Esteri / Approfondimento
Il referendum popolare per rendere Amburgo un porto di pace
Una rete di organizzazioni chiede di porre fine al transito in città delle navi che trasportano armi. La proposta ha raccolto 14mila firme ma la classe politica si oppone. Per l’osservatorio Weapon Watch è una pratica da imitare anche in Italia
Una città simbolo della pace. Così i padri costituenti si erano immaginati il futuro di Amburgo nel 1952 quando avevano inserito nella Costituzione un chiaro elemento di distacco dal passato: il porto cittadino, il più grande della Germania e il secondo in Europa, aveva rivestito un ruolo di primo piano nel rifornimento delle truppe naziste. Nel preambolo della Costituzione, si legge che la città portuale per “storia e posizione” deve assolvere a un compito “speciale” facendosi “mediatrice tra tutti i continenti e i popoli del mondo con uno spirito di pace”. A distanza di quasi 70 anni, il contenuto della Carta è rimasto disapplicato. Circa 20 tonnellate di munizioni al giorno e oltre mille container “militari” all’anno transitano tra le rive del fiume Elba diretti verso Paesi in guerra come Yemen e Siria. Una legge di iniziativa popolare vuole porre fine a questo commercio. “Amburgo è diventata un punto di snodo dell’industria militare tedesca ed europea. Non è accettabile essere complici di morte e distruzione: il nostro movimento chiede l’applicazione della legge fondamentale della nostra città”, spiega Martin Dolzer, coordinatore del movimento Ziviler Hafen Amburgo (Per un porto civile).
Su tale principio si basa il quesito referendario per l’adozione di una legge che vieti il trasporto e il trasbordo di armamenti. Dalle organizzazioni attive nell’accoglienza dei migranti agli insegnanti passando per lavoratori, accademici, ecclesiastici, oltre agli attivisti del movimento sociale e pacifista: il movimento a sostegno dell’iniziativa è trasversale. “Due anni fa abbiano iniziato a lavorare per far sì che la maggior parte della popolazione sia dalla nostra parte -sottolinea Dolzer-. La classe politica ci ostacola, i cittadini sono la nostra unica speranza”.
La prima fase dell’iniziativa popolare è stata superata. Erano necessarie 10mila firme per chiedere un primo parere al Parlamento cittadino. Ne sono state raccolte 14mila in sei mesi e sarà possibile aderire fino al 15 dicembre 2021. Molto probabilmente l’autorità locale non accetterà di mettere ai voti il quesito. A quel punto sarà necessario arrivare a 65mila firme entro tre settimane per far sì che successivamente la proposta sia affrontata in forma referendaria da tutta la popolazione della città tedesca: servirà la maggioranza semplice per trasformare Amburgo in porto di pace. Un percorso dall’esito non scontato. “C’è la possibilità che il Senato della città dichiari che il trasporto di armi è competenza degli organi federali e si appelli alla Corte costituzionale di Amburgo che già in passato ha respinto pretestuosamente altre iniziative popolari. Se questo succederà ricorreremo alla Corte di giustizia europea perché è una ‘scusa’ politica per scappare dalla questione. Il nostro impegno è comunque quello di sensibilizzare la popolazione: probabilmente si arriverà al voto intorno al 2025, vogliamo farci trovare pronti per quella data”, prosegue Dolzer.
L’obiettivo è trasmettere alla popolazione un messaggio chiaro: oltre a una dimensione etica c’è un rischio concreto per la salute di chi vive nelle zone limitrofe al porto. “È un problema anche di scarsa trasparenza. Solamente dopo dieci anni di battaglie da parte della sinistra nel Parlamento locale si è riusciti a ottenere che ogni tre mesi vengano resi pubblici i dati sul trasporto di munizioni -continua Dolzer-. Non vengono registrati però i pezzi di ricambio di navi da guerra, aerei, razzi e carri armati. Queste merci sono sotto il controllo del governo federale che non fornisce informazioni chiare e precise ai nostri parlamentari”. Un problema per la sicurezza amplificato in un territorio dove ci sono più di 90 aziende coinvolte nella produzione di armamenti: un’industria che, tra l’altro, assicura lavoro a migliaia di persone. Per questo un passaggio importante della campagna è stata l’adesione di Ver.di, l’Unione dei sindacati del settore dei servizi con sede a Berlino e quasi due milioni di iscritti nel Paese.
