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Interni / Intervista

I frutti del “Decreto Cutro”, tra nuova irregolarità e ulteriore contenzioso nei tribunali

Dietro l’annunciata repressione di “scafisti” e trafficanti si ritrovano misure che penalizzano la regolarizzazione delle persone già presenti, colpendo la protezione speciale, osserva l’avvocato Livio Neri. Con il paradosso di far esplodere gli arretrati negli uffici, con tempistiche incompatibili con gli obiettivi del Pnrr. Il caso di Milano

Un sindaco sulla spiaggia di Cutro dopo la manifestazione nazionale dell'11 marzo © Giuseppe Arcuri / Fotogramma

Nell’analizzare il decreto legge 20/2023 (intitolato “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”), emanato lo scorso 10 marzo, dopo che il Consiglio dei ministri si è riunito a Cutro, l’avvocato Livio Neri, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), premette di voler “partire dal contesto”. Perché il tragico naufragio del 26 febbraio davanti alle coste calabresi “avrebbe dovuto far trovare soluzioni per evitare quel che è successo”. E invece, osserva Neri, le misure contenute nel decreto riprendono “fili conduttori che non danno rimedio all’evento. Tutt’altro”. E alla fine del suo ragionamento il legale rilancia un allarme: i continui e pasticciati “colpi” alla normativa sull’immigrazione stanno creando la vera e unica “emergenza”, quella dei contenziosi nei tribunali, che rischiano persino di affossare gli obiettivi del Pnrr.

Avvocato Neri ci può aiutare a comprendere meglio il contenuto del decreto?
LN Parto dal primo “filo conduttore”, che è quello della repressione del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la misura più sbandierata dall’esecutivo e dalla stessa presidente del Consiglio. Per loro infatti quel che è accaduto è solo colpa di trafficanti e scafisti, e non perché non ci sono canali legali di ingresso, sicurezza del viaggio o operazioni di ricerca e soccorso. No, la colpa è degli scafisti. Ma se anche seguissimo questo ragionamento, quel che viene previsto nel decreto è assai poco. C’è infatti un inasprimento minimo delle pene edittali per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sia in forma semplice sia in forma aggravata. Da pene che andavano da uno a cinque anni (semplice) e da cinque a quindici anni (aggravata) siamo passati a due-sei e sei-sedici anni. Dubito fortemente che questo aumento di pena disincentivi trafficanti e scafisti a far intraprendere i viaggi alle persone. Si tratta perciò di una misura inefficace e propagandistica.

Poi c’è il reato di morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina. Che cosa comporterà?
LN È la forma speciale di un reato che esiste già. Il decreto prevede in sostanza che se l’aver favorito l’ingresso irregolare in Italia ha portato a lesioni gravi o gravissime o addirittura al decesso delle persone fatte entrare, il responsabile è punito con sanzioni severe che vanno da 20 a 30 anni. Su questo vorrei richiamare l’attenzione rispetto al rischio che tale misura possa essere contestata in ipotesi anche alle navi umanitarie delle Organizzazioni non governative. Può infatti capitare che una Ong effettui un’operazione di trasporto di naufraghi salvati e che uno di questi possa perdere la vita. Dalla lettura della norma sembrerebbe esclusa tale circostanza ma sappiamo bene in quale contesto oggi sono costrette a operare le organizzazioni. Quindi non è una buona notizia.

Arriviamo al cuore del decreto, e cioè alla “colpa” della immigrazione irregolare.
LN Il provvedimento è costruito sull’assunto che il naufragio di Cutro sia stato causato dall’immigrazione irregolare, “clandestina” per usare le parole del governo. Quindi occorre creare modi sicuri di ingresso e soggiorno regolare. Per carità, alcune misure vanno in questa direzione ma sono timide.

Può fare un esempio?
LN Prendiamo la durata massima del permesso di soggiorno per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare, che viene allungata da due a tre anni. È un bene ma il problema è un altro, ovvero i tempi di rilascio di quei permessi da parte del questore. Se, come avviene oggi, il permesso è rilasciato tardissimo, a volte addirittura sotto od oltre la scadenza, l’allungamento della durata massima del titolo conta poco. Un’altra norma timidamente positiva è quella che consente, al di fuori delle quote, l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato allo “straniero residente all’estero che completa le attività di istruzione e formazione”. Ma ciò che cambierà davvero la vita delle persone, in peggio, è altro.

