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Il Comune di Roma indebitato non riesce a chiudere il bilancio

E per questo medita l’accelerazione della privatizzazioni. In prima fila, Acea (e Caltagirone)

Con 12,2 miliardi di debiti e un deficit che per  quest’anno sfiora i 240 milioni di euro, si apre pericolosamente per il comune di Roma la strada della privatizzazione delle società controllate, tra cui spicca Acea, il colosso che gestisce acqua ed energia, nella capitale. 
La manovra, collegata al bilancio di previsione, approvata con sei mesi di ritardo dalla giunta Alemanno (e che dovrebbe passare in consiglio alla fine di luglio, per l’approvazione definitiva) punta a rastrellare 237 milioni di euro, condizione imposta dal governo per ottenere i 300 milioni annui di trasferimenti statali promessi, nell’ambito del progetto di risanamento che da qui al 2048 dovrebbe ridurre lo stratosferico indebitamento della capitale.
Manovra di lacrime e sangue, con un aumento generalizzato delle tariffe (trasporti, asili, assistenza ai disabili), tagli ai municipi che dovranno, tra l’altro, programmare le risorse (circa 50 milioni) con quasi un anno di ritardo. Per i cittadini molto cambierà a cominciare dall’aumento dell’addizionale Irpef comunale fino allo 0,4% (a meno che Alemanno in extremis non riesca convincere il governo ad incrementare il fondo di 50 milioni di euro e allora l’aumento potrebbe assestarsi allo 0,3) che, insieme con i diritti di imbarco di un euro per gli aeroporti della Capitale, sono necessari per trovare i 200 milioni di euro che servono per il finanziamento della gestione commissariale del debito, introdotta il 28 aprile 2008.    
Resta da vedere se il fondo da 500 milioni di euro l’anno  (300 dello Stato, 200 del Comune), è sufficiente alla luce degli oltre 12 miliardi di buco indicati dal commisario straordinario contro i 9,7 stimati nel 2008, dalla Ragioneria dello Stato. Secondo i calcoli dell’assessorato al bilancio della Capitale, le sole rate dei mutui -circa 8 dei 12 miliardi di debiti- sarebbero pari a 565 milioni l’anno, senza contare i debiti commerciali nei confronti di un esercito di fornitori, molti dei quali aziende di dimensioni medio-piccole. La gestione ordinaria di Roma ha anticipato pagamenti vari a carico della gestione commissariale -soprattutto ai fornitori- per 2,6 miliardi di euro tra l’aprile 2008 e gli inizi dello scorso maggio: proprio dal fronte aperto con i fornitori, molti dei quali con contenziosi avviati e azioni legali chiuse con sentenze sfavorevoli al Campidoglio, il debito pregresso sarebbe lievitalo da 9,7 a 12,2 miliardi.
L’aspetto curioso della vicenda è che la gestione ordinaria del Comune, che non ha debito finanziario,
è ora il primo creditore nei confronti della gestione commissariale, condizione che secondo alcuni ha messo a rischio default il comune.
Proprio le condizioni critiche del debito hanno impresso, negli ultimi sei mesi, un’accelerazione al processo di "privatizzazione" delle società controllate o partecipate, in primis l’Acea, attorno a cui si stanno moltiplicando le manovre dei privati. Nell’ex azienda municipale, il Comune di Roma detiene il 51 per cento delle azioni. Accanto all’amministrazione due azionisti di rilievo come il gruppo Caltagirone -attraverso le controllate So.Fi.Cos, Viafin e Fincal- che ha di recente raggiunto il 13 per cento delle azioni e la Gdf Suez (poco più del 10%), due pesi massimi in lotta per acquisire maggiore peso all’interno del consiglio di amministrazione   
Da sole le azioni dell’Acea frutterebbero al comune 1,3 miliardi di euro, risorse utili per togliere dalle secche la giunta, bersagliata di critiche proprio per la gestione del debito. La quota in Acea -per intendersi- copre
circa i due terzi dell’intero patrimonio in azioni della holding comunale ed appare l’unica disponibile alla vendita. Un altro quarto è rappresentato da Atac, l’azienda di trasporti riorganizzata di recente con l’accorpamento di Trambus e Roma metropolitane, che però una mozione del consiglio comunale ha
vincolato alla gestione in house fino al 2011.
È lo stesso Alemanno ad aver dichiarato a gennaio (e ribadito a giugno 2010) la volontà di cedere il 20 per cento di quote del colosso dell’acqua e dell’energia, a un soggetto privato entro l’anno -smentendo se stesso, visto che a novembre in un intervento alla Fao si era espresso "contro la mercificazione dell’acqua"- con tanto di identikit: sarà un partner legato al territorio, precisava il sindaco. Facile individuare nel profilo tracciato, il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone che ha manovrato nei mesi passati con l’amministrazione, per mettere alle corde i francesi della Suez. Decisivo per il cambiamento di fronte, l’appoggio dell’immobiliarista, attraverso l’Udc di Casini, all’ascesa della Polverini  alla guida della Regione. Altro dato che spingerebbe la maggioranza consiliare ad appoggiare l’operazione. 
L’alternativa sarebbe quella della cessione una parte del patrimonio immobilare. L’aspetto curisioso è che anche qui, uno tra i possibili beneficiari della vendita dei palazzi di proprietà, potrebbe essere lo stesso Caltagirone.  

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