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Il rito del Maha Kumbh Mela in India. Mescolando sacralità, tecnologia e propaganda
Sulle rive sacre alla confluenza di Gange e Yamuna sono attese quest’anno oltre 400 milioni di persone, per il festival religioso più grande al mondo nonché il raduno umano più partecipato di sempre. Per i fedeli hindu bagnarsi in quelle acque significa purificarsi dai peccati e ottenere la liberazione dal ciclo delle rinascite e della reincarnazione. Alla retorica religiosa si somma però quella politica del progetto della destra hindu che fa capo al primo ministro Narendra Modi
Tra metà gennaio e la fine di febbraio oltre 400 milioni di persone si riuniranno alla confluenza dei fiumi Gange e Yamuna (e il mitologico, invisibile Saraswati) per il Maha Kumbh Mela, il festival religioso più grande al mondo e il raduno umano più partecipato di sempre a Prayagraj, India settentrionale. Per i fedeli hindu bagnarsi nelle acque sacre in questa occasione significa liberarsi da tutti i peccati e ottenere il moksha, la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni: un rito di purificazione che si ripete ogni 12 anni, in numeri sempre più grandi.
Donne e uomini di ogni casta, anziani, bambini, sadhu (asceti hindu) e turisti sono arrivati dai quattro angoli del subcontinente per celebrare un rito che si tramanda da secoli, secondo la narrativa hindu. Le sue origini incerte sfumano nella mitologia, nella lotta tra dei e demoni per impossessarsi di un’anfora, kumbh, piena di amrita, il nettare dell’immortalità. Quattro gocce caddero a Ujjain, Haridwar, Nashik e Allahabad (l’ex nome di Prayagraj) dove oggi, in base a specifiche congiunzioni di sole, luna e Giove si celebrano a rotazione i festival. Quello che si tiene a Prayagraj ogni 12 anni è il più importante e spettacolare.
Storicamente non esistono evidenze di raduni di massa assimilabili al Kumbh precedenti alla metà del XIX secolo. Secondo diversi studiosi di sanscrito e scritture sacre, si tratta di un adattamento di antiche leggende a una pratica successiva che ha voluto rintracciare le radici di un pellegrinaggio rituale in un passato più lontano, mitologico. Diverse tesi sostengono che è solo durante il Raj britannico che il raduno prese forma come momento di incontro e dibattito filosofico tra le varie sette di monaci hindu. Nel 2017 il Kumbh Mela è stato incluso nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco.
Per un giorno, la città temporanea eretta in pochi mesi sul letto dei fiumi sacri in periodo di secca diventerà la più grande al mondo, con circa 100 milioni di pellegrini attesi nel giorno principale, Mauni Amavasya. Una vasta spianata sabbiosa alla confluenza dei fiumi è stata convertita in una gigantesca tendopoli, traballante e polverosa, sulla quale troneggiano gli ashram dei guru più influenti. Gli altoparlanti gracchiano incessantemente mantra, che si confondono con il rumore di fondo della città e le voci di quanti cercano i propri cari, persi nella folla. Quando cala il buio, uno spettacolo di droni mette in scena elementi sacri nel cielo che sovrasta la città di tende.
Il tentacolare accampamento si estende a perdita d’occhio sulle tre rive, collegate da ponti galleggianti (e non): diviso in 25 settori su un’area di 40 chilometri quadrati, è dotato di oltre 3.000 cucine da campo per sfamare i pellegrini, 150.000 bagni, alloggi per tutte le tasche, strade, pali elettrici, acqua e torri di comunicazione. Circa 40.000 poliziotti sono incaricati di mantenere l’ordine e gestire la folla oltre a droni e 2.500 telecamere, alcune alimentate dall’intelligenza artificiale, che rendono il raduno di quest’anno il più tecnologicamente avanzato di sempre. La app sviluppata per questo Kumbh Mela sancisce l’incontro fra tradizione e tecnologia, tra sacro e secolare.
“Le date del Maha Kumbh Mela sono determinate da una congiunzione astrale che avviene ogni 12 anni: quello di quest’anno è speciale, avviene solo ogni 144 anni. Quindi è un momento molto propizio -spiega Abhishek Anand, del Bengala Occidentale-. Ecco perché sono venuto qui con la mia famiglia: dovevo assolutamente viverlo. Capita una volta nella vita. È una gioia immensa, indescrivibile -racconta con gli occhi luccicanti-. Il Gange, per gli indiani, è nostra madre”.
Il sole non è ancora sorto il 29 gennaio, Mauni Amavasya, la data principale delle sei più propizie che scandiscono il festival, quando orde di pellegrini si dirigono verso il Sangam, la confluenza dei tre fiumi. Una marea umana variopinta e silenziosa, un fiume di teste che si muove come un unico corpo, volti estasiati, mani congiunte. Nei giorni precedenti ai sei bagni principali, shahi snan, i pellegrini arrivano senza sosta, con treni speciali o a bordo di jeep e camioncini stracarichi. Dormono accampati un po’ dovunque sfidando il freddo e la nebbia delle notti invernali. All’alba, la folla di fedeli si ammassa lungo i transennamenti di bambù presidiati dalla polizia.
Sono in attesa della processione dei 13 akhara, i diversi ordini monastici di asceti hindu, che è la vera attrazione del festival. I sadhu sono rispettati come divinità: praticano la meditazione e il distacco dalla vita terrena, girano scalzi, spesso vestiti color zafferano -il colore dell’induismo-, alcuni hanno la pelle cosparsa di cenere e lunghi jata sulla testa. Un ordine preciso regola l’acceso dei vari akhara al fiume: in passato, le sette di guerrieri asceti si sono scontrate con violenza per chi avrebbe preso parte per primo al sacro rituale del bagno. La parata somiglia a un grande circo -spartano e barocco allo stesso tempo- con elefanti, cavalli, tridenti e le immancabili ghirlande di garofani.
Alla retorica religiosa induista, di cui il Kumbh Mela è espressione nonché simbolo di unità e potere, oggi più che mai si somma quella politica del progetto identitario portato avanti dalla destra hindu. E se il festival è sempre stato usato per consolidare la matrice hindu del Paese, che costituisce quasi l’80% degli oltre 1,4 miliardi di indiani, sotto la guida del primo ministro Narendra Modi, è diventato parte integrante della propaganda maggioritaria. Per Modi e la destra hindu, la civiltà indiana è inseparabile dall’induismo: la filosofia che anima il suo partito, il Bharatiya Janata Party (Bjp), è radicata nel suprematismo hindu e la narrazione che ruota attorno al Kumbh ha un potente valore simbolico.
Il Kumbh rappresenta un importante banco di prova per le autorità indiane: un evento di queste proporzioni è una enorme sfida logistica. Lo Stato dell’Uttar Pradesh (in cui si svolge il festival) guidato da Yogi Adityanath, politico della destra hindu e monaco fondamentalista, ha stanziato 765 milioni di dollari per l’evento di quest’anno. Il festival è uno strumento per rafforzare la sua immagine e quella di Modi: la città è tappezzata di poster che li ritraggono e sbandierano le politiche di welfare del governo. Il successo del Kumbh non farà che consolidare il potere del Bjp, al governo da oltre un decennio, nella sua missione di promuovere i simboli culturali induisti, caricati di un sempre maggiore valore identitario, in un’India sempre più polarizzata e divisa lungo linee religiose.
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