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Diritti / Opinioni

In memoria di don Pierluigi Di Piazza, amico e maestro d’inesauribile umanità

È trascorso un anno dalla morte del fondatore del Centro Ernesto Balducci di Zugliano (Udine). In una terra difficile ha fatto dell’accoglienza una scelta non di “prestazione” ma di condivisione e di crescita con l’altro. Scomodo per la società, la politica e anche per la chiesa, la sua luce illumina ancora. Il ricordo di Gianfranco Schiavone

Non mi è facile scrivere di don Pierluigi Di Piazza, a un anno della scomparsa di una persona che mi è stato amico e maestro e che ritengo sia stato uno dei grandi del nostro tempo. Un’epoca, quella che vivono l’Italia e l’Europa, segnata da forti ostilità e da un apparente rifiuto della prospettiva delineata da Ernesto Balducci, sacerdote e filosofo scomparso trentun anni fa (1992), ispiratore di Di Piazza, che nella sua opera forse più significativa, “L’uomo planetario” ci ricorda che “La novità della situazione storica è che ormai l’umanità si trova raggruppata in un breve spazio nel quale si stanno consumando le pareti di separazione tra le molte etnie, e quel che più conta, raggruppata sotto una medesima minaccia di morte […]. Ma ormai dove sono le patrie? La minaccia di morte che investe tutti i popoli della terra ci sta venendo incontro in vari modi, ciascuno dei quali di dimensione planetaria: come una selva di missili, o come catastrofe dell’equilibrio ecologico, dentro il quale l’umanità è incastonata, o come irruzione caotica dei popoli della fame dentro lo spazio in cui banchettano i popoli dell’opulenza. In una situazione siffatta, i punti di vista da cui giudicare le scelte umane, anche le più private (come se procreare un figlio), sono ridotti ad unità” (Ernesto Balducci, L’uomo planetario, 2005, Giunti editore).

Già trent’anni fa Balducci ci poneva dunque, con straordinaria lucidità, di fronte a tutti i nodi irrisolti dell’oggi, e in particolare a due di essi: il ritorno delle guerre come tragico orizzonte di vita e di morte di un’umanità che non sembra riuscita “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità” (Statuto delle Nazioni Unite, 26 giugno 1945) e l’irrompere delle migrazioni di quei di popoli della fame, per riprendere le parole di Balducci, che chiedono un diverso ordine internazionale. La loro irruzione oggi produce fortissime torsioni nelle nostre democrazie occidentali, strette tra gli obblighi giuridici di tutela dei diritti fondamentali della persona, in particolare di coloro che fuggono da guerre e persecuzioni, e un quadro reale fatto di brutale violazioni delle nostre stesse leggi e di generale eclissi dei diritti umani nel dibattito pubblico.

Pierluigi Di Piazza era pienamente consapevole della crescente lontananza tra la necessità, delineata da Balducci, della nascita dell’uomo planetario, e la realtà di un uomo contemporaneo che appare invece sempre più identitario e quindi feroce nella difesa della sua condizione di privilegio. Per questa ragione aveva scelto, fin dalla fondazione del Centro Balducci, a Zugliano (Udine), l’accoglienza come la dimensione di vita che sentiva a lui più vicina. Nel 2018, in uno dei suoi molti libri (e quello a me più caro) scriveva fin dalla sua prima pagina che “L’accoglienza, infatti, riguarda il dentro e il fuori di me, il luogo in cui vivo e tutti i luoghi del Pianeta; dall’accoglienza mi sento avvolto, attraversato, frastornato, ma certo sempre arricchito. Riguarda dimensioni personali intime e azioni concrete; il Vangelo e la Costituzione, i diritti umani proclamati e la concreta prossimità. A me pare che l’accoglienza riguardi il senso stesso della vita; che viverla renda umani, negarla meno umani fino alla disumanità. I fatti che accadono sono una conferma o una negazione dell’accoglienza, comunque una provocazione a riflettervi” (Pierluigi Di Piazza, Non girarti dall’altra parte. Le sfide dell’accoglienza, 2019, Nuova dimensione editore).