Si riferisce ai tre brevi commi dedicati alla protezione speciale?
LN Sì. La vera questione che impressiona è rappresentata dall’ennesimo giro di vite sulla protezione speciale. Considerato il contesto nel quale è maturato questo decreto, colpisce il disprezzo del legislatore per la vita delle persone. La protezione speciale non viene abrogata tout court, non potevano permetterselo anche dopo il messaggio del presidente della Repubblica all’epoca dei decreti Salvini, ma si intende comunque impedire alle questure e alla commissioni territoriali che debbono riconoscerla di considerare la durata del soggiorno, i legami familiari, l’inserimento sociale e lavorativo o l’indebolirsi dei legami sociali, culturali e familiari nel Paese di provenienza. Non si capisce che cosa questo possa c’entrare con il contrasto all’ingresso e al soggiorno irregolare. Questa norma produrrà solo irregolarità, impedirà a persone che sono sì irregolari sul territorio allo stato ma che potrebbero emergere di farlo. Incomprensibile, o forse no.

Che cosa intende?
LN L’unica “ragione” che si può individuare in politiche di questa natura è il voler rendere l’Italia un ambiente ostile per i migranti irregolari. Far capire a chi arriva che qui non avrà vita facile e non ci sarà alcun modo per regolarizzarsi. Anche se queste persone, come nel caso della protezione speciale, sono qui da anni, sono radicate e inserite socialmente, lavorano, hanno relazioni stabili. Ma non basterà: si vuole affermare che “è inutile che vengano”.

Alle persone che assiste che cosa sta dicendo in questi giorni?
LN Che la protezione speciale c’è, che nulla cambia nel principio ma che la norma è meno chiara e meno precisa. Che le questure e le commissioni territoriali avranno parametri più incerti per il riconoscimento ma che la procedura è la stessa di prima. Anche se quel che si sente dire è che gli uffici immigrazione abbiano già stretto l’accesso. Devo dire però che sono molto più preoccupato per il nostro Paese in generale. E mi riferisco al sicuro incremento del contenzioso nei tribunali che si verificherà, sommandosi a quello che già accumulato e che è sì una vera e propria emergenza.

Può farci l’esempio del distretto di Milano, dove è istituita presso il Tribunale la Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale?
LN Riprendo l’ultima relazione sull’amministrazione della Giustizia nel distretto della Corte d’appello di Milano svolta il 28 gennaio 2023 dal presidente della Corte, Giuseppe Ondei. Nel secondo semestre 2017 a Milano i procedimenti pendenti legati a ricorsi presentati da richiedenti asilo erano 1.202. Nel primo semestre 2022 sono schizzati a 9.163, vuol dire più 800%. Questi oltre 9mila procedimenti rappresentano quasi un quarto di tutto il contenzioso civile di Milano.

Per non parlare dell’arretrato.
LN A Milano, sempre citando la relazione della Corte d’appello, solo nel primo semestre 2022 sono diventati ultratriennali 1.890 procedimenti di protezione internazionale sui 4.416 relativi all’intero tribunale, vuol dire il 42,8% del totale. E i numeri di queste cause non aumentano peraltro per una corrispondente crescita nello stesso periodo degli ingressi o delle domande di asilo (che certo non c’è stato in quelle dimensioni) ma per una normativa sul soggiorno e sull’asilo inutilmente ostile ai migranti e richiedenti asilo e non adeguata a rispondere alle esigenze delle persone e della collettività. Ecco perché Ondei ha denunciato che il “peso dell’arretrato ultratriennale rischia di non consentire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi posti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

Quindi la propaganda sull’immigrazione crea irregolarità e fa fare a tutti testacoda?
LN Proprio così. Nella relazione milanese si auspicava una “seria riflessione sulla sostenibilità dell’attuale sistema normativo e ordinamentale”. Ma con il “decreto Cutro”, e questi nuovi guasti al diritto degli stranieri, il governo ha fatto il contrario.

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