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Diritti / Approfondimento

Il progetto per la dignità e i diritti dei lavoratori nelle campagne dell’Agro Pontino

Organizzato dall’associazione Tempi Moderni, “Dignità-Joban Singh” vuole offrire assistenza legale, medica e psicologica gratuita alle donne e agli uomini sfruttati e vittime di caporalato nella provincia di Latina. Pratiche sui territori per spezzare i meccanismi di violazione dei diritti

“Il gesto di Joban Singh è stato una drammatica denuncia sociale. Non dobbiamo dimenticarlo, come fosse una vittima di mafia”. Marco Omizzolo -sociologo, ricercatore e autore di “Sotto padrone” (Feltrinelli, 2020)- racconta la storia del ragazzo sikh di appena 25 anni ritrovato senza vita all’interno del suo appartamento nel residence Bella Farmia Mare, nel Comune di Sabaudia, luogo di residenza di molte famiglie indiane impiegate come braccianti nelle campagne dell’Agro Pontino. Arrivato in Italia dal Punjab attraverso un trafficante di esseri umani indiano, al quale doveva novemila euro, era stato gravemente sfruttato da una delle maggiori aziende agricole della zona. Nel giugno dello scorso anno si è ucciso dopo che il datore di lavoro si era rifiutato di accettare la sua richiesta di regolarizzazione  come disposta dal Decreto Rilancio. “Joban è il tredicesimo lavoratore indiano che si è suicidato nella provincia di Latina a causa di una combinazione di sfruttamento e caporalato. Il suo nome deve diventare un seme per la dignità”.

Si chiama “Dignità-Joban Singh” il progetto avviato da Tempi Moderni -associazione che si occupa di ricerche sociali, economiche e politiche sui temi dell’immigrazione, del lavoro e della criminalità organizzata e di cui Omizzolo è presidente- attraverso una raccolta fondi lanciata lo scorso dicembre sulla piattaforma Produzioni dal Basso. L’obiettivo è offrire sul territorio pontino assistenza legale, medica e psicologica gratuita alle donne e agli uomini emarginati, sfruttati, vittime di tratta e caporalato e costretti al silenzio. Team mobili di professionisti raggiungeranno direttamente i luoghi di ritrovo e le abitazioni dei braccianti per offrire il loro supporto. “È un progetto fondato sulla relazione orizzontale. Si sviluppa un linguaggio comune e si lavora insieme alle persone che incontriamo”, spiega Omizzolo. “Vogliamo anche uscire fuori dalla provincia di Latina perché la comunità indiana è ormai presente a Roma e Viterbo. Oltre a raggiungere altre Regioni come la Sicilia, la Campania, la Toscana e l’Emilia-Romagna dove collaborare con le organizzazioni locali impegnate sullo stesso fronte. Sarà un’espansione a cerchi concentrici”.

L’assistenza legale è fornita dall’associazione Progetto diritti e accoglierà qualunque forma di vertenza, da quelle legate allo sfruttamento e al caporalato ad altre forme di speculazione sui lavoratori. “Nel pontino abbiamo visto caporali indiani che chiedevano 800 euro per rinnovare la carta di identità”, spiega Omizzolo. “Il nostro lavoro serve a spezzare questi meccanismi di violazione dei diritti. Molti braccianti ci chiedono una lettura delle buste paga e del loro contratto. Da qui inizia un dialogo che spesso li spinge a decidere di presentare un vertenza e anche a denunciare i loro padroni e caporali”, prosegue. Dal 2016 alla fine del 2020 Tempi Moderni ha accompagnato i braccianti a presentare 150 denunce presso la procura e le forze dell’ordine di Latina. “Molti sono diventati processi, ancora in corso, che vedono tra gli imputati imprenditori leader del settore agricolo della provincia di Latina. In alcuni casi i lavoratori si sono costituiti come parte civile”.

Nelle campagne pontine la pandemia da Covid-19 ha radicalizzato le forme di sfruttamento dei braccianti. “In particolare nel periodo del lockdown dello scorso anno, approfittando dell’assenza dei controlli, i padroni e i criminali hanno percepito un senso di impunità e hanno potuto sfruttare in modo più estremo con la consapevolezza che non sarebbero stati sanzionati”, prosegue Omizzolo. Secondo una ricerca condotta da Tempi Moderni, nel 2020 si è registrato un aumento del 15-20% di stranieri sfruttati nelle campagne italiane (pari a circa 40-45 mila persone) con un peggioramento delle loro condizioni lavorative e un incremento dell’orario di lavoro che oscillava tra 8 e 15 ore giornaliere. Si è aggiunto un aumento del 20% delle ore lavorate e non registrate ma con una retribuzione inferiore e un abbassamento della paga oraria in alcuni casi scesa a 3,50 euro. “Inoltre l’aumento dell’arrendevolezza dovuto al clima emergenziale ha spinto molti immigrati sfruttati a considerare se stessi come secondari rispetto agli italiani e quindi a rinunciare a ogni rivendicazione”.

“Ora la crisi economica causata dalla pandemia crea le condizioni per il rafforzamento delle agromafie”, aggiunge Omizzolo. Secondo il Sesto Rapporto Agromafia dell’Eurispes, nel 2018 il business valeva 24,5 miliardi di euro l’anno. “Le mafie possono accelerare e moltiplicare i loro interessi nelle campagne non solo acquistando terreni e aziende ma anche pezzi della filiera commerciale di trasformazione radicandosi nei mercati ortofrutticoli. Attecchiscono nelle condizioni di vulnerabilità lavorativa”, spiega Omizzolo. Una situazione di emarginazione estesa su tutto il territorio. Secondo il rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, il lavoro irregolare oggi riguarderebbe 450mila lavoratori agricoli esposti al caporalato di cui più di 180mila impiegati in condizione di grave precarietà. “Credo sia necessario intervenire in modo radicale sulle leggi su immigrazione e lavoro che oggi contribuiscono a creare le condizioni di vulnerabilità dei braccianti. Stanno producendo il ritorno e il consolidarsi di un capitalismo predatorio che distrugge i diritti e agevola il profitto”.

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