Diritti / Attualità
Gli attacchi israeliani ai giornalisti devono essere indagati come crimini di guerra
Il 13 ottobre le forze armate di Israele hanno aperto il fuoco su un gruppo di giornalisti nel Sud del Libano uccidendo il reporter Issam Abdallah e ferendo altre sei persone. Secondo le minuziose ricostruzioni di Amnesty international gli operatori colpiti erano chiaramente visibili e identificabili. L’ennesimo attacco deliberato contro bersagli civili
Gli attacchi dell’esercito israeliano contro i giornalisti sono aggressioni dirette ai civili e in quanto tali andrebbero indagati come crimini di guerra. È quanto afferma Amnesty international in una nota pubblicata a dicembre. L’organizzazione si è occupata nello specifico di un attacco avvenuto il 13 ottobre da parte dell’esercito israeliano che ha aperto il fuoco contro un gruppo di giornalisti che stavano documentando il conflitto in atto nel Sud del Libano e che ha portato alla morte di Issam Abdallah, reporter dell’agenzia Reuters, oltre che il ferimento di sei suoi colleghi.
Secondo la ricostruzione di Amnesty, che ha esaminato oltre cento video e prove fotografiche, intervistato testimoni e superstiti e analizzato i frammenti di armi ritrovati sul luogo dell’attacco, i giornalisti erano chiaramente visibili e identificabili in quanto tali. Di conseguenza le forze armate israeliane sapevano, o avrebbero dovuto sapere, che si trattava di civili. “Dalla nostra indagine sono emerse inquietanti prove di aggressione a un gruppo di giornalisti internazionali che stavano svolgendo il loro lavoro documentando il conflitto. Gli attacchi diretti ai civili e rivolti indiscriminati contro obiettivi non militari sono vietati dal diritto internazionale umanitario e possono costituire crimini di guerra”, ha spiegato Aya Majzoub, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Quel 13 ottobre sette giornalisti, tre della Reuters, due di France Presse e due di Al Jazeera, si erano fermati in una località vicina al villaggio di Alma al-Chaab, nel Sud del Libano, a un chilometro dal confine israeliano, per documentare gli scontri in corso tra le forze israeliane ed Hezbollah. Poco dopo le 18 un carro armato israeliano, posizionato a Est rispetto ai giornalisti, ha aperto il fuoco uccidendo Issam Abdallah e ferendo gravemente Christina Assi, fotografa di France Presse, che ha poi perso una gamba. Un secondo attacco con un’arma diversa, avvenuto 37 secondi dopo, ha colpito il luogo dove si trovava l’auto di Al Jazeera, che ha preso fuoco. Gli altri cinque rimasti coinvolti dall’esplosione hanno riportato ferite da schegge al busto e alle braccia.
Sulla base dell’analisi di video e fotografie, dei frammenti di armi rinvenuti sul posto, delle ferite riportate dalle vittime e dei danni causati dall’esplosione alla strada e agli edifici, Amnesty ha concluso che il primo attacco, quello che ha causato la morte di Abdallah e ferito gravemente Assi, è stato causato da un proiettile da carro armato di 120 millimetri di calibro, sparato dalle colline tra al-Nawaqir e Jordeikh, in Israele. La seconda esplosione è stata causata da un’arma differente, identificata come un piccolo missile comandato, che ha mandato a fuoco la macchina dei giornalisti di Al Jazeera.
I superstiti hanno raccontato all’organizzazione di aver preso tutte le precauzioni possibili per farsi identificare come giornalisti dalle forze armate coinvolte nel conflitto. Tutti i membri del gruppo indossavano correttamente il giubbotto antiproiettile recante la scritta “Press”, l’auto della troupe della Reuters, di colore blu, era contrassegnata dalla scritta “Tv” mediante nastro giallo sul cofano e la posizione del gruppo era stata scelta per essere ben visibile dalla distanza. “La nostra auto (un secondo veicolo messo a disposizione da Al Jazeera, ndr) era bianca, tenevamo tutte le portier aperte appositamente per far capire che eravamo giornalisti su una collina, senza presenza militare, senza cespugli, senza altre persone, solo un paio di case e sabbia bianca. Siamo giornalisti, quindi non scegliamo luoghi sospetti ma in posti estremamente esposti”, ha dichiarato ad Amnesty il videoreporter di Al Jazeera, Elie Brakhya, tra i feriti dell’attacco.
I filmati girati da Al Jazeera, così come da una troupe di Al Araby che stava riprendendo gli scontri da un’altra postazione, mostrano un elicottero Apache israeliano che sorvolava la zona. Secondo l’analisi del suono dei filmati condotta da Earshot, Ong che svolge analisi audio in difesa dei diritti umani, e Steven Beck di Beck Audio Forensics, per oltre 40 minuti prima dell’attacco ai giornalisti si possono udire i suoni di un elicottero in circolo e di un aeromobile a elica. Questi indizi confermerebbero la presenza di un elicottero e di un drone appartenenti alle forze armate israeliane. I filmati girati dai giornalisti mostrano anche una torre di controllo sulla collina di Hanita che domina il villaggio di Alma al-Chaab e ospita una stazione di ascolto dell’Unità investigativa militare israeliana con il compito di fornire all’esercito informazioni in tempo reale durante le operazioni. Inoltre, le immagini satellitari e i filmati verificati da Amnesty International indicano che infrastrutture simili si trovavano anche a Jordeikh, da cui la posizione dei giornalisti era ben visibile.
Amnesty e altre organizzazioni per i diritti umani hanno registrato una lunga serie di casi in cui Israele ha goduto di quasi totale impunità per le violazioni commesse dalle sue forze di sicurezza, tra cui possibili crimini di guerra. Non è la prima volta che Tel Aviv viene accusata di aver colpito reporter e civili. Nel maggio 2023 il Committee to protect journalists ha dichiarato che nei precedenti 22 anni nessun membro delle forze armate israeliane era stato incriminato o ritenuto responsabile dell’uccisione di almeno 20 giornalisti. Già nel 2000 Amnesty International aveva denunciato che un attacco israeliano nel Sud