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Economia / Approfondimento

Il potenziamento delle reti elettriche globali e l’espansione delle rinnovabili

© Leohoho - Unsplash

Un recente report della Iea evidenzia come il ritardo in sviluppo e modernizzazione dei sistemi elettrici potrebbe causare un aumento dell’uso di combustibili fossili, compromettendo gli obiettivi di decarbonizzazione. Sono necessari forti investimenti in tecnologie innovative per garantire flessibilità ed efficienza, anche in Italia
 

Da oltre un secolo le reti costituiscono la spina dorsale dei sistemi elettrici e la loro importanza è destinata a crescere ulteriormente nei prossimi anni dal momento che svolgeranno un ruolo fondamentale nella transizione energetica. La rapida e crescente adozione di nuove tecnologie (tra cui auto elettriche e pompe di calore) in ambiti precedentemente dominati dall’uso di combustibili fossili, oltre allo sviluppo di progetti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, richiede un significativo potenziamento anche delle reti elettriche. In caso contrario, si rischia di rallentare il percorso globale verso la decarbonizzazione.

È questa la valutazione dell’Agenzia internazionale dell’energia (International energy agency, Iea) in un report intitolato “Electricity grids and secure energy transitions” pubblicato lo scorso ottobre. Si tratta del primo tentativo di elaborare un resoconto dello stato delle reti elettriche mondiali e il quadro non è rassicurante: per i ricercatori, infatti, le attuali infrastrutture non tengono il passo con la rapida crescita delle principali fonti di produzione di energia pulita -come il solare e l’eolico- e necessitano di essere modernizzate e potenziate.

Il report ha calcolato che attualmente ci sono almeno tremila GigaWatt (GW) di progetti di energia rinnovabile in attesa di connessione alla rete, equivalenti a cinque volte la capacità da fotovoltaico ed eolico aggiunta nel 2022. Di questi, 1.500 GW provengono da progetti in fase avanzata. Senza i giusti interventi -si legge nel documento- l’infrastruttura elettrica rischia di diventare il collo di bottiglia della transizione verso fonti energetiche pulite.  

“Da qui al 2030 e poi al 2050 ci aspetta un’elevata diffusione delle rinnovabili -spiega Francesco Sergi, primo ricercatore all’Istituto di tecnologie avanzate per l’energia ‘Nicola Giordano’ del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Itae)- che si accompagnerà a una forte elettrificazione dei consumi in ambiti come il riscaldamento (grazie alle pompe di calore) e ai trasporti (attraverso la mobilità elettrica). Inoltre c’è il settore dell’industria pesante in cui si prevede l’utilizzo dell’idrogeno, un vettore che deriva da un processo che si chiama elettrolisi che necessita di energia elettrica. Questo vuol dire che a tutti i livelli della rete -alta, media e bassa tensione- è necessario potenziare le infrastrutture in modo tale che possano accogliere più elettricità e gestirla al meglio”.  

Facciamo però un passo indietro. Il sistema elettrico si divide in due parti principali: le reti di trasmissione, ad alta e altissima tensione, che trasportano l’elettricità su lunghe distanze, ad esempio dalle centrali elettriche dove viene prodotta alle stazioni di smistamento, oppure attraversano i confini nazionali e portano l’elettricità prodotta in un Paese verso altri Stati. Poi ci sono le reti di distribuzione, a bassa e media tensione, che forniscono energia alle utenze residenziali e commerciali, ai centri abitati, ai siti industriali di piccole e medie dimensioni.

Negli ultimi cinquant’anni questa infrastruttura ha registrato una crescita continua, al ritmo di circa un milione di chilometri all’anno. Un’espansione che ha interessato prevalentemente le reti di distribuzione (che rappresentano circa il 93% del totale) e si è verificata soprattutto nei Paesi emergenti. Dei 15 milioni di chilometri di linee di distribuzione costruiti nell’ultimo decennio, quasi 12,5 milioni sono stati realizzati da Stati meno sviluppati, garantendo così a milioni di persone di poter accedere per la prima volta all’elettricità. Il caso dell’India e dell’Indonesia, in questo senso, è esemplificativo: oggi la quasi totalità della popolazione ha accesso all’elettricità sebbene solo vent’anni fa questo tasso fosse inferiore, rispettivamente, al 55% e al 45%.

Nelle economie avanzate, invece, la maggior parte degli interventi si è concentrata sull’aggiornamento, ovvero la sostituzione delle linee esistenti con altre più robuste o a tensione maggiore. Nell’Unione europea più del 50% della rete è in funzione da oltre vent’anni (circa la metà della sua durata media) con il risultato che una parte sostanziale delle infrastrutture è vecchia. Una sua modernizzazione è fondamentale, sottolinea la Iea, per migliorarne l’efficienza e l’affidabilità e accogliere la nuova capacità generata dalle nuove fonti energetiche a zero emissioni. 

A livello globale, le risorse economiche per le reti (che sono rimaste sostanzialmente stabili negli anni) dovrebbero raddoppiare fino a superare i 600 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Infatti, mentre gli investimenti nelle energie rinnovabili sono cresciuti rapidamente (quasi raddoppiando dal 2010) quelli nelle reti si sono attestati a circa 300 miliardi di dollari all’anno. Questa differenza ha prodotto un disallineamento tra la quantità di energia che si prevede potrà essere prodotta da rinnovabili e la capacità del sistema di accoglierla e gestirla. Per questo motivo i ricercatori credono che l’attuale sistema, senza importanti interventi, rischi di rappresentare un freno alla transizione ecologica.  

