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“Golpe”, “Imbroglio”, “Governo dei poltronari”. Il lessico di oggi e il disegno dei padri costituenti

© João Marcelo Martins / Unsplash

“L’anomalia dell’alleanza parlamentare fra Movimento 5 Stelle e Partito democratico ha acceso una discussione in merito alla legittimità costituzionale di tale alleanza. Si tratta di un dibattito che se tradotto in termini formali non presenta grandi spazi di manovra. Ma una riflessione sorge se pensiamo all’intendimento dei costituenti nel momento in cui definirono i caratteri della nostra democrazia”. L’analisi di Alessandro Volpi

La particolare anomalia dell’alleanza parlamentare fra Movimento 5 Stelle e Partito democratico ha acceso una discussione in merito alla legittimità costituzionale di tale alleanza. Si tratta di un dibattito che se tradotto in termini meramente formali non presenta grandi spazi di manovra.

È evidente infatti che il testo della Carta fondamentale stabilisce la piena legittimità di un governo che disponga della fiducia parlamentare. Tuttavia la questione si complica se dal piano formale si prova a spostare l’attenzione su quello più sostanziale, cercando di capire quale fosse il reale intendimento dei padri costituenti nel momento in cui definivano i caratteri della nostra democrazia parlamentare. In questo senso diventa molto importante considerare il contesto storico rispetto al quale una domanda sorge spontanea. Ma davvero l’Assemblea Costituente eletta nel 1946 e impegnata nei suoi lavori fino al dicembre del 1947 avrebbe potuto immaginare anche solo la lontana ipotesi di un’alleanza parlamentare tra le tre principali forze presenti al suo interno? Sarebbe stato praticabile anche solo un avvicinamento tra il Partito comunista di Palmiro Togliatti, il Partito socialista di Pietro Nenni e la Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi?

Per dare una risposta a tale domanda che, in realtà, appare subito retorica, bisogna ricordare alcuni aspetti fondamentali di quella fase. Comunisti, socialisti e democristiani, insieme ad altre forze, avevano guidato il Paese dal Governo Badoglio II, nato in seguito alla svolta di Salerno, fino al governo De Gasperi III, costituitosi nel corso del 1947, dopo che la dottrina Truman aveva di fatto indotto la Democrazia cristiana a rompere i rapporti con le “sinistre”, e con i comunisti in particolare, escludendole dall’esecutivo. In altre parole, mentre si scriveva la Costituzione, divenivano avvertibili in maniera chiara, e già ritenuta irreversibile, i segni della imminente Guerra fredda, destinata ad allontanare i comunisti dal governo italiano in maniera pressoché definitiva per i decenni successivi. Nella stessa fase, inoltre, si faceva sentire con decisione l’azione del pontificato di Pio XII, ferocemente anticomunista e fieramente convinto della necessità di un partito confessionale dei cattolici a tal punto da polemizzare con lo stesso De Gasperi per la sua eccessiva timidezza a riguardo. Il medesimo pontefice era preoccupato anche per il recepimento nella nuova Costituzione dei Patti Lateranensi e, a tal proposito, mirava a rendere le posizioni di difesa della centralità del cattolicesimo romano ancora più rigide; la pressione esercitata dalle autorità vaticane era tanto marcata da indurre persino il Partito comunista togliattiano a votare a favore della versione dell’articolo 7 della Costituzione che recepiva in toto i Patti lateranensi.
Il leader comunista temeva infatti che se ciò non fosse avvenuto, in Italia si sarebbe riaperta una insostenibile questione romana, con un conflitto insuperabile fra l’essere cittadini italiani e l’essere cattolici. Dunque anche da questo punto di vista, appare molto difficile pensare che i Costituenti, nel momento in cui davano forma al regime della democrazia parlamentare, potessero concepire alleanze profondamente contraddittorie senza il vaglio del voto popolare, peraltro organizzato in maniera efficace proprio dai grandi partiti di massa.
Semmai, in seno all’Assemblea la discussione era animata da un’altra preoccupazione. L’assenza di vincolo di mandato, la centralità dei parlamentari, le limitate prerogative del presidente della Repubblica erano definite in relazione agli oltraggi subiti dalle Camere, previste nello Statuto Albertino, durante la fase fascista. La bruciante esperienza delle leggi “fascistissime” del 1925-26, il bavaglio parlamentare, la legge elettorale del 1928, la genesi dell’inutile Camera dei fasci e delle corporazioni avevano insegnato ai Costituenti che occorreva irrobustire le prerogative del Parlamento, subordinando ad esso le potestà del governo e limitando al massimo le possibilità di scioglimento delle Camere, rispetto alle quali il presidente della Repubblica diveniva un garante super partes.

La natura parlamentare della Repubblica, indicata dalla Costituzione, era quindi, in termini storici il portato dei timori nutriti verso possibili ricomparse di un regime antidemocratico in cui Partito unico e governo coincidevano; ben più difficile è affermare che la natura parlamentare della Repubblica significasse, nelle intenzioni dei Costituenti, sostenere forme di governo che stravolgevano le formule politiche e programmatiche con cui i partiti si erano presentati agli elettori. In estrema sintesi, è difficile sostenere questa seconda ipotesi perché non esistevano le condizioni storiche tali da far immaginare forme di alleanze che capovolgessero le “offerte” elettorali. Del resto, se il corpo elettorale non è chiamato ad esprimersi quando cambiano radicalmente le alleanze, quando mutano i programmi e il premier rispetto all’ultima tornata di voto, diventa difficile comprendere la sostanza della democrazia.

Università di Pisa

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