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Economia / Opinioni

Il caro prezzo dei beni comuni e quell’autocritica impossibile di Arera

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Il 9 luglio l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ha pubblicato la propria relazione annuale al Parlamento e al governo sullo stato dei servizi pubblici. Nell’introduzione il presidente Stefano Besseghini sorvola però sui profitti maturati dai gestori e sui disagi patiti dagli utenti, esposti alle speculazioni finanziarie sul mercato delle materie prime. L’intervento di Remo Valsecchi

Il 9 luglio l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ha pubblicato la propria relazione annuale al Parlamento e al governo sullo stato dei servizi pubblici regolati e sull’attività svolta. Un migliaio di pagine che richiedono tempo per lettura e analisi approfondite. Ci si limiterà in questa sede a una critica al solo testo di presentazione del presidente dell’Autorità, Stefano Besseghini, per certi aspetti irritante.

Rivolgendosi ai parlamentari e al governo, infatti, Besseghini porge un saluto particolare a tutti coloro che con il loro lavoro fanno funzionare i servizi pubblici locali e che consentono a “tutti noi la qualità della vita che conosciamo”. Se avesse voluto riferirsi agli italiani, come sarebbe stato auspicabile, avrebbe scritto “a tutti gli italiani”, con l’uso del “noi” l’ha limitato a quelli che sono stati parte attiva dell’organizzazione dei servizi o, forse, solo all’organico dell’Autorità.

Non sarebbe, però, stato possibile riferirlo agli italiani se un quarto vive sotto la soglia di povertà assoluta o relativa e il 70% ha un reddito medio di 12mila euro, poco più di metà della media nazionale, che è di 22mila euro.
L’elevata qualità della vita per i “noi” del presidente di Arera è probabilmente riferita a chi ha percepito compensi annui di 285mila euro, ovvero i cinque componenti del direttivo dell’Autorità, 218mila per i 23 dirigenti e 123mila per i 212 dipendenti non dirigenti. Un altro mondo rispetto alla maggioranza degli italiani.

I cittadini, al contrario, dal gennaio 2021 al dicembre 2022, hanno subito un’inflazione del 17% con effetti devastanti su stipendi, salari e pensioni, e mai recuperati, proprio a causa di una gestione non regolata e controllata dei servizi pubblici e, quindi, con una diretta responsabilità di chi ha la funzione di regolazione. Uso il termine “responsabilità” per via di una constatazione riscontrabile dai documenti. Perché, invece di autoincensarsi, l’Autorità, anche se non rientra nelle sue specifiche competenze, ma rientra, comunque, nella funzione pubblica, non affronta, preliminarmente, la situazione sociale attuale e le cause che l’hanno peggiorata?

Giusto per rinfrescare la memoria. Il 3 agosto 2021 Arera ha sottoscritto l’abbonamento allo European spot gas markets, che rileva quotidianamente i prezzi finanziari del mercato delle materie prime energetiche per la loro applicazione alle tariffe del mercato tutelato. Se avesse indetto una gara tra i venditori avrebbe ottenuto prezzi di gran lunga inferiori, anche considerato che il prezzo dei mercati finanziari era all’incirca dieci volte quelli realmente pagati dai gestori, tutelando realmente gli utenti e costretto i venditori ad abbassare anche il prezzo del gas del mercato libero. Se si creano le condizioni per una reale concorrenza, la cui promozione è una competenza dell’Autorità, ma non lo fa, sono gli utenti o consumatori a beneficiarne.

L’Autorità di regolazione, per garantire l’equilibrio economico finanziario dei gestori, ha fatto però il contrario. Ha alzato il prezzo nel mercato tutelato, affrancando quello del mercato libero, lasciando alla concorrenza solo un margine dell’1 o 2%, forse per confondere. E poi la politica ha chiuso il mercato tutelato in presenza di un codice di condotta commerciale che, anche derogando al codice civile e al codice del consumo, ha creato solo confusione, truffe, raggiri e costi proibitivi per gli utenti. Per fortuna è intervenuta, laddove è stato possibile, l’Antitrust. Perché non va dimenticato che i profitti dei gestori visti dagli utenti sono costi.

E quei maggiori costi, necessari per garantire maggiori profitti, cioè per garantire l’equilibrio economico e finanziario del gestore, producono un effetto inflattivo duplice: quello diretto, perché aumentano le bollette, e quello indiretto, perché aumentano i costi dei beni e servizi sui quali, inevitabilmente, sono trasferiti i maggiori costi della loro produzione. Per quasi tutti gli italiani sono causa dell’aumento del disagio e di un peggioramento della qualità della vita, che i “noi” del presidente di Arera non conoscono.

A legger le parole del presidente di Arera sembrerebbe che la colpa sia degli italiani che si permettono di protestare e di ostacolare i progetti finanziari, non sociali, della politica e quelli strutturali per legittime preoccupazioni rispetto ad una situazione climatica-ambientale ormai degenerata.

Le incongruenze, rispetto alle funzioni pubbliche nelle quali rientrano la tutela dei cittadini, dei loro diritti e la soddisfazione dei loro bisogni essenziali, sono parecchie e ulteriori, dai bonus sociali, agli oneri generali di sistema, agli investimenti e a chi li paga e finanzia. Cancellando il rischio di impresa, i gestori non sono più impresa, sono enti assistiti. Nessuno lo spiega, i cittadini non devono sapere, il governo della Repubblica, cioè dei beni comuni, è un fatto riservato e privato.

Qualcuno lo farà con il ricorso e utilizzo dei dati della relazione evidenziando quello che, con qualche dubbio, è positivo e, quello che, più probabile, è negativo cercando di capire perché il disagio sociale e la povertà aumentino. Non è un pregiudizio e nemmeno una posizione ideologica, come quasi sempre viene etichettato il dissenso, è solo il desiderio di ridare un’etica alla politica, un cambiamento necessario che solo i cittadini possono realizzare.

Remo Valsecchi, già commercialista, è autore del nostro dossier “Carissimo gas” e coautore dell’inchiesta “È arrivata la bolletta”

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