Si sta passando da un sistema centralizzato, in cui l’elettricità viene prodotta da un certo numero di centrali, immessa nella rete e a cascata raggiunge l’utente -continua Sergi- a uno distribuito che prevede una moltitudine di impianti rinnovabili, eolici o fotovoltaici, presenti su tutto il territorio nazionale. La produzione di energia fonti pulite avviene a tutti i livelli di tensione: dalla bassa che coinvolge per esempio i tetti delle nostre case, all’alta con i grossi impianti fotovoltaici o i parchi eolici. Quindi è una trasformazione complessiva che riguarda sia le reti di trasmissione sai quelle di distribuzione”. 

Le prime serviranno soprattutto a collegare distanze molto ampie all’interno di uno stesso Paese oppure a mettere in connessione sistemi di diversi Stati; le secondo invece serviranno a garantire che l’elettricità arrivi in modo efficiente agli utenti finali. Ma il potenziamento della rete non comprende solo nuove installazioni di linee e cavi, ma anche di componenti come sottostazioni, dispositivi di controllo della stabilità e del flusso di carico, tecnologie di stoccaggio dell’energia e processi di digitalizzazione. 

Dal report emerge come il sistema elettrico abbia la necessità di avere flessibilità per gestire l’intermittenza delle rinnovabili. Come chiarisce Sergi, “la flessibilità viene da sistemi di stoccaggio di energia, che oggi siamo perfettamente in grado di installare e hanno l’obiettivo di gestire la non contemporaneità tra produzione e necessità e quindi accumulare l’energia dal surplus delle rinnovabili. E poi dallo spostamento dei consumi quando c’è maggiore produzione, tramite strategie di demand response. Per esempio, una fabbrica si rende disponibile a spostare la produzione e a ridurre il proprio consumo da un MegaWatt a zero quando il gestore glielo chiede in base a valutazioni sulla disponibilità di energia, venendo remunerata per questo servizio. Questo è possibile farlo oggi per il settore industriale e non per quello civile, ma non è detto che in futuro anche i consumi residenziali possano cambiare. Tutte queste innovazioni dipendono molto anche dal grado di digitalizzazione delle reti grazie al quale i gestori potranno monitorare costantemente l’offerta di energia distribuita sul territorio, ma soprattutto comunicare in tempo reale con i vari attori per applicare i meccanismi di flessibilità”. 

Secondo le proiezioni stimate sugli impegni di decarbonizzazione attualmente presi dagli Stati, la domanda di energia elettrica a livello mondiale aumenterà al ritmo del 2,7% all’anno, raddoppiando entro il 2050. Se gli investimenti nelle reti non venissero incrementati abbastanza rapidamente, seguendo uno scenario che ipotizza un ritardo nello sviluppo delle reti, secondo l’Iea si verificherebbe un rallentamento dell’introduzione delle energie rinnovabili che comporterebbe un maggiore consumo di combustibili fossili. Il rapporto stima che, in questo caso, le emissioni cumulative di anidride carbonica tra il 2030 e il 2050 sarebbero superiori di 58 miliardi di tonnellate, l’equivalente delle emissioni del solo settore energetico mondiale degli ultimi quattro anni. L’aumento della temperatura globale supererebbe di gran lunga l’obiettivo di 1,5 °C fissato dall’Accordo di Parigi sul clima. 

Sempre secondo il documento dell’Iea in Italia la realizzazione di progetti solari ed eolici attualmente in fase avanzata può aumentare la capacità installata di oltre il 45% (rispetto al 2022). Nel suo piano decennale di sviluppo 2021, l’operatore italiano della rete di trasmissione nazionale (Tso), la società Terna, riconosce che immettere nuova energia elettrica in rete da impianti alimentati da fonti rinnovabili “richiede uno sforzo di pianificazione, autorizzazione e realizzazione degli investimenti che in Italia non ha precedenti negli ultimi decenni”. Le principali necessità sono legate all’aumento delle reti e al rafforzamento delle dorsali tra Sud (dove maggiore sarà la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili) e Nord (dove è più sostenuta la domanda di energia elettrica), così come a potenziare i collegamenti fra le isole e la terraferma. Importanti interventi dovranno inoltre riguardare le grandi aree metropolitane, dove sempre maggiore sarà la domanda di elettricità, così come le interconnessioni con gli altri Paesi. A questi investimenti, si uniscono quelli da effettuare sulle reti di distribuzione, non di responsabilità di Terna, che ancora scontano un certo divario di sviluppo tra Nord e Sud del Paese. 

Secondo Francesco Sergi, lo sviluppo delle reti elettriche dipenderà anche molto da quale mercato delle rinnovabili si svilupperà maggiormente. “Un aspetto positivo delle rinnovabili è la dimensione micro, che permette di produrre energia vicino al luogo di consumo. L’esempio classico è quello del tetto fotovoltaico sulle nostre case, ma mi vengono in mente anche le comunità energetiche che favoriscono proprio questo tipo di meccanismo. Avere delle comunità dove c’è produzione di energie rinnovabile che viene autoconsumata in loco, sicuramente rappresenta un fattore positivo che non appesantisce il sistema”. 

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