Economia / Opinioni
Il mercato non è la strada per uscire dalla pandemia
Dai permessi di lavoro per stranieri ai superbonus edilizi, gli artifici del sistema non garantiscono ancora la prospettiva dell’equità. La rubrica di Alessandro Volpi
Troppo spesso si fa appello al mercato come strumento per uscire dalla pandemia, immaginando una dimensione onirica che di fatto non esiste come emerge da alcuni semplici, e crudi, esempi. Fino al 2009 il numero dei permessi di lavoro rilasciati dallo Stato italiano ai cittadini stranieri era in media di circa 170mila l’anno. Da allora è iniziata una corsa al ribasso che li ha fatti scendere ai 30mila del 2015, cifra a cui tali permessi sono rimasti fermi fino a oggi.
Naturalmente ciò è dipeso dalla “paura” dello straniero e, altrettanto naturalmente, da un simile fenomeno è derivato un gigantesco lavoro nero irregolare che ha causato condizioni disumane per quei lavoratori, e una concorrenza feroce alle realtà produttive impegnate nel rispetto delle regole. Oggi gran parte del mondo delle imprese e anche una parte della politica -quella che urlava contro lo straniero- sembrano essersi accorte che 30mila nuovi ingressi sono davvero troppo pochi per il sistema economico italiano e hanno indotto il Governo Draghi, già nella legge di Bilancio, a innalzare la quota fino a 70mila nuovi permessi con la prospettiva di un ulteriore incremento necessario, quasi inevitabilmente, nei mesi successivi.
La pandemia ha contribuito, comunque, a ridurre almeno in parte i canali dell’irregolarità e dunque ha fatto emergere un’esigenza tenuta a lungo nascosta dagli slogan “populisti”; in altre parole ha “costretto” un mercato del lavoro drogato dal nero e dal sommerso a cercare una qualche definizione. Sarebbe davvero necessario tuttavia vincolare queste scelte, in relazione agli ingressi, a una regolamentazione più semplice, più chiara e più giusta dei tanti contratti, ancora troppo numerosi e precari, che caratterizzano il mondo del lavoro italiano, a cominciare proprio da quello agricolo e da quello salariato. Forse allora domanda e offerta si incontrerebbero più facilmente, e in modo più equo, nell’ambito di un’idea di mercato decisamente meno costruita sullo sfruttamento.
Un ulteriore caso di distorsione del mercato è costituita dalla sempre più forte proliferazione dei bonus “gratta e vinci”. Il superbonus edilizio, che ha certamente molti aspetti benefici, rappresenta un elemento fortemente distorsivo, e pericoloso, perché come tutti i bonus ha una durata decisamente limitata. Nel giro di pochi mesi, per effetto di tale superincentivo diffuso, sono nate 11mila nuove imprese, moltissime delle quali inventate di sana pianta, che non applicano il contratto edile e purtroppo non rispettano nessuna delle regole sulla sicurezza; una vera e propria bolla. Si è sviluppata anche una significativa evasione fiscale con truffe sulla fatturazione e, al contempo, è lievitato il prezzo di una serie di materiali, ai limiti della speculazione, che si somma a un’impennata nei prezzi di moltissime forniture. Peraltro al bonus è stato tolto ogni legame con il reddito, finendo per gravare su tutti i contribuenti.
Sono 30mila i permessi di lavoro rilasciati ogni anno dallo Stato italiano alle persone straniere dal 2015 in poi. Fino al 2009 la media era di 170mila l’anno
Ma non si tratta di un caso unico. Nell’ultima legge di Bilancio sono stati contemplati oltre 50 bonus per una spesa fiscale complessiva, in tre anni, di 24 miliardi di euro. In gran parte si tratta di agevolazioni non direttamente legate al reddito e neppure dotate di un’efficacia reale, come spesso accade per i bonus che, paradossalmente, restano inutilizzati. Il sistema fiscale italiano ha conosciuto una parzialissima modifica dell’Irpef, che non ha sostenuto i redditi medio-bassi perché tali redditi non sono sostenibili con la revisione Irpef, e ha moltiplicato i bonus, destinati a diventare una sorta di labirinto disegnato da interessi dei gruppi di pressione più forti. La prospettiva dell’equità, e di un mercato equo, sembra sempre più lontana.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
© riproduzione riservata