Diritti / Opinioni
Il manganello quotidiano
Le cariche durante le manifestazioni di metà novembre a Roma, l’irruzione al rave di Cusago a fine ottobre. L’uso spropositato della forza aumenta, ma senza dibattito politico _ _ _
Il 14 novembre scorso un articolo di repubblica.it sulle manifestazioni sindacali e studentesche in corso in tutta Italia cominciava così: “Nella recente storia dei grandi e violenti cortei italiani c’è sempre stata una giornata di sole intorno. Fu così a Genova nell’estate 2001, così il 14 dicembre 2010, l’insurrezione di piazza del Popolo. Così il 15 ottobre 2011, la devastazione di Roma. C’era il sole anche questa mattina sopra tutta la città di Roma”. Una suggestione ambientale -“il sole intorno”- unita a una definizione tranchant -“grandi violenti cortei italiani”- per descrivere manifestazioni che gli studiosi e gli stessi protagonisti hanno analizzato in maniera ben più problematica.
I “grandi cortei di Genova”, per dire, sono già stati consegnati alla storia come limpidi esempi di abuso della forza da parte di Polizia, Carabinieri e addirittura Guardia di finanza. Ma nei grandi media l’abitudine a raccontare quel che avviene in piazza ricorrendo a immagini stereotipate e sintetiche, seguendo il lessico degli apparati, con la “guerriglia”, gli “scontri fra polizia e facinorosi”, le “devastazioni”, è così radicata che diventa difficile, per chi non abbia partecipato agli eventi o non riesca a documentarsi da solo in rete, capire quel che davvero è successo.
Che si intende, ad esempio, per “guerriglia”? O per “corteo violento”? In genere, come nel caso del 14 novembre, si tratta di lanci di sassi da parte di piccoli gruppi di manifestanti e di cariche, più o meno dure, delle forze dell’ordine. A Roma, nel caso che stiamo esaminando, anche nei maggiori media si è parlato di “dure cariche” della polizia e per pudore non si è scesi nei dettagli. Le foto e i filmati messi in rete da cittadini documentano possenti cariche a gruppi di manifestanti in assenza di via di fuga, il lancio poco responsabile di grandi quantità di lacrimogeni e anche casi di accanimento su persone già rese inermi.
Sono episodi ricorrenti. È il tema dell’uso sproporzionato della forza nella gestione dell’ordine pubblico, emerso in modo plateale nelle giornate del G8 del 2001 e ripetutosi più volte in questi anni, senza tuttavia diventare un tema di discussione pubblica, come invece dovrebbe essere, nell’interesse di chi protesta, di tutti i cittadini e anche di chi lavora nelle varie forze di polizia. Chi lancia pietre contro gli agenti, brucia un cassonetto, imbratta o sfonda una vetrina, commette certamente un reato e -in modo piuttosto vile- nuoce alle ragioni della massa dei manifestanti, ma è profondamente sbagliato accettare per ciò qualsiasi tipo di reazione e di comportamento da parte delle forze dell’ordine. Chi trasgredisce la legge e agisce con modi violenti dev’essere reso innocuo e a seconda dei casi identificato, denunciato, fermato: questo e non altro è il compito delle forze dell’ordine, che sono garanti della libertà di espressione sancita dalla Costituzione. Tuttavia cariche indiscriminate, caccia per strada ai manifestanti, uso massiccio dei manganelli e lacrimogeni in Italia sono così frequenti da apparire una routine.
Neppure di fronte agli orrori di Genova e all’ignominia di cui si sono coperte le nostre forze dell’ordine in quel tragico luglio, c’è stato un serio esame critico dei fatti e delle responsabilità. E tanto meno un’autocritica dentro le forze dell’ordine. Solo nei tribunali, ma con il limitato strumento del codice penale, si è osato affrontare l’argomento.
In tale assenza di dibattito, possono accadere, senza che ne nascano discussioni serie, episodi davvero allarmanti, come quello avvenuto a fine ottobre a Cusago, nell’hinterland milanese. Lo sgombero di un edificio in disuso, in quel momento occupato per un rave party, è stato attuato con modalità che a molti testimoni hanno ricordato la celebre “perquisizione” alla scuola Diaz di Genova nel 2001. Alcuni presenti hanno descritto un’irruzione violenta, un fitto manganellamento, una furia spropositata. Lo sgombero si è concluso con decine di feriti, una ragazza in rianimazione per emorragia cerebrale e l’uccisione di un cane. Un bilancio assurdo per una fattispecie del genere.
Episodi di uso sproporzionato della forza sono destinati a ripetersi. Chiedere al potere politico una verifica sulle consegne e le condotte di chi detiene l’uso legittimo della forza è il minimo che si possa fare: un sistema democratico che funziona male, qual è il nostro, è destinato a farsi scudo di chi mulina manganelli. —