“La sensibilità dei lavoratori sul tema non è ancora diffusa su vasta scala. Credo sia un problema legato alla scarsa possibilità di conoscere il carico reale dei container e questo rende difficile creare una consapevolezza adeguata rispetto al problema”, spiega Monika Koops, membro di Ver.di Amburgo. Secondo Koops sarà centrale far capire l’importanza “strategica” dell’iniziativa: “C’è un collegamento tra il trasporto di armi e munizioni e gli attacchi dei datori di lavoro ai contratti collettivi perché entrambi muovono dall’avidità del profitto. È necessario politicizzare il dibattito all’interno della forza lavoro per far sì che nasca una maggior presa di coscienza del problema”.
65mila firme sono necessarie per fare sì che la proposta del referendum popolare sia affrontata in forma referendaria da tutta la popolazione della città tedesca di Amburgo
Durante le due manifestazioni più importanti del movimento di fronte al Parlamento di Amburgo erano presenti Alessandro Capuzzo e Carlo Tombola, attivisti italiani impegnati a Trieste e Genova per contrastare l’utilizzo dei porti italiani per il trasporto d’armi. “Siamo lontani dall’organizzare qualunque iniziativa del genere -spiega Tombola, coordinatore dell’osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei Weapon watch-. Saremmo già soddisfatti se il tema fosse trattato all’ordine del giorno e si potesse parlare di iniziative simili. Il modello Amburgo è interessante per il metodo e perché l’iniziativa è stata proposta in una città che ruota storicamente attorno al suo porto”.
Il legame tra Trieste e la città tedesca non è solo ideologico. Entrambi i porti sono gestiti dalla Hamburger Hafen und Logistik AG. La multinazionale, che ha la sede principale nella città tedesca, dall’aprile 2021 detiene la quota di maggioranza (50,01%) del terminal multifunzionale Piattaforma logistica Trieste: la concessione durerà fino al 2052 e il ruolo dell’azienda è fondamentale rispetto alle politiche di transito nel porto, soprattutto con riferimento alla trasparenza rispetto al materiale che transita dai moli. “Conoscere quante armi transitano è il passo necessario per promuovere iniziative con dati più concreti. Eppure i dati in Italia sembrano essere segreti”.
Alle richieste di accesso agli atti presentate da Weapon watch non sono arrivate risposte dalle autorità competenti. “Neanche gli esperti di logistica ne sono a conoscenza. Gli interessi locali dettano le condizioni e i dati sono trattati come ‘privati’ ma non lo sono. Riguardano le persone: sia coloro che vengono coinvolti dall’utilizzo delle armi nei luoghi in cui vengono inviate sia i cittadini che vivono nei pressi dei porti. A Genova ci sono palazzi a quattrocento metri di distanza dal porto. Un’esplosione coinvolgerebbe inevitabilmente i residenti”.
La buona riuscita della legge referendaria, sia ad Amburgo sia potenzialmente in Italia, dipenderà dalla capacità di fare breccia nella sensibilità comune. “Abbiamo capito che era necessario uscire dalla bolla dei social network. Da ottobre 2020 abbiamo cominciato a manifestare per le vie della città e organizzato eventi di approfondimento che dessero una lettura sistemica del problema -racconta Dolzer-. Soprattutto sui legami tra il trasporto di armi e il cambiamento climatico e sulle possibilità di conversione dell’industria militare”. A ogni panel veniva affiancata una performance: l’arte è sempre presente nelle uscite pubbliche del movimento. “Permette di smuovere le persone in maniera più significativa. La pace non significa solo l’assenza della guerra ma la convivenza pacifica tra le persone”, spiega Axel Richter che cura le azioni artistiche del movimento. In una performance all’esterno del Parlamento di Amburgo sono state disposte alcune statue di bambini fermi su un tappeto rosso che rappresentavano i futuri nascituri. “Dare a loro ‘voce’ per influenzare chi può decidere ora anche per chi non è ancora venuto al mondo”, sottolinea Richter. La chiave è creare “una nuova qualità del tempo che trascorre: andare a ‘tempo’ significa restare in connessione con il passato guardando la distruzione che hanno portato gli armamenti e il futuro. Perché siamo consapevoli che il processo per la pace sarà lungo. Ma che già oggi possiamo in qualche modo incidere”.
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