Ambiente / Attualità
Glifosato: l’esame dell’Unione europea e le interferenze di Monsanto
I prossimi due mesi saranno decisivi per il rinnovo dell’autorizzazione all’uso dell’erbicida fino al 2027. La valutazione comunitaria sulla presunta pericolosità del pesticida dovrebbe basarsi su evidenze scientifiche. Ma il processo è stato influenzato dalla multinazionale americana. Facciamo il punto
Mancano poco più di due mesi alla scadenza dell’autorizzazione per l’uso del glifosato e l’Unione europea dovrà presto decidere se concedere all’erbicida il rinnovo della licenza fino al 2027. La mini proroga di 18 mesi concessa l’anno scorso doveva servire alla Commissione europea per guadagnare tempo e permettere all’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) di fare le sue valutazioni sulla pericolosità dell’agente chimico contenuto nel pesticida più diffuso al mondo, il Roundup prodotto dalla multinazionale americana Monsanto. Secondo le regole comunitarie, le agenzie europee devono rivalutare periodicamente la sicurezza del prodotto per la salute e l’ambiente, esaminando i nuovi dati a disposizione e fornire il loro parere alle autorità competenti, in modo che queste possano decidere se rinnovare l’autorizzazione. La prima autorizzazione comunitaria per il glifosato risale al 2002. Il processo di rivalutazione è iniziato nel 2012 e a Bruxelles il dibattito è ancora aperto. L’Europa dovrà decidere su quali evidenze scientifiche prendere la propria decisione.
Il primo parere scientifico è arrivato nel 2015 dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), dell’Oms, che lo ha classificato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo” inserendolo nel gruppo 2A in cui si trova anche la carne rossa. A novembre del 2015 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato una sua valutazione in contrasto con la conclusione della Iarc, affermando che “è improbabile che il glifosato possa danneggiare il DNA umano o che costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo”. L’ultima analisi è arrivata a marzo del 2017 dall’Echa che considera l’erbicida non cancerogeno.
Il caso Efsa
Il rapporto Efsa del 2015 che scagiona il glifosato si basa su studi prodotti dall’industria, oltre che su studi di letteratura scientifica. Per legge (Regolamento Europeo 1107/2009) le industrie produttrici devono presentare dati che dimostrino la non tossicità del loro prodotto ed Efsa deve fare riferimento a tutte le fonti. Lo Iarc invece non prende in considerazione gli studi dell’industria non pubblicati su riviste scientifiche, e quindi non sottoposti al controllo e alla revisione, che in gergo si chiama peer-review. Poche settimane fa, un’inchiesta del Guardian ha messo a confronto il rapporto Efsa con i dossier finanziati da Monsanto e presentati per richiedere il rinnovo dell’autorizzazione dell’erbicida dalla Glyphosate Task Force, un consorzio di aziende che commercializzano il glifosato. Circa 100 pagine su 4.300 sono risultate uguali a quelle dei documenti Monsanto. Si tratta proprio delle pagine che trattano il nesso tra glifosato e genotossicità (la capacità di danneggiare il DNA umano), cancerogenicità e pericolosità per l’apparato riproduttivo.
I Monsanto Papers
Già a marzo di quest’anno, lo scandalo dei “Monsanto Papers” aveva messo in dubbio l’autenticità di molti studi scientifici che ridimensionano i danni dell’erbicida. Mail, rapporti, trascrizioni di telefonate relativi a 55 cause pendenti contro la multinazionale sono stati desecretati dalla Corte federale di San Francisco. I documenti mettono in luce il ruolo di Jess Rowland, ex dirigente dell’Environmental Protection Agency (Epa), l’autorità ambientale americana, accusato di aver aiutato a eliminare gli studi sulla cancerogenicità del pesticida collaborando con la Monsanto per impedire la revisione degli studi sull’impatto del glifosato sulla salute. A causa di queste rivelazioni, scienziati di tutto il mondo hanno chiesto alle autorità europee di riesaminare gli studi presi in considerazione da Efsa e Echa sul glifosato. In un appello pubblicato sul Medical British Journal, sempre a marzo, un gruppo di esperti ha sottolineato l’esigenza di aggiornare gli standard sull’uso del glifosato, sulla base della nuova letteratura scientifica disponibile che nell’ultimo decennio si è aggiornata con oltre 1.500 pubblicazioni.
Verso il voto
Il 5-6 ottobre la riunione tra la Commissione europea e il gruppo di esperti degli Stati membri che fanno parte del comitato fitosanitario (Paff), a cui è affidato il parere sulla proposta di Bruxelles per il rinnovo del glifosato, si è conclusa senza arrivare a una soluzione. Il calendario prevede un nuovo incontro il 23 ottobre. Intanto gli eurodeputati hanno messo al bando la Monsanto dal Parlamento europeo. La multinazionale ha rifiutato di partecipare ad un’audizione della commissione parlamentare Envi (Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare) l’11 ottobre: all’ordine del giorno, i “Monsanto Papers” e le interferenze nel processo regolatorio europeo. A rispondere alle domande degli eurodeputati sulla vicenda c’erano il dottor Kate Guyton, uno specialista dell’Oms, che ha spiegato su quali basi si è basata la classificazione dello Iarc, e dall’altro lato il dottor Jose Tarazona dell’Efsa, che ha ribadito la fondatezza della valutazione dell’agenzia europea.
Per ora, manca una maggioranza chiara sul voto. Il primo ministro francese Edouard Philippe ha ribadito che la Francia voterà contro il rinnovo, ed entro il 2022 vieterà completamente l’utilizzo del glifosato all’interno del Paese. E anche il ministro italiano delle Politiche agricole, Maurizio Martina, si è schierato contro il rinnovo. Per bloccare la proposta di Bruxelles basterà il 45% degli Stati membri o almeno il No di 4 Paesi che rappresentino almeno il 35% della popolazione Ue. Un ruolo cruciale potrebbe averlo la Germania, dove Angela Merkel, per non compromettere l’alleanza con i Verdi, potrebbe decidere di votare per il No.
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