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Ambiente / Approfondimento

I costi nascosti dietro il progetto dell’hydrogen valley di Modena

© flickr.com/thejedi

Hera e Snam hanno ottenuto un finanziamento del Pnrr da 19,5 milioni di euro per avviare la produzione di 400 tonnellate di idrogeno “verde” all’anno. Ma il progetto “IdrogeMO” non realizzerà una vera transizione. Ecco perché

Tratto da Altreconomia 263 — Ottobre 2023

Il nuovo mantra della green economy (o supposta tale) è l’idrogeno “verde”. Lo scorso aprile sono stati pubblicati i vincitori del bando relativo alla linea del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la produzione di idrogeno in aree industriali dismesse. Il capitolo di spesa, con un budget complessivo di 500 milioni di euro, raccoglie qualche decina di progetti distribuiti in varie Regioni, soprattutto del Centro e Nord Italia. Spicca quello presentato dalla multiutility Hera insieme a Snam, la corporation a partecipazione pubblica che gestisce le infrastrutture per il trasporto del gas, perché si è aggiudicato l’intero finanziamento messo a disposizione per l’Emilia-Romagna: 19,5 milioni di euro.

Il progetto, denominato IdrogeMO, prevede la realizzazione di un polo per la produzione di idrogeno “verde” nel comune di Modena attraverso la riqualificazione della discarica esaurita di via Caruso. Si tratta di uno dei primi tasselli della cosiddetta hydrogen valley, che dovrebbe rappresentare la base dell’hydrogen backbone, la dorsale per il trasporto dell’idrogeno voluta da Snam e rilanciata dal Governo Meloni come parte del “South H2 Corridor” che collega il Nord Africa alla Germania.

IdrogeMO prevede la costruzione di un parco fotovoltaico da sei MW collegato a un elettrolizzatore: un dispositivo che permette di “rompere” le molecole d’acqua dolce, separando l’idrogeno dall’ossigeno e che permetterà di produrre fino a 400 tonnellate di idrogeno all’anno. Per poter alimentare l’impianto anche nelle ore notturne, il polo sarà completato da batterie per lo stoccaggio dell’energia elettrica. Dalla descrizione fornita dai promotori l’investimento complessivo ammonta a 20,8 milioni di euro. Il combustibile prodotto dovrebbe rifornire sia le aziende del trasporto pubblico locale, sia una parte del comparto industriale del territorio.

La capofila del progetto, Herambiente Spa, si occuperà dell’impianto fotovoltaico. Mentre Snam andrà a realizzare gli impianti di produzione e distribuzione dell’idrogeno. Sulla carta è un’opera virtuosa, ammantata di uno strato di verde. Analizzando bene i dati a disposizione, però, l’idrogeno “verde” sembra tornare a essere solo una bella favola. Per una produzione di 400 tonnellate all’anno, infatti, servirebbero almeno 21 MW di potenza fotovoltaica installata e dedicata solo a questo scopo. Cioè non meno di 25-30 ettari di parco fotovoltaico, con un aumento significativo dell’investimento economico e dello spazio necessari a realizzare il progetto.

In ogni caso, la produzione di energia elettrica si concentrerebbe nelle ore diurne, quando l’impianto fotovoltaico è in attività. Sarebbe necessario, come indicato dagli stessi promotori, l’utilizzo di batterie agli ioni di litio per trasferire la capacità di produrre idrogeno verde anche di notte per almeno 60mila kWh di capacità accumulata. In concreto, per centrare l’obiettivo delle 400 tonnellate di idrogeno sarebbe necessario far funzionare per settemila ore consecutive all’anno un elettrolizzatore e un compressore da circa cinque MW di potenza elettrica. Per farlo servono 24mila mWh di energia elettrica: ma un impianto fotovoltaico da sei MW potrà verosimilmente produrre ogni anno circa 7.200 mWh, pari a circa un terzo del fabbisogno.

Gli altri due terzi -necessari per raggiungere la capacità produttiva massima dell’elettrolizzatore- dovrebbero essere prelevati dalla rete elettrica di media o alta tensione, che comprende una quota significativa di energia prodotta da centrali termiche a gas e a carbone.

Addio sogno verde, dunque. Anche perché, siccome non ci sono gasdotti dedicati tra Modena e le città vicine, è presumibile che l’idrogeno venga trasportato nei luoghi di utilizzo tramite autocarri corredati di serbatoio criogenico (ciascuno dei quali ha una capacità di circa 3,2 tonnellate, per un totale di 125 viaggi) oppure carri bombolai con idrogeno compresso che arrivano a poco più di 450 chilogrammi l’uno (in questo caso serviranno ben 889 viaggi). Un “passaggio” non certo all’insegna della sostenibilità.

