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Altre Economie / Approfondimento

Il riso equo e solidale dall’Indonesia che cura i diritti umani e l’ambiente

I giovani produttori di riso di Wono Agung © Sunria

La coltivazione intensiva del cereale contribuisce all’emissione di metano in atmosfera. L’impresa sociale Sunria -distribuita in Italia nelle botteghe del fair trade- punta su un metodo alternativo e garantisce un giusto prezzo ai contadini

Tratto da Altreconomia 254 — Dicembre 2022

Il tengkulak sono forse le persone più temute dai piccoli coltivatori di riso indonesiani. Si tratta di intermediari che in vista della stagione della semina prestano agli agricoltori (a un tasso d’interesse molto elevato) il denaro necessario per acquistare tutto ciò che serve ad avviare il lavoro nei campi. E sono sempre loro che si propongono per acquistare il prodotto. “Uno dei principali problemi dei piccoli coltivatori nel mio Paese è l’impossibilità di accedere direttamente al mercato per vendere i propri prodotti e non hanno alternativa ai tengkulak -spiega Emily Sutanto, imprenditrice sociale indonesiana-. Ma al momento del raccolto i prezzi sono bassi perché c’è molta offerta di riso sul mercato e gli intermediari pagano pochissimo. Quando la stagione va bene, i contadini chiudono l’anno in pareggio, ma nei casi peggiori non riescono a restituire completamente il debito, che si accumula sulle loro spalle. In questo modo rimangono intrappolati per anni in un ciclo di povertà che non riescono a spezzare”.

Sutanto non avrebbe mai pensato di occuparsi di agricoltura e dei problemi dei contadini. “Sono nata in Indonesia, ma da quando avevo otto anni ho sempre vissuto all’estero, ho studiato a Singapore e poi ho frequentato l’università in Australia e negli Stati Uniti, ho due master in international management e in comunicazione. Non avevo intenzione di tornare in Indonesia, non avevo amici qui”. Tutto è cambiato quando la giovane è venuta a conoscenza dell’esperienza di un piccolo gruppo di produttori di riso di Tasikmalaya (nella provincia di West Java) che nei primi anni Duemila si era convertito al biologico, ma non riusciva a ottenere un prezzo adeguato ed era in balia dei tengkulak. “Sono andata a incontrarli nei loro villaggi e sono stata profondamente toccata dalla loro esperienza, dalle loro difficoltà ma anche dal loro entusiasmo e dalla voglia di cambiare -ricorda la giovane donna-. Ho promesso che sarei diventata il ponte tra loro e il mondo per aiutarli a esportare il loro riso. Per prima cosa abbiamo iniziato a lavorare per ottenere la certificazione biologica: era il 2007 e tutti pensavano fossi matta. Ci siamo riusciti due anni dopo e abbiamo esportato all’estero il primo carico”.

Parallelamente il progetto di Sutanto inizia a coinvolgere anche altri produttori da altre aree dell’Indonesia che volevano liberarsi dal giogo degli intermediari. Così, nel 2009 ha creato Sunria, un’impresa sociale che oggi riunisce più di 1.500 piccoli produttori in diverse aree del Paese. “Oltre alla certificazione biologica nazionale e a quelle internazionali che ci permettono di esportare, siamo anche certificati fair trade -spiega-. Noi garantiamo un prezzo equo, che mediamente è più alto di circa il 30% rispetto a quello fissato dal governo. Ma non solo. Nei nostri campi non c’è lavoro minorile: per questo paghiamo un premium alle famiglie per sostenerle e garantire ai loro figli la possibilità di continuare gli studi”. Sunria inoltre incentiva i contadini a occuparsi direttamente delle prime fasi di lavorazione del riso grezzo, in modo tale da poter vendere un prodotto di migliore qualità e ottenere così un margine più ampio. I benefici del commercio equo non ricadono solo sui singoli, ma anche sulla comunità: parte dei proventi derivati dalla vendita dei prodotti Sunria, infatti, confluisce in un fondo da cui gli agricoltori possono attingere per migliorare le condizioni di vita nei loro villaggi: dalla riparazione delle strade alla costruzione di scuole. “Uno dei progetti che abbiamo avviato sono le cosiddette ‘banche dei rifiuti -racconta Sutanto-. Le persone conferiscono le lattine e le bottigliette di plastica in cambio di piccole somme di denaro. In questo modo si ottiene un doppio risultato: incentivare il risparmio e mantenere puliti i campi e i villaggi”.

Emily Sutanto imprenditrice sociale e fondatrice di Sunria © Sunria

Ma l’aspetto forse più innovativo di questo progetto riguarda il metodo di produzione adottato da tutti i coltivatori di Sunria e sintetizzabile nell’acronimo “Sri”, ovvero System of rice intensification: “Le risaie non vengono inondate e questo, oltre ridurre i consumi di acqua di circa il 50%, permette anche di evitare le emissioni di metano”, spiega la donna. La coltivazione tradizionale del riso, infatti, è responsabile del 12% delle emissioni globali di questo gas: le radici delle piante rilasciano zuccheri e aminoacidi ma, a causa della mancanza di ossigeno, buona parte di queste sostanze viene trasformata in metano dai batteri presenti nel terreno. “Il metodo di coltivazione Sri inoltre aumenta la resa, perché le piante hanno radici più lunghe e più forti, quindi riescono a raccogliere più nutrienti e così anche il nostro riso è migliore. Il suolo che non viene sommerso periodicamente dall’acqua, infatti, conserva intatta la propria biodiversità”, spiega Sutanto.

Oltre al riso Sunria ha avviato un piccolo progetto per la produzione di sale marino e a breve partirà anche la commercializzazione delle spezie, di cui avevamo parlato anche sul numero di ottobre di Altreconomia. Oltre al mercato indonesiano, esporta i suoi prodotti a Singapore, in Malesia, negli Stati Uniti; mentre in Italia è possibile trovare il riso rosso Javarose, il nero e profumato Maraja (detto anche “riso del re”) e il volcano rice (ricco di minerali essenziali) nelle botteghe del commercio equo grazie a LiberoMondo. Per Sutanto il commercio equo e solidale rappresenta un modo per cambiare il modo con cui la società indonesiana guarda i contadini: “I consumatori cercano di pagare il cibo il meno possibile e i contadini vengono considerati il gradino più basso della scala sociale. Bisogna invece garantire loro rispetto per quello che fanno e il pagamento di un prezzo giusto -riflette-. Purtroppo in Asia il fair trade è ancora poco diffuso, stiamo muovendo i primi passi per questo il commercio equo è importante: perché dà ai contadini la possibilità di far sentire la propria voce”.

Emily Sutanto imprenditrice sociale e fondatrice di Sunria. Parteciperà all’incontro “Fair trade for future” in programma a Torino lunedì 5 dicembre dalle ore 15 presso lo spazio SocialFare. Il convegno, organizzato da LiberoMondo, Mondo Nuovo e Madre Terra in collaborazione con Equo Garantito, rientra tra le attività promosse nell’ambito del progetto “Fair trade for future” che ha coinvolto un gruppo di giovani delle province di Torino, Novara e Cuneo.

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