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In Chiapas la rivoluzione delle pratiche zapatiste non si è mai fermata

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Nel libro “Indios senza re” la giornalista Orsetta Bellani racconta la storia del movimento zapatista e le sue comunità autonome. Dall’insurrezione del 1994 a oggi, una ricostruzione del radicale cambiamento politico e culturale che nel Sud del Messico ha creato un’altra società

“Nei loro territori in Chiapas gli zapatisti hanno costruito un altro mondo. In Messico gli indigeni sono oppressi dallo Stato: il movimento zapatista ha creato una società autonoma dove si garantisce il diritto all’educazione, alla salute e alla giustizia”. Da qui Orsetta Bellani, giornalista freelance e collaboratrice di Altreconomia, si muove per raccontare la natura del cambiamento radicale avviato dal movimento zapatista nello Stato del Messico meridionale. In “Indios senza re”, ripubblicato in versione aggiornata nel 2020 dalla casa editrice indipendente La Fiaccola, l’autrice ripercorre il passato e il presente degli zapatisti attraverso una narrazione, rafforzata dalla sua conoscenza diretta del Sud-Est messicano, che dalla rivoluzione del 1994 arriva fino ai nostri giorni. Il saggio, ricco di fonti e interviste dirette, permette al lettore di conoscere il contesto zapatista e comprendere le motivazioni che hanno portato alla fine del Novecento alla formazione dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) e alla rivoluzione sociale iniziata il primo gennaio 1994, quando gli indigeni si ribellarono all’oppressione di cui erano vittime, e che continua ancora oggi.

“Il titolo è una citazione dello scrittore Eduardo Galeano tratta da un paragrafo del suo libro ‘Specchi’. Credo colga molto bene la natura delle realtà zapatiste anche se in quel caso era stata utilizzata per spiegare la cultura degli antichi maya”, afferma Bellani. “L’autore racconta lo stupore dei conquistadores che nel Cinquecento si ritrovarono di fronte a un popolo senza sovrani. I maya si autogovernavano in maniera orizzontale e senza vertici. Credo sia l’essenza dello zapatismo”, aggiunge. È la natura comunitaria delle loro pratiche, per cui “il popolo comanda e il governo ubbidisce”, a essere ricostruita dalla giornalista. “Non avere un’autorità non significa non rispondere a un’organizzazione o non avere una disciplina. Al contrario vuol dire ridefinirla secondo un sistema assembleare e di partecipazione dal basso”, prosegue. Una forma di potere diluito che in Chiapas inizia con le giunte di buon governo che gestiscono le dodici zone (caracoles) in cui è suddiviso il territorio zapatista. Si occupano di controllare che le leggi siano rispettate e di mediare i conflitti nei municipi autonomi: sono espressione di una forma di democrazia diretta i cui membri “comandano obbedendo”, non ricevono compensi e sono controllati dalla commissione di vigilanza che monitora eventuali casi di favoritismo e corruzione.

“Il movimento ha portato a un evidente miglioramento delle condizioni di vita della popolazione indigena che era sottoposta a violente forme di oppressione e discriminazione. Gli indios non avevano accesso all’educazione, erano sfruttati nelle campagne e considerati un oggetto dei padroni. Una condizione che l’Ezln ha permesso di superare”, spiega Bellani. Secondo stime ufficiali, si legge nel libro, in Chiapas all’inizio degli anni Novanta morivano circa 14.500 persone ogni anno per malattie curabili, come problemi respiratori e salmonella: la situazione è cambiata grazie al sistema creato dall’Ezln che nei suoi territori ha aperto cliniche e consultori. Nelle Case di salute comunitarie si garantisce il diritto alla salute attraverso il recupero di pratiche curative indigene affiancate alla medicina occidentale: i promotores de salud viaggiano per le comunità spiegando alle famiglie come conservare gli alimenti e dando consigli sull’igiene personale e della casa.

“Nei caracoles l’Ezln ha garantito il diritto all’educazione. Le lezioni si tengono in spagnolo e in lingua tzeltal, la lingua nativa, perché uno degli obiettivi è decolonizzare il sistema educativo che in Messico tende ad assimilare i popoli indigeni alla cultura meticcia”, continua Bellani. Bloccare i tentativi di assimilazione che provengono dallo Stato centrale, e rafforzare il percorso verso l’autonomia, è uno degli obiettivi dell’Ezln. Per questo gli zapatisti rifiutano i programmi assistenziali del governo che concedono aiuti economici alle famiglie più povere. Come il programma Prospera che distribuisce alle donne 130 pesos al mese (meno di nove euro): un apporto minimo che non permette di superare le reali difficoltà della vita familiare, considerato dall’Ezln una tecnica controinsurrezionale che spinge i beneficiari ad allontanarsi delle pratiche rivoluzionarie. Al loro posto c’è la Banca autonoma zapatista che presta denaro alle famiglie con un interesse che varia dal 3% al 5%, e scende al 2% se la richiesta è motivata da una malattia che implica una spesa in medicine e cure, con l’obiettivo di incentivare il lavoro nelle comunità.

“Dalla rivoluzione zapatista è iniziato un processo di liberazione delle donne, sottoposte all’oppressione anche in quanto indigene e povere”, aggiunge Bellani. “La loro situazione è cambiata. Ora partecipano alle manifestazioni, parlano, ricoprono incarichi politici importanti. Il loro è un percorso di emancipazione contro la cultura colonialista e patriarcale”. Una liberazione in divenire come quella zapatista per il raggiungimento dell’autonomia. “Lento, pero avanzo”, si legge sulle pareti di una casa in una comunità zapatista fotografata da Bellani e inserita nel saggio. “Lento, ma vado avanti”.

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