Diritti / Opinioni
I giapponesi sono pacifisti
L’articolo 9 della Costituzione del Paese nipponico riconosce l’aspirazione alla “pace internazionale”. A settembre 2015, però, il governo ne ha sterilizzato il contenuto. La risposta dei cittadini è stata l’organizzazione di inusuali manifestazioni, contro una decisione che cancella -di fatto- un progetto di società. Il commento di Lorenzo Guadagnucci
L’articolo 9 della Costituzione giapponese fu imposto dagli Stati Uniti d’America appena un anno dopo Hiroshima e Nagasaki. Il Paese che aveva terrorizzato l’Asia con il suo bellicismo, diventava pacifista. Era il prezzo da pagare per la sconfitta subita nella guerra combattuta a fianco dei nazisti e dell’Italia fascista. Ecco l’articolo 9: “Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire l’obiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto”.
Per il Giappone era un’umiliazione, ma anche l’avvio di una nuova fase politica, con la piena legittimazione a far parte del mondo cosiddetto occidentale; la premessa per lo straordinario sviluppo economico a venire. Da un altro punto di vista, la costituzione pacifista è stata l’occasione per sperimentare un modo diverso di concepire uno Stato e il suo modo di interagire con gli altri. Sono passati settant’anni e siamo al punto conclusivo dell’esperimento, se mai di esperimento si è davvero trattato.
Nello scorso settembre, il parlamento giapponese, senza cambiare la costituzione, ne ha sterilizzato il contenuto pacifista, stabilendo che le cosiddette forze di autodifesa, l’eufemismo utilizzato da tempo per definire le forze armate e aggirare lo stesso articolo 9, potranno d’ora in poi partecipare alle missioni militari all’estero.
L’operazione del governo guidato dal nazionalista Shinzo Abe (nella foto sotto) è stata tuttavia fortemente contrastata. Si è sviluppato un movimento popolare in difesa dell’articolo 9 -della sua sostanza, visto che la forma è rimasta tale- per molti versi sorprendente. Agli ultimi “hibakushya”, i sopravvissuti alle esplosioni atomiche dell’agosto 1945, si sono uniti molti giovani, che hanno dato vita a sit-in e manifestazioni di piazza inusuali per la società giapponese. Evidentemente è diffusa la consapevolezza che la normalizzazione imposta da Abe è solo un apparente passo avanti per la democrazia giapponese.
La vicenda dell’articolo 9 fa pensare naturalmente all’articolo 11 della nostra Costituzione, quello che “ripudia” la guerra. Un’affermazione costantemente disattesa, grazie anche ad interpretazioni compiacenti, secondo le quali il “ripudio” dev’essere interpretato e contestualizzato, oltre che coordinato con il comma successivo riguardante gli “obblighi internazionali” del Paese. In definitiva l’affermazione di ripudio, secondo questa versione, non è un vero ripudio e quindi nulla osta alle missioni militari passate, presenti e soprattutto future, che infatti vengono condotte e programmate nell’indifferenza quasi generale.
I media internazionali hanno seguito le proteste pacifiste giapponesi con attenzione -quelli italiani, a dire il vero, molto meno-, registrando il contrasto fra l’evoluzione favorita da Abe, apparentemente scontata, e l’imprevista sollevazione popolare. I media europei sono rimasti sorpresi perché non siamo più abituati a considerare l’opzione pacifista come legittima e capace di raccogliere ampio consenso fra i cittadini.Sono passati poco più di dieci anni dall’enorme mobilitazione contro la guerra in Iraq, ma già prevale l’assuefazione alla retorica martellante della “guerra necessaria” (contro l’Isis, contro il terrorismo, contro gli Stati canaglia o addirittura “contro gli scafisti”).
Gli “hibakushya” e i cittadini giapponesi scesi in piazza quest’estate ci ricordano che gli articoli 9 e 11 delle costituzioni votate a Tokyo e Roma dopo la guerra si possono ancora considerare come un progetto di società. Che non sono il retaggio di condizioni storiche eccezionali e superate, come vorrebbe, per inciso, il famoso report della banca JP Morgan di un paio di anni fa, quello che lamentava la permanenza in Europa di costituzioni nate dall’antifascismo, troppo attente alla partecipazione dei cittadini e ai diritti di chi contesta. —