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Il calvario di Andrea: detenzione in Belgio tra accuse e malattia psichiatrica

© Milad Fakurian - Unsplash

Un giovane italiano di 26 anni che soffre gravi problemi di salute mentale e tossicodipendenza è detenuto in un carcere belga da oltre tre mesi. La mancanza di cure adeguate e la difficoltà nel mantenere contatti regolari con i suoi cari stanno aggravando una situazione già disperata. È urgente intervenire per garantire i suoi diritti e assicurargli le cure di cui ha bisogno

Andrea, cittadino italiano di 26 anni, è detenuto da oltre tre mesi nel carcere di Hasselt, in Belgio, per il presunto furto di collanine durante un festival. Affetto da gravi problemi psichiatrici e di tossicodipendenza, le sue condizioni di salute sono peggiorate drasticamente in carcere. La famiglia denuncia la mancanza di cure adeguate e, per un certo periodo, contatti regolari con il figlio che aveva anche smesso di mangiare e di lavarsi.

Nonostante la documentazione sui suoi problemi, Andrea non ha ricevuto alcuna visita specialistica. La situazione ha attirato l’attenzione dei media e di alcuni parlamentari italiani, finora senza risultati concreti.

Secondo il padre, che chiede di non diffondere il suo cognome per motivi di privacy, Andrea, da un anno, non usciva di casa a causa della sua tossicodipendenza. Da un anno e mezzo fa uso di crack, che ha distrutto tutto ciò che aveva costruito prima. A metà maggio, la famiglia ha scoperto che Andrea era in carcere in Belgio, dove si è dichiarato reo confesso. L’ipotesi è che, non potendo più pagare lo spacciatore, Andrea sia stato costretto a seguirlo in Belgio per compiere alcuni furti durante un festival. Sotto l’effetto di medicinali e stupefacenti, ha dormito tutte le 11 ore del viaggio e, viste le sue condizioni psichiatriche, è lecito ipotizzare sia stato vittima di circonvenzione di incapace e ricattato. 

L’avvocata belga, incaricata dai suoi famigliari per la difesa, ha dichiarato che si potrebbe arrivare fino a nove mesi di detenzione in attesa di giudizio e, per questo, per accelerare i tempi, ha suggerito al ragazzo di dichiararsi reo confesso: prima viene emessa la condanna prima è possibile far qualcosa per il suo rientro in Italia.

Durante la discussione in tribunale, la sua legale ha contestato le traduzioni dei messaggi WhatsApp trovati sul cellulare di Andrea perché non eseguite da personale qualificato e giurato, la mancata utilizzazione dei video delle telecamere presenti sul luogo dei presunti furti, la mancata indagine su coloro che erano stati ritenuti due complici del ragazzo e, soprattutto, la mancata verifica delle impronte digitali e del Dna cui Andrea si era dato disponibile a sottoporsi. Va aggiunto anche che, quando è stato arrestato, non gli è stata trovata alcun genere di refurtiva, e il padre sostiene che suo figlio non era in grado di compiere il reato dato il suo stato di salute in cui s’era ridotto nell’ultimo anno trascorso chiuso in casa.

Una perizia psichiatrica del 2017 aveva già dichiarato che la dipendenza di Andrea porta a una pericolosità sociale. L’invalidità non è mai stata contemplata, ma lo stesso perito del tribunale vuole riconoscergli l’invalidità sociale dopo questi lunghi anni di messa alla prova. Negli ultimi sette anni, Andrea è stato seguito dal SerD, dal Centro di salute mentale e ha frequentato comunità terapeutiche. È un malato psichiatrico con difese immature e condotte oppositive. Tuttavia, anche se la documentazione era stata spedita immediatamente al carcere, lo psichiatra della prigione ha contattato la famiglia per chiedere che cosa somministrare al ragazzo, accettando una specifica posologia trasmessa telefonicamente dal papà di Andrea che non verrà più modificata nel corso di questi tre mesi, pratica inammissibile per un malato psichiatrico per il quale è sempre richiesto un aggiornamento ogni quattordici giorni della posologia e dei medicinali, dopo approfondito colloquio tenuto con il paziente.

La situazione è stata complicata dalla lingua: una persona di fiducia che parla italiano e francese fa da tramite tra famiglia e avvocata che, oltre a parlar francese, dialoga in fiammingo con il tribunale di competenza e in spagnolo con il ragazzo.

In seguito all’udienza dello scorso 9 agosto, l’avvocata ha inviato una comunicazione per informare dei recenti sviluppi. Andrea ha avuto la fortuna di essere ascoltato all’inizio dell’udienza, evitando lunghe attese nelle celle del tribunale. Il procuratore ha chiesto una pena detentiva di almeno 30 mesi, opponendosi alla sospensione della pena a causa dei precedenti penali di Andrea. L’avvocata ha argomentato a lungo per dimostrare che molti dei fatti imputati non potevano essere provati oltre ogni ragionevole dubbio, evidenziando l’indagine approssimativa e sottolineando l’esistenza di episodi simili nelle stesse date. Ha anche sostenuto che la pena detentiva per Andrea non è adeguata, proponendo delle alternative. Una delle vittime presenti durante l’udienza ha chiesto un risarcimento morale e materiale, che la legale ha contestato. Il tribunale emetterà la sentenza l’11 settembre.

Nel frattempo, la senatrice Ilaria Cucchi che si era subito attivata a metà maggio ottenendo una risposta dal ministero degli Esteri il 10 giugno, si sta ancora occupando del caso e, a giorni, le si dovrebbe affiancare in questa azione la neoparlamentare europea Ilaria Salis. Non solo, l’ex deputato Giovanni Russo Spena ha contattato il ministero della Giustizia, che è informato del caso dall’associazione Antigone e dalla Cucchi stessa. 

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