre forze dell’ordine hanno bisogno di un bagno di umiltà e di democrazia
“Abbiamo un cretino da identificare”. Questa frase di Alessandro Pansa, capo della Polizia, pronunciata il 14 aprile scorso, può essere considerata emblematica di un modo di interpretare i ripetuti episodi di abusi e gratuite violenze che hanno come protagonisti agenti in servizio di ordine pubblico.
Pansa si riferiva alle prime immagini comparse in rete all’indomani della manifestazione per il diritto alla casa di sabato 12 aprile: si vede un poliziotto, in borghese ma con casco e manganello, che calpesta una ragazza sdraiata in terra in posizione del tutto inoffensiva. L’eloquenza fisica dell’episodio e la sua rapida diffusione attraverso i social network e i maggiori siti d’informazione hanno spinto il capo della Polizia a pronunciarsi pubblicamente sul fatto, ma Pansa non ha trovato di meglio che definire il suo agente un “cretino”, un’espressione colorita utilizzata con il chiaro intento di circoscrivere l’espisodio e chiudere il caso.
L’agente si è poi consegnato alla questura (pare che abbia spiegato di avere scambiato la ragazza per uno zaino…), ma il caso è tutt’altro che chiuso, tanto che Pansa dev’essersi morso la lingua di fronte ai nuovi video sulla giornata del 12 aprile diffusi subito dopo la sua sortita e ancora di più davanti a quelli relativi a uno sgombero di un edificio occupato eseguito pochi giorni dopo, mercoledì 16. In entrambi i casi si assiste a scene che a molti sono sembrate materiali d’archivio presi dalla madre di tutte le “cretinate”, cioè dalle giornate del G8 di Genova nel 2001. Sono scene di ordinaria e inutile violenza su persone inoffensive, isolate, sdraiate in terra: più agenti e a più riprese si avvicinano e colpiscono con calci e manganellate. A Genova nel luglio 2001 vi furono numerosi episodi pressoché identici.Alcuni di questi sono sfociati in processi sia in sede penale (nei pochi casi in cui è stato possibile identificare i responsabili), sia in sede civile. In questi ultimi procedimenti il ministero degli Interni è stato condannato a pagare dei risarcimenti ai malcapitati cittadini picchiati senza motivo. È un peccato che Alessandro Pansa abbia dimenticato (rimosso?) quegli episodi, che più di altri avvenuti in anni seguenti, hanno avuto un’eco mediatica e giudiziaria: si sarebbe risparmiato l’uscita sul “cretino da identificare” e la figuraccia rimediata con i video usciti nei giorni successivi.
Ma la sua dimenticanza, o rimozione che sia, ha un chiaro significato rivelatore: il nuovo capo della Polizia ha semplicemente ereditato e fatto propria la linea di condotta dei suoi predecessori, Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli, che di fronte ai clamorosi abusi di Genova e ai numerosi episodi simili avvenuti in seguito, hanno scelto di minimizzare, coprendo di fatto i responsabili diretti degli abusi (quando non ripresi dalle telecamere) e in linea generale legittimando una condotta che considera accettabili gli eccessi di potere e l’uso sproporzionato della forza, come una sorta di prassi che non vale la pena contrastare. Non di “cretini” si tratta, ma di agenti che non hanno mai ricevuto chiari e solenni messaggi di rigetto di simili aberranti comportamenti. La lezione scaturita dai fatti del 2001 e dai successivi processi sarebbe in fondo chiara: le nostre forze dell’ordine hanno bisogno di un bagno di umiltà e di democrazia, cioè di una svolta che deve necessariamente partire dall’alto ed essere sostenuta con forza e convinzione dall’esterno (in primo luogo da governo e parlamento). Si tratterebbe di attuare qualche riforma, a cominciare dall’introduzione dei codici di riconoscimento sulle divise (garanzia per i cittadini e deterrente rispetto a certe dissennate prassi), da una vera legge sulla tortura (non quella approvata dal Senato che non la qualifica come reato specifico del pubblico ufficiale), da una radicale riforma dei criteri di formazione degli agenti, vittime di un generale imbarbarimento della cultura interna alle forze dell’ordine.
La figura del “cretino” evocata da Pansa, nel contesto attuale, è un boomerang sul piano logico e quindi un’affermazione di imperdonabile leggerezza per un dirigente di rango così elevato.
A meno che non si voglia sostenere che in fondo si tratta, appunto, di “cretinate” e che i diritti civili in questo nostro Paese possono essere letteralmente calpestati. —