Scrive ancora Pierluigi: “Gesù di Nazareth è uno straordinario maestro dell’accoglienza; il suo essere vibra continuamente di compassione nei confronti delle persone con particolare a chi fa fatica, a chi è ai margini: i bambini trascurati, le donne considerate inferiori e sottomesse, i malati giudicati punti da Dio ed emarginati, le persone che hanno sbagliato, scomunicate dalla religione del tempio, la gente del popolo disprezzata dalle classi dirigenti, dai sacerdoti, dagli scribi, dal sinedrio. La sua è un’accoglienza che abbatte le separazioni tra sacro e profano, puro ed impuro, che afferma concretamente uguaglianza, giustizia, fratellanza”. Il Gesù dell’accoglienza, riferimento di Pierluigi, risuona in modo uguale nelle parole di Ernesto Balducci che nuovamente riprendo dalle pagine conclusive dell’uomo planetario dove scrive: “Gesù di Nazareth non intese una nuova religione a quelle esistenti ma, al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscano all’uomo di essere fratello all’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato. Egli disse: quando sarò sollevato da terra attirerò tutti a me. Non prima, dunque, ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, egli entrò nell’angoscia ed emise il suo spirito, spogliato di tutte le determinazioni. Non era più allora né di razza semitica, né ebreo, ne figlio di David. Era universale, com’è universale la qualità che in quell’annullarsi divampò: l’amore per gli altri fino all’annientamento di sé. È in questo annientamento per amore la definizione di Gesù, uomo planetario”.

Come il sottoscritto, anche Pierluigi era convinto che “le migrazioni sono il fenomeno più importante, decisivo e dirimente della storia attuale” e per questo aveva fatto dell’accoglienza il centro della sua azione sociale, politica e spirituale”, constatando dolorosamente che “nel momento in cui siamo chiamati a leggere e affrontare queste grandi questioni purtroppo si deve constatare la mancanza diffusa della dimensione e delle qualità che sarebbero quanto mai necessarie, indispensabili: quelle della cultura nel senso antropologici ampio e profondo del termine. Siamo tristemente in una situazione di degrado culturale e di conseguenza anche etico, politico e legislativo”.

Il fatto che il Centro Balducci rappresenti, da decenni, un punto di riferimento culturale a livello internazionale e sia nello stesso tempo e prima di tutto una struttura di accoglienza per migranti e rifugiati nasce dalla profonda convinzione di Pierluigi che accogliere non è erogare un carnet di prestazioni e servizi di buona qualità idonei a passare l’esamino di qualche ispezione amministrativa, bensì è un percorso di condivisione e di crescita con l’altro. L’accoglienza rivela “chi siamo noi: qual è la nostra sensibilità, la nostra cultura nel senso gramsciano, in particolare quella dei diritti umani; qual è la nostra etica, la nostra economia, la nostra politica e la legislazione, la fede religiosa per chi vi fa riferimento e comunque il nostro grado di umanità”.

Le scelte di accoglienza condotte nei decenni da Pierluigi, e oggi da coloro che, con fatica, cercano di “diventare degni eredi di una storia che ha provato a piantare semi di inedita fraternità” (Paolo Iannaccone, Un anno fa la scomparsa di Pierluigi Di Piazza, profeta di giustizia e di pace, su Articolo 21) sono sempre state libere e orientate a difendere i diritti delle persone accolte, ed in particolare i diritti di coloro che sono stati esclusi proprio dall’accoglienza concepita come mera erogazione di una prestazione resa nell’ambito di un progetto e di un contratto da rispettare. Ciò ha portato il Centro Balducci a fare scelte coraggiose e ad essere, specie in un territorio difficile come il Friuli-Venezia Giulia, un soggetto scomodo per la società, la politica e anche per la chiesa. Ci ricorda Pierluigi di aver “vissuto l’amarezza della non accoglienza che ha sempre caratterizzato il mio essere prete, sentendomi tuttavia parte della Chiesa come comunità di fede che si nutre di Gesù e del suo Vangelo in modo convinto e nello stesso tempo in modo sofferto”.

In modo speculare, essere un luogo di accoglienza nel quale le persone possono ricostruire una dimensione di vita normale (non quindi un “centro” di accoglienza nel senso negativo che questa parola ha purtroppo assunto in Italia negli ultimi decenni) si è perfettamente coniugato, per il Centro Balducci, con la scelta di essere un luogo di inesauribile produzione di cultura per il Friuli-Venezia Giulia, l’Italia e l’Europa in un periodo in cui la cultura appare spesso ripiegata su sé stessa e incapace di fornire alle persone chiavi di lettura su cui orientare le loro scelte di vita. Una cultura che per Pierluigi, come per Antonio Gramsci Cultura, non è “possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri. Ha chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”.

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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