L’idrogeno prodotto a Modena dovrebbe servire sia il trasporto pubblico locale sia il tessuto industriale in una prospettiva di decarbonizzazione. In realtà, però, 400 tonnellate di idrogeno non sono poi così tante. Guardando ai progetti per l’utilizzo di questo combustibile nel trasporto locale spicca quello del Comune di Bologna che, in accordo con società Trasporto passeggeri Emilia-Romagna (TPer), e grazie a un finanziamento del Pnrr di 90 milioni di euro, ha annunciato l’acquisto di 127 autobus urbani a idrogeno con consegna entro il 2026.

Dati alla mano, le 400 tonnellate annuali che verranno prodotte a Modena coprirebbero a malapena il fabbisogno di questi mezzi che, secondo TPer, costituiscono solamente il 12% del parco veicolare del capoluogo regionale. Secondo i nostri calcoli, a regime ogni autobus percorre dai 30mila ai 60mila chilometri, circa 100 chilometri al giorno. Un autobus a idrogeno di linea è una sorta di veicolo ibrido avente una motorizzazione elettrica alimentata da una cella a idrogeno e da una batteria agli ioni di litio. Questa tipologia consumerà mediamente circa 3.650 chili di idrogeno in un anno. Il fabbisogno complessivo dei 127 autobus bolognesi dovrebbe dunque aggirarsi sulle 464 tonnellate all’anno, ben oltre la quantità prodotta dagli impianti di IdrogeMO.

Al costo complessivo vanno poi aggiunte le spese per l’acquisto dei veicoli, quelle per il trasporto dell’idrogeno tramite tir con serbatoio criogenico oppure con carri bombolai, oltre a quelli per la realizzazione delle stazioni di distribuzione. Senza dimenticare, ovviamente, gli iter autorizzativi per il sito produttivo e per la realizzazione dei distributori. Inoltre, negli autobus a idrogeno è prevista una batteria, a cui si abbina una cella a combustibile realizzata con specifici catalizzatori al platino, un elemento più raro dell’oro. Ultimo, ma non meno importante, il tema del consumo di acqua dolce: la produzione di una tonnellata di idrogeno ne richiede fino a novemila litri. Di conseguenza, l’hydrogen valley modenese avrebbe un consumo annuo di circa 3,6 milioni di litri.

Ma se il Comune di Bologna decidesse invece di acquistare 127 bus elettrici? Il costo sarebbe decisamente più basso e l’efficienza maggiore: basterebbero quattro MW di impianto fotovoltaico per produrre i circa 4.821 mWh l’anno necessari ad alimentarli. Questa tipologia di veicolo avrebbe bisogno di 43.180 kWh di capacità accumulata in batterie agli ioni di litio (inferiore rispetto a quelle necessarie per far funzionare l’impianto a idrogeno), con tempi di ricarica di appena trenta minuti per ogni autobus (per 104 kWh al giorno).

Per acquistarli servirebbero tra i 40 e i 60 milioni di euro (contro i 90 di quelli a idrogeno). Inoltre potrebbero essere ricaricati da una stazione in bassa o media tensione alimentata dall’insieme degli impianti che costituiscono una comunità energetica. La produzione di idrogeno, invece, necessita di grandi e costanti potenze elettriche impegnate che richiedono per loro natura impianti dedicati e sistemi di trasporto per il vettore energetico.

Gli autobus elettrici a batteria possono quindi rientrare in un concetto di condivisione dell’energia che non è concepibile gestire attraverso la produzione di idrogeno. Guardando quindi al trasporto pubblico locale, se entrambe le città di Bologna e Modena avessero scelto di procedere all’acquisto di una flotta di autobus elettrici, l’impianto di fotovoltaico da sei MW installato nel sito modenese sarebbe stato sufficiente ad alimentare entrambi.

Allo stato attuale, il contributo alla decarbonizzazione sia del comparto industriale sia del trasporto locale del progetto IdrogeMO ci sembra molto contenuto, mentre i suoi costi reali potrebbero essere ben più elevati rispetto a quelli presentati. E con un impatto “nascosto” da tenere assolutamente in considerazione. D’altro canto, l’uso dell’idrogeno verde per il settore dei trasporti urbani è tra i meno efficienti e sostenibili, e non dovrebbe esserne incentivato lo sviluppo attraverso risorse pubbliche del Piano nazionale di ripresa e resilienza o di altre voci di bilancio. A oggi l’hydrogen valley modenese non sembra un passo reale nella direzione di una transizione giusta e guidata dai territori. Ma evidentemente anche in questo caso sono gli interessi delle aziende a contare maggiormente.

Lo spazio “Fossil free” è curato dalla Ong ReCommon. Un appuntamento ulteriore -oltre alle news su altreconomia.it– per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco

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