Ambiente
I difetti del cittadino
I casi di Pisa e Sesto San Giovanni mostrano il “nuovo corso” della giustizia amministrativa: delegittimare chi ricorre contro un provvedimento pubblico
“Ritiene il collegio che la qualifica di meri residenti nel Comune non legittimi i ricorrenti alla proposizione del ricorso, difettando una qualifica specifica, in rapporto al territorio interessato, tale da giustificare un interesse reale”.
È burocratese. Sono parole fredde, e le ha scelte il Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Toscana per cancellare, con una sentenza depositata il 12 maggio 2011, il ricorso di una trentina di cittadini pisani nei confronti di Comune e Provincia. Siccome l’oggetto del ricorso è una variante al Regolamento urbanistico votata tra il 2008 e il 2009 dal Comune di Pisa, sono le parole scelte dal giudice per dire ai cittadini che non è affar loro limitare il consumo di suolo, intervenire su un atto che modifica sensibilmente 25 delle 37 Utoe (Unità territoriali organiche elementari) in cui è suddiviso il territorio comunale e favorirà -nei prossimi anni- la cementificazione di oltre 2 chilometri quadrati di superficie agricola.
Il giudice amministrativo ha accolto “l’eccezione preliminare proposta dall’amministrazione”, condannando i ricorrenti a pagare le spese di giudizio a favore del Comune, per 3mila euro (più Iva). Tecnicamente, quello rilevato si chiama “difetto di legittimazione”. Significa, spiega l’avvocato Ornella Aglioti, che difendeva i cittadini pisani, “che il Tar non è entrato nel merito del giudizio: non ha detto che il Comune ha agito correttamente, ma ha affermato ‘voi non avete titolo di per sottoporre all’attenzione del magistrato questa vicenda’. Ha ricordato ai ricorrenti, cioè, che il loro interesse non è tutelabile”.
Non è banale: spesso il Tribunale amministrativo regionale (Tar) è l’“ultima spiaggia”. Per cittadini, comitati e associazioni ambientaliste rappresenta, da sempre, il rifugio di fronte a scelte non condivise (o non condivisibili) delle pubbliche amministrazioni. Elaborare un ricorso, e sostenerne le spese, non è semplice. In questi anni, Ae ha raccontato spesso storie di vittoriosi “ricorsi al Tar”, capaci di stoppare progetti dall’alto impatto sociale ed ambientale.
Forse il vento è cambiato, però: oltre al Tar della Toscana, negli ultimi mesi (maggio 2011) anche quello della Lombardia ha bocciato un ricorso, quello che alcuni cittadini di Sesto San Giovanni (Mi) e l’Unione inquilini avevano presentato contro il Piano di governo del territorio approvato dal Comune. Le parole scelte dal giudice amministrativo, in questo caso, sono queste: “La mera ‘vicinitas’ di un fondo o di una abitazione all’area oggetto di un intervento urbanistico non è sufficiente a radicare l’interesse al ricorso, dovendo invece la parte attrice dare la prova concreta della specifica lesione inferta dagli atti impugnati alla propria sfera giuridica: ciò permette di evitare un’eccessiva dilatazione del concetto di ‘interesse ad agire’ applicato ai piani urbanistici”. Secondo Marco De Guio, dell’Unione inquilini di Sesto San Giovanni, “così si tronca uno spazio di democrazia: le amministrazioni possono fare ciò che vogliono, sono in una ‘botte di ferro’”. Marco Ricci, presidente di Legambiente Pisa e tra i firmatari del ricorso bocciato dal Tar della Toscana, pone l’accento su un altro aspetto: “Il giudizio è lasciato alla discrezionalità del collegio. In Toscana, in particolare quando la materia del ricorso è urbanistica, viene considerato ‘legittimato a ricorrere’ solo chi ha un potenziale danno diretto. Per questo ho firmato il ricorso a titolo personale, anche se Legambiente ha coordinato i comitati sorti nei diversi quartieri. Abbiamo voluto evitare che l’associazione venisse esclusa per mancanza dell’interesse a ricorrere”.
Che la discrezionalità sia un nodo da sciogliere lo capiamo ascoltando le parole di Raffaela Mazzi, avvocato marchigiano, impegnata nell’ufficio legale di Italia Nostra: “Tra i ricorrenti, inserisco sempre un’associazione ambientalista -spiega- o qualche proprietario di aree limitrofe. Nelle Marche, i ricorsi promossi dai comitati sono sempre stati respinti. Per essere considerato ‘legittimato’, ad esempio, un comitato deve dimostrare di essere operativo da tempo sul territorio, di non esser sorto per affrontare quella specifica situazione”. Nel nostro Paese, spiega Mazzi “l’azione popolare in materia di ambiente non è ammissibile. E, sempre più spesso, le associazioni non vengono riconosciute quando si tratta di materie urbanistiche”. Ornella Aglioti, l’avvocato di Pisa, denuncia “un’omissione compiuta dal magistrato, che sembra non aver letto per intero tutte le memorie e i documenti depositati, limitandosi a una scarna motivazione fondata su circostanze del tutto residuali rispetto a quanto prospettato nell’intero ricorso”. Il riferimento di Aglioti, in particolare, è alla perizia tecnica, prodotta per dimostrare l’interesse a ricorrere dei 30 cittadini pisani, nella quale era stata ampiamente chiarita e comprovata la vicinanza (talvolta di 20 metri) con le aree oggetto di cementificazione; il maggior carico urbanistico derivante; la perdita di superfici destinate a verde; l’incidenza sulla qualità della vita. Perizia fatta redarre dall’avvocato in base alla sentenza 4345/2009 del Tar della Lombardia, la prima in cui un tribunale amministrativo regionale aveva reso esplicita l’esigenza di un documento che provasse la legittimazione ad agire. Come se non fosse sufficiente la semplice qualità di residente. “Questo filone giurisprudenziale diventa preoccupante” spiega l’avvocato. La sentenza 4345 fa riferimento ad un ricorso relativo al comparto Garibaldi-Repubblica, uno dei maggiori progetti in via di realizzazione a Milano. E la stessa disciplina (perizia) era stata valutata nel ricorso al Tar contro l’iniziativa City Life. Il Tar, in quel caso, aveva dato ragione ai ricorrenti. Poi il Consiglio di Stato, a fine novembre 2010, aveva ribaltato la sentenza, a favore di City Life, Fondazione Fiera, Comune di Milano e Regione Lombardia. I cittadini ricorrenti, in quel caso, erano stati condannati a pagare le spese, 21mila euro. Una “giurisprudenza” che ha inciso anche sulla vicenda di Sesto San Giovanni: “Il giudice che ha esteso la sentenza relativa al Pgt di Sesto è lo stesso che, in prima istanza, aveva dato ragione ai ricorrenti contro City Life -spiega De Guio-, e ci ha riconosciuto la compensazione delle spese. È come se ci avesse detto: ‘Non andate oltre, di fronte al Consiglio di Stato, altrimenti toccherà anche a voi coprire le spese processuali’”.
