Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Esteri / Attualità

In India aumentano discriminazioni e violenze contro i musulmani

Manifestazione a Kolkata, capitale del Bengala Occidentale, dove centinaia di studentesse musulmane (ma non solo) sono scese in strada per protestare contro il divieto di indossare l'hijab in classe © Ronny Sen

Il 15 marzo l’Alta corte del Karnataka ha confermato il divieto alle ragazze di fede islamica di indossare l’hijab in classe. È l’ultimo episodio di un crescente processo di marginalizzazione da parte del governo ultra-nazionalista hindu

Tratto da Altreconomia 247 — Aprile 2022

L’hijab è stato capultato al centro di un acceso dibattito in India: a fine gennaio, sei studentesse musulmane in un college gestito dal governo nel distretto di Udupi (nello Stato meridionale del Karnataka) hanno iniziato a protestare dopo essere state escluse dalle lezioni perché indossavano il velo. L’hijab è ampiamente indossato in India, dove le espressioni della propria fede sono comuni e tollerate, ma il college e il governo non hanno ascoltato le loro richieste. Il divieto ha invece avuto un effetto domino, con molti altri istituti scolastici che hanno vietato il velo dopo le violente dimostrazioni di studenti e attivisti hindu, anche in altri Stati, con sciarpe e scialli color zafferano, il colore dell’hinduismo. 

L’Alta corte del Karnataka, che ha esaminato due petizioni contro il divieto del velo, aveva inizialmente impedito agli studenti di indossare “abiti religiosi”, incluso l’hijab, almeno fino alla sentenza. Gli avvocati che hanno presentato il ricorso hanno criticato l’ordinanza restrittiva, sostenendo che equivale a una sospensione dei diritti fondamentali. La protesta, iniziata dalle studentesse contro il divieto di indossare il velo in classe, per il diritto alla propria identità e quello allo studio, si è piano piano allargata a tutto il Paese, dove la comunità musulmana conta oltre 220 milioni di fedeli e rappresenta la più grande minoranza religiosa d’India (il 14% della popolazione). La sentenza è arrivata il 15 marzo, quando l’Alta corte del Karnataka ha stabilito che l’hijab non è “essenziale” per la pratica dell’Islam, aprendo la strada al divieto del velo nelle aule: un caso storico che potrebbe avere implicazioni in tutto il Paese e, molto probabilmente, finirà davanti alla Corte suprema.

220 milioni di persone di fede musulmana vivono in India. Si tratta della più grande minoranza religiosa del subcontinente

La controversia sull’hijab è l’ultimo atto del crescente processo di marginalizzazione della minoranza musulmana sotto il governo guidato dai nazionalisti hindu del Bharatiya Janata Party (Bjp), che governa anche lo Stato del Karnataka. “È ovvio che il divieto non ha nulla a che vedere con l’uniforme scolastica ma è il chiaro tentativo da parte del Bjp e delle diverse propaggini della destra hindu di eliminare tutto ciò che è musulmano dallo spazio pubblico”, spiega ad Altreconomia il professor Apoorvanand, docente alla Delhi University, attivista e opinionista. “Come nel caso del namaz, la preghiera del venerdì, il tentativo è quello di rendere controverse pratiche e usanze che sono comuni e diffuse in India. Il divieto dell’hijab è solo l’ultimo argomento che la destra ha scelto per colpire la comunità: dichiarare tutto ciò che è musulmano alieno alla cultura indiana”.

Da quando il Bjp dell’attuale primo ministro Narendra Modi è salito al potere nel 2014, la comunità musulmana è sottoposta a un crescente clima di intimidazioni e violenze: negli ultimi anni, l’ostilità è diventata ancora più evidente e cresce la preoccupazione che gli attacchi ai simboli e alle pratiche musulmane facciano parte di un più ampio progetto maggioritario e suprematista della destra hindu. 

A metà gennaio scorso, durante un briefing del Congresso degli Stati Uniti, Gregory Stanton, presidente e fondatore dell’Ong Genocide watch -che aveva preannunciato il genocidio in Rwanda del 1994- ha avvertito che l’India è oggi ad alto rischio e ha chiesto al Congresso di approvare una risoluzione ad hoc per il subcontinente. Un allarme al quale ha fatto eco quello dell’Early warning project, che ogni anno stila una lista di Paesi a rischio di nuovi genocidi. Nel suo ultimo report, l’India è al secondo posto, subito dietro al Pakistan, su 162 Paesi. 

