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Il glamping elitario e quello spot pubblico per il privato

© Jeremy Bishop - Unsplash

In estate la ministra del Turismo Santanché aveva proposto di fare glamping sull’Etna: “Abbiamo un vulcano vero, sfruttiamolo”, disse. Ora tocca alla Regione Emilia-Romagna, che sponsorizza il camping-glamour nella sua forma più esclusiva sul sito istituzionale. Un modello problematico, osserva Paolo Pileri

L’ultimo inciampo è nel glamping, crasi di camping e glamour, prodotto commerciale, turistico, attrattivo, che nella sua versione più esclusiva prevede che il buon vecchio camping accessibile a tutti venga innaffiato con uno spruzzo di lusso (il glamour) con l’ovvia, ma celata, finalità di svuotare meglio i portafogli dei turisti.

Non tutti i glamping sono di lusso (si veda qui) ma i prezzi per notte di una struttura chic sono alti e non per tutti: 140, 300, anche 500 euro a notte. Una trovata del circo turistico che ci butta addosso nuovi bisogni (di cui potremmo fare a meno) e usa l’attrattività (proprio quella glamour e delle cose esclusive) non per farci scoprire il silenzio di un bosco ma per spremerci come limoni paganti. Non è questo il turismo che amo e neppure una forma che ritengo sostenibile e perfino culturalmente accettabile, per il suo intrinseco spirito consumista e predatorio. Ma il mercato, come dicono, ha posto per tutto, anche per questa tipologia. No problem quindi se è l’invisibile mano del mercato a proporcelo. No problem se troviamo il glamping in un sito commerciale o se ci passa sotto il naso sul nostro cellulare mentre vediamo che tempo fa. Fortemente diverso (e assurdo) se ci viene proposto da una mano per nulla invisibile che è il sito istituzionale di una Regione.

Se in questi giorni capitate infatti sul sito della Regione Emilia-Romagna per cercare una legge o un aggiornamento della protezione civile o un bando o per capire a che punto è la lotta al riscaldamento globale o notizie sull’inclusione sociale o sulla “ricostruzione” nelle aree alluvionate, sappiate che potreste finire per trovare una pagina molto accattivante dal titolo “Turismo dell’esperienza e vacanze nel verde, alla scoperta dei glamping dell’Emilia-Romagna”. Sottotitolo: “Bolle, botti, tende di lusso: la nuova offerta dei campeggi conquista sempre più turisti. Il racconto di tre imprenditori del Ferrarese, Riminese e Modenese”.

A seguire foto super colorate di resort, stanze lussuose, piscine eleganti in teck affiancate da cammei con video-interviste ai proprietari/manager. Non mancano neppure i consigli regionali per capire come scegliere il glampig giusto. E così via. Ora, fintanto che si tratta dell’uscita della ministra del Turismo Santanché al Mediterranean european economic tourism forum dove propose di far glamping sull’Etna (“Abbiamo un vulcano vero, sfruttiamolo” disse), te ne fai una ragione anche perché, ammettiamolo, purtroppo ce lo aspettiamo da una certa ideologia che ha sempre fatto della natura un oggetto da predare solo per fare profitti privati. Quando invece ti ritrovi il medesimo format commerciale sul sito istituzionale di una Regione, e per di più di progressista come dice di essere l’Emilia-Romagna, allora davvero non capisco più nulla e mi ritrovo in pieno disorientamento.

E quindi chiedo due spiegazioni. La prima: che cosa spinge un sito istituzionale di una Regione progressista a promuovere un’idea di turismo “glamour”, sdoganando un modello di dubbissima sostenibilità (per essere gentili) e non incasellabile tra i ripiani dell’ecologia o dell’esperienza che ci riporta a uno stile di vita ecologico? Il glamping non assomiglia certo alla capanna di Thoreau. La seconda riguarda il perché un portale regionale, quindi sede pubblica pagata da tutti, debba fare pubblicità a tre strutture ricettive privatissime che possono farsi pubblicità sui canali commerciali a pagamento. Un invito del genere è fortemente inopportuno su un sito istituzionale pubblico, ma è ancor più stridente nel caso dell’Emilia-Romagna dalla quale speravamo, per ossequio alla sua tradizione, in racconti sui beni comuni, sulle sfide ambientali, sull’inclusione sociale piuttosto che consigli per un fine settimana in un glamping lussuoso che nulla ha a che vedere con l’inclusione sociale o la sostenibilità.

La distanza tra il glamping sull’Etna della ministra e quello reclamizzato sul portale istituzionale dell’Emilia-Romagna si riduce spaventosamente e alla fine l’uno vale l’altro. Capite il guaio culturale all’orizzonte? Se siamo arrivati al punto che i siti istituzionali che, non dimentichiamolo, rispondono agli indirizzi della politica, si mettono a fare il mestiere dei siti commerciali privati. I messaggi che i siti pubblici veicolano producono cultura e il loro carattere istituzionale certifica bontà e giustizia su ciò che propongono. Ma se nel caso della ministra si tratta di una affermazione personale, criticabilissima, ma pur sempre personale, qui la cosa è istituzionale. Il lettore è preso in contropiede perché tende a fidarsi delle parole scritte del/dal soggetto pubblico e di conseguenza si attenua di molto il suo senso critico.

Personalmente ho cara l’idea che le istituzioni politiche non debbano essere la stampella di nessuna proposta commerciale, ancor meno consumistica, ancor meno indicando la struttura privata tal dei tali o il prodotto di una certa marca. E non debba farlo neppure usando il pretesto della valorizzazione di chissà quale orgoglio imprenditoriale regionale (peraltro qui non si legge che le tre strutture sono state selezionate dopo una procedura di una qualche evidenza pubblica o a seguito di un bando o cose del genere). Credo che tutto questo sia solo un’immagine di cattivo gusto e ci segnali l’ennesimo scadimento di intendere la politica e l’uso che fa degli strumenti pubblici di cui dispone. Una politica che, di fatto, ci mostra di continuo di aver abdicato al ruolo di elevazione culturale, di cui ha responsabilità. Una politica che rischia di essere sempre più a libro paga dell’attrattività, del consumismo e che si tiene ben salda all’economicismo di ogni cosa, Etna o spiaggia adriatica che sia. Tollerare questi scadimenti, che all’apparenza sembrano poca cosa, significa prepararsi ad accettarne altri un po’ peggiori e poi altri ancor peggiori.

Abbiamo bisogno di questa progressione al ribasso? Abbiamo bisogno di democratici che inseguono il liberismo e cercano pure di sorpassarlo a destra? O piuttosto abbiamo bisogno di fare argine a ogni forma strisciante di edonismo dei consumi che, addirittura, ora si piazza nei siti istituzionali pubblici pronti a fargli da loro portavoce? Ci diranno che è normale, che sono mie ossessioni; eppure rimango convinto di quel che mi ha insegnato Bruno Latour: “Amplificare la resistenza della società all’economizzazione”, svegliare le reazioni dall’intorpidimento, sottrarsi ai tranelli della produzione. Insomma, indignarsi, non tollerare nulla di tutto ciò, anche quel che sembra piccolo piccolo, e costruire argomenti per respingere queste forme di spolpamento progressivo del buon abitare la Terra.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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