Si realizza così un’equazione pericolosa: la scelta presa della pubblica amministrazione è sempre nell’interesse generale. Quello di cittadini, comitati e associazioni è “privato”. E perde sempre.
Uno per regione
I tribunali amministrativi regionali, in Italia, sono venti. Sono organi cui è demandata la giurisdizione amministrativa: la loro competenza, cioè, riguarda ricorsi promossi da “privati” (cittadini ma anche associazioni, comitati) contro atti amministrativi che ledono un interesse legittimo. Istituiti nel 1971, oggi il loro funzionamento è regolato dal Decreto legislativo numero 104 del luglio 2010. Quando la “pubblica amministrazione” è un organo centrale dello Stato (ad esempio un ministero), la competenza è del Tar del Lazio. Il tribunale amministrativo giudica eventuali vizi di legittimità dell’atto. Coloro che desiderano ricorrere al Tar, hanno 60 giorni di tempo -dall’emanazione dell’atto- per notificare il ricorso tanto all’autorità che ha emanato il provvedimento quanto ad almeno un soggetto “controinteressato”, ovvero che potrebbe subire un pregiudizio dall’accoglimento del ricorso (nel caso pisano, ad esempio, la Provincia di Pisa). Poi ha altri 30 giorni per depositare il ricorso, che non pregiudica l’efficacia dell’atto. Per bloccare un provvedimento, in attesa di giudizio, è però possibile chiedere la sospensiva, che il giudice amministrativo può accordare o meno dopo un sommario esame della vicenda, quando il ricorso appaia fondato e l’efficacia del provvedimento fino al momento del giudizio potrebbe comportare un danno grave o irreparabile.
Più cemento per tutti
Prima del ricorso al Tar, il Comune di Pisa aveva ricevuto 118 “osservazioni” rispetto alla variante al Regolamento urbanistico, tutte cassate tranne le due o tre che consentivano modifiche capaci di aumentare il carico urbanistico. “Tra le osservazioni, una era firmata dalla Regione Toscana -spiega Marco Ricci, presidente di Legambiente Pisa-: in virtù della legge regionale 1/2005 in materia urbanistica, infatti, tutte le scelte sono delegate ai Comuni. Un provvedimento che avrebbe dovuto garantire maggiore partecipazione, ma che alla prova dei fatti ha comportato il venir meno di qualsiasi controllo. Nel concreto, la Regione contestava che la variante approvata andava a stravolgere il ‘Piano strutturale’, che è il documento strategico a partire dal quale viene disegnato, in concreto, il ‘Regolamento urbanistico’ cittadino. Il ‘Piano’, per altro in scadenza, prevedeva poche urbanizzazioni. La variante lo stravolge, predisponendo numerosi interventi, dallo spostamento dello stadio alla cementificazione del parco di Cisanello” (tutti gli interventi sono riassunti nel dossier “Là dove c’era l’erba”, su www.legambientepisa.it).
A Sesto San Giovanni, invece, l’oggetto del contendere era il Piano di governo del territorio approvato nel 2009 e in particolare il procedimento di valutazione ambientale strategica (Vas). Secondo i ricorrenti, si è creata una situazione di conflitto d’interesse, ove “committente e ricevente della Valutazione sono la stessa persona: un dirigente del Comune che non ha competenze specifiche” racconta Marco De Guio, dell’Unione inquilini. Con il Pgt, il Comune prevede una crescita di Sesto San Giovanni, che sarebbe pronta ad accogliere altri 20mila abitanti nonostante -è scritto nelle Vas- “un’insufficienza di acqua potabile di circa 1.750.000 m3, che dovrà essere sopperito attraverso il contributo acquedottistico del vicino comune di Cinisello Balsamo; un forno inceneritore al massimo della sua capacità di smaltimento e che quindi dovrà essere ingrandito; un inquinamento atmosferico dovuto per l’80% da traffico veicolare che non può essere abbattuto con la realizzazione di case di classe energetica superiore”. Tra gli interventi più importanti per il territorio c’è senz’altro quello da un milione di metri quadri che caratterizza l’area ex Falck, un Piano integrato d’intervento (Pii) portato avanti dalla Sesto Immobiliare di Davide Bizzi (vedi Ae 123).