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Il pugno di ferro, un’inutile scorciatoia contro le “baby gang”
La repressione non porta cambiamento: vicende come quella di Caivano richiedono interventi complessi e di lunga durata. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci
Il decreto detto contro le “baby gang” del Governo Meloni, emanato all’indomani degli stupri di gruppo avvenuti a Caivano (Napoli), è un classico esempio di che cosa si intende, ancora oggi, per “legge e ordine”, motto sempreverde di tutte le destre (e non solo). La norma mette nel mirino i ragazzi fra i 12 e i 18 anni e amplia il campo di applicazione del Daspo urbano e dei divieti di avvicinamento ai locali pubblici, aumentando le pene per chi infrange tali divieti. Allarga inoltre la facoltà di arresto in flagranza differita oltre a introdurre la possibilità di vietare il possesso e l’uso di telefoni cellulari e altri strumenti di comunicazione.
Prevede poi nuove figure di ammonimento formale e il conseguente coinvolgimento dei genitori, oltre a contemplare forme di inasprimento delle pene e delle condizioni di detenzione. Nell’insieme, siamo di fronte a un provvedimento che tradisce una visione del mondo ben precisa: tutto ciò che sappiamo di Caivano sotto il profilo economico, sociale, culturale, educativo (cioè tutti i deficit istituzionali e tutti i nodi critici della vita associativa e delle dinamiche di comunità) finiscono in secondo piano rispetto alla necessità di offrire all’opinione pubblica, più che ai residenti, una risposta chiara e in apparenza risolutiva: il pugno di ferro.
La filosofia del decreto non tiene conto dei buoni risultati ottenuti dalla giustizia minorile riducendo al minimo il ricorso al carcere e rinnega anche l’esperienza accumulata in passato in innumerevoli, analoghe vicende. Sappiamo già che spostare sul piano della “sicurezza” un’evidente questione sociale (l’impoverimento, l’esclusione, l’emarginazione di vaste fasce di popolazione) non risolve alcun problema e ha la sola funzione di sedare eventuali inquietudini dell’opinione pubblica.
Di fronte alla ripetitività di simili provvedimenti “legge e ordine”, applicati in passato anche da governi non di destra in ossequio all’ambiguo assioma secondo cui “la sicurezza non è di destra né di sinistra”, dovremmo chiederci quando abbiamo perso la lucidità che permette di inquadrare vicende così gravi, ma non infrequenti, come quella di Caivano, in una cornice meno banale e più realistica. Le conoscenze disponibili su dispersione scolastica, disoccupazione, povertà, disuguaglianza, corruzione, degrado della vita democratica in vaste zone del Paese dovrebbero consentire di articolare pensieri e proposte di maggiore complessità e di più lunga gittata.
I minorenni detenuti in carcere in Italia (dati marzo 2023) sono 380 pari al 2,7% del totale dei ragazzi in carico ai servizi della Giustizia minorile
La stretta repressiva, l’invio di qualche agente in più, un po’ di “ammonimenti” o l’inasprimento di alcune pene portano con sé l’immancabile immutabilità delle reali condizioni di vita a Caivano, come negli altri luoghi interessati da vicende simili. E rendono evidente l’assenza di concrete prospettive di cambiamento.
È qui, a ben vedere, che si svela il vero senso del decreto Caivano e della logica “legge e ordine” (o del motto equivalente adottato dalle non-destre “la sicurezza non è di destra né di sinistra”): il rifiuto, o almeno la diffidenza, verso reali forme di cambiamento è ciò che uniforma il potere in questa stagione storica nelle democrazie europee. I colori politici dei vari governi sono solo sfumature. Poiché tutto ciò non promette niente di buono, sarebbe necessario tornare ai fondamentali e quindi concepire i problemi sociali, economici, culturali, educativi per quello che sono, senza cercare scorciatoie, né ingannevoli “soluzionismi”. Bisogna sconfiggere la paura di cambiare. Sarebbe già una mezza rivoluzione.
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”
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