Secondo Stanton, in India sono chiaramente riscontrabili i primi segnali di allarme in base alle cosiddette “Dieci fasi del genocidio” individuate da Genocide watch, molte delle quali sono già state individuate nel Paese -dal Kashmir all’Assam- tra cui: la classificazione, ossia distinguere le persone come “noi contro loro”, o definirle “altri”; la simbolizzazione, o l’identificazione delle persone dai vestiti e dai simboli che indossano; la discriminazione, come l’emendamento alla legge sulla cittadinanza; la disumanizzazione, come ad esempio chiamare le persone “termiti” e “stranieri che dovrebbero tornare in Bangladesh”, come successo in Assam; e la polarizzazione, come accusare la comunità di “love jihad” e approvare leggi discriminatorie contro la conversione e i matrimoni misti. Inoltre, Stanton ha ricordato che ci sono già stati diversi recenti appelli all’eccidio dei musulmani: “Solo perché un Paese è una democrazia, non è impossibile che avvenga un genocidio”, ha commentato.

“È il chiaro tentativo da parte del Bjp e delle diverse propaggini della destra hindu di eliminare tutto ciò che è musulmano dallo spazio pubblico” – Apoorvanand

Lo scorso ottobre lo Stato nordorientale di Tripura è stato scosso da gravi episodi di violenza settaria, in risposta alle aggressioni ai danni degli hindu nel vicino Bangladesh. Diversi sono stati gli attacchi alle moschee e ai negozi musulmani nello Stato indiano governato dal Bjp, fomentati da una manifestazione dalla Vishva Hindu Parishad, un’organizzazione della destra hindu. Pochi mesi dopo, a metà dicembre, durante un raduno religioso hindu a Hardiwar (nello Stato settentrionale dell’Uttarakhand) alcuni leader hanno apertamente incitato la folla al genocidio della minoranza musulmana. Il dharma sansad (assemblea religiosa) di monaci hindu era stato organizzato dal monaco Yati Narasighanand, arrestato ma subito rilasciato (a differenza dei molti attivisti che si trovano ancora in carcere in base ad accuse inventate). Negli stessi giorni membri dell’Hindu Yuva Vahini hanno prestato giuramento a Delhi con il braccio teso in stile nazista cantando: “Faremo dell’India una nazione hindu e per soli hindu. Combatteremo, moriremo se necessario, e uccideremo anche”.

I fatti di Tripura e Haridwar mandano segnali estremamente preoccupanti, secondo il professor Apoorvanand: “Il rischio di genocidio non è affatto lontano: attraverso queste piattaforme pubbliche, gli hindu si stanno preparando mentalmente a permettere che una cosa del genere accada. Quando diventa ammissibile parlare pubblicamente di genocidio, che i musulmani siano uccisi o annientati, si prepara il terreno psicologico per l’eliminazione fisica”. 

“Quando diventa ammissibile parlare pubblicamente di genocidio, che i musulmani siano uccisi, si prepara il terreno psicologico per l’eliminazione fisica” – Apoorvanand

“Prima delle violenze di Delhi (del febbraio 2020, ndr) c’era stato un dharma sansad simile; la stessa cosa successe prima della demolizione della Babri Masjid (una moschea abbattuta da fanatici hindu nel 1992, ndr). Questi discorsi non dovrebbero essere considerati innocui e fantasiosi progetti di persone squilibrate, dobbiamo capire appieno il senso di quelle parole: l’annientamento e l’eliminazione dei musulmani e dei cristiani. Oggi, in India, gli estremisti sono al potere: il premier Modi li rappresenta, non dobbiamo dimenticare che è colui che giustificò il massacro dei musulmani in Gujarat nel 2002”. Nello Stato all’epoca governato proprio da Modi era avvenuto uno dei più gravi casi di violenza settaria della storia recente, che fece oltre mille morti e rappresenta una ferita ancora aperta nel cuore dell’India. 

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati