Diritti
I conti non tornano per gli investimenti militari
Davvero c’è qualcosa che non quadra. Nel mettere a confronto i dati e la realtà delle spese militari (e dei maggiori progetti di produzione di armamenti) con le dichiarazioni che vengono fatte al riguardo sulla scena italiana sembra quasi di…
Davvero c’è qualcosa che non quadra. Nel mettere a confronto i dati e la realtà delle spese militari (e dei maggiori progetti di produzione di armamenti) con le dichiarazioni che vengono fatte al riguardo sulla scena italiana sembra quasi di trovarsi di fronte a due pianeti diversi.
Politici, militari, ed industriali… in questi mesi e in diverse occasioni si sono trovati tutti a piangere miseria, dicendo che non ci sono più risorse, che si deve tagliare l’operatività e la fase di esercitazione delle forze armate (si veda a riguardo il recente articolo di Repubblica spacciato come "inchiesta di attualità").. senza poi spiegare perché solo in questo comparto non si parla mai di ristrutturazione ed efficienza. Come invece sbandierato orgogliosamente, ed spesso incoscientemente, per tutti i settori di spesa pubblica.
E’ vero (come abbiamo già spiegato) che in molti paesi tra i più sviluppati la crisi economica sta facendo pensare ai governi di ridurre i fondi di pertinenza militare; ne daremo conto a breve (con un aggiornamento dei dati presenti ne "Il Caro armato") anche per quanto riguarda il nostro paese, in ciò che sarà previsto nella "legge di stabilità" impostata da Tremonti.
Ma questi tagli in previsione, che solo con ritardo arrivano in un comparto privilegiato e finora considerato intoccabile, non possono certo preoccupare chi continua a lucrare sul commercio di armi; soprattutto non sembra toccare i decisori politici italiani, che continuano a credere alla "favola" che vede nell’acquisto di grossi sistemi d’arma una garanzia di buon impatto economico e di grande capacità difensiva. Lasciando per un momento da parte questo secondo aspetto (bisognerebbe però capire, alla fine, che i cittadini italiani sono più minacciati da alluvioni, precarietà, mancanza di servizi, sgretolamento sociale e del tessuto economico piuttosto che da nemici da combattere a colpi di bombe…) è soprattutto il primo, quello di natura economica e di spesa, a dover stimolare attenzione in chi ha a cuore il destino dei soldi pubblici.
Le notizie di questi giorni, con rivelazioni di stampa al momento per nulla smentite, danno conto di un importante e dispendioso programma che l’Aeronautica Militare ha messo in campo per il rinnovo della flotta di elicotteri. Con che compiti? Ricerca, salvataggio ma anche e soprattutto combattimento. Si tratterebbe dell’acquisto di 22 nuovi velivoli: 10 AW139 più piccoli e leggeri e 12 AW101, lo stesso modello sul quale avrebbe dovuto volare Obama. I primi avrebbero il compito di sostituire velivoli ormai vecchi dedicati a soccorso ed evecuazione aero-medica con un costo tutto sommato limitato di 200 milioni complessivi. Ovviamente sono le restanti 12 macchine, che si vogliono comprare nella versione da combattimento, salvataggio e soccorso, ad avere un impatto monetario più forte: 1 miliardo di euro è la stima dell’assegno da staccare per avere queste poderose macchine militari dalla rilevante potenza di fuoco. Ed inoltre, con buona pace di piccole aziende in crisi e disoccupati, a garantire un sostegno finanziario a tutta l’operazione (che vedrà le prime consegne a partire dal 2012) interverrà pure il Ministero dello Sviluppo Economico.
Ma la madre di tutte le scelte sbagliate in tema di acquisto di sistemi d’arma è come al solito il progetto per il cacciabombardiere F35, di cui abbiamo parlato numerose volte, e che pare abbia preso lo slancio finale verso l’acquisto. Nel visitare l’impianto di Cameri (una struttura costruita dallo Stato in una proprietà dello Stato a vantaggio di un assemblaggio militare di una impresa privata…. cose che ad una cooperativa di informazione indipendente come Altreconomia non succedono mai!) il sottosegretario alla Difesa On. Crosetto ha snocciolato con soddisfazione alcuni numeri. Che non tornano, come detto.
Per realizzare l’impianto industriale in cui lavoreranno circa 1800 addetti il Ministero della Difesa ha appena siglato un contratto – per la sola realizzazione delle infrastrutture – del valore di 230 milioni, ma la realizzazione complessiva necessita di circa 800 milioni. Ben 200 in più di quanto stimato e riferito pure al Parlamento nel passaggio dalla fase di progettazione a quella di sviluppo-costruzione. Una crescita di oltre il 30%, e non siamo ancora al consuntivo. Secondo Crosetto il volume d’affari che ruoterà attorno a questo impianto di Cameri "potrà raggiungere i 20 miliardi di euro". Resta da capire se questi conteggi siano stati fatti al buio con una calcolatrice solare…
Si deve infatti partire dalla considerazione che nello stabilimento di Cameri era prevista fin dall’inizio la sola costruzione di ali o parti di esse, per un ritorno di circa il 21% del costo per aereo. Nelle dichiarazioni recenti il Sottosegretario Crosetto afferma invece che "il 75% della somma di acquisto verrà spesa in Italia" dunque con una triplicazione rispetto al piano originale (anche se per un investimento pubblico di tale impatto e natura non ci sembra comunque un bel risultato). Anche prendendo per buona questa percentuale, non confermata, va comunque ricordato come nello stabilimento italiano non passeranno tutti gli aerei previsti dal programma (circa 2500) ma quelli "tricolori" ed eventualmente alcune lavorazioni delle vendite ai partner europei. Vendite che stanno vertiginosamente crollando per il ritiro o il ridimensionamento di partecipazione dal progetto di diversi paesi (Danimarca, Olanda, la stessa Gran Bretagna) e le cui previsioni di produzione e consegna stanno creando apprensione pure al di là dell’oceano. Secondo un recente rapporto dello United States Government Accountability Office, nella proiezione aggiornata realizzata per Febbraio 2010 si prevedeva di iniziare la consegna dei velivoli ordinati dai partner internazionali solo a partire dal 2014. Complessivamente (entro il 2017) solo 202 aerei sono già programmati in consegna: ma poi bisognerà vedere cosa succederà nei fatti visti i numerosi problemi tecnici e i ritardi nelle fasi finali di test che sono emersi di recente. Quindi anche se per tutti questi F35 la porzione di lavoro italiano fosse davvero del 75%, cosa davvero difficile solamente ad ipotizzarsi, si arriverebbe al massimo a 15 miliardi di euro di volume complessivo di affari. Già un bel quarto in meno delle sempre ottimistiche stime previsionali della vigilia.
Senza dimenticare che, invece, sul lato delle spese la tendenza è quella di ridimensionare gli esborsi d’acquisto e lasciare da parte i campanelli d’allarme su tempi e costi del programma nel suo complesso. Allarmi che recentemente sono addirittura giunti da consulenti dell’industria militare. Loren B. Thompson, consigliere per conto di Lochkeed Martin, ha riferito che il Pentagono ritiene necessari nuovi test, proprio a seguito delle rotture su alcune parti del velivolo. Altri tempi lunghi sono all’orizzonte per quanto riguarda lo sviluppo del software delel componenti radaristiche. Con che impatti? Almeno 5 miliardi di dollari in più di quanto stimato in precedenza: con l’ulteriore crescita di costi stimata in primavera (2.8 miliardi di dollari) ciò porta il totale del programma per la fase del solo sviluppo a 50 miliardi di dollari. Le ultime stime disponibili sul progetto complessivo (alla consegna), che sono state responsabili anche della sostituzione del generale che lo comandava, ammontano per le forze armate USA a 382 miliardi di dollari per circa 2.450 aerei. Traslando la cifra anche sui caccia comprati dagli alleati Italia in testa (è plausibile che costeranno non meno di quelli acqustati dagli Stati Uniti, se non di più…) si arriva ad almeno 110 milioni di euro di costo; non certo i 100 di cui ha parlato Crosetto durante la sua visita a Cameri.
Totale per i 131 cacciabombardieri che dovremmo andare a comprare noi: 14,5 miliardi per il solo acquisto. Una bella somma, visti i tempi di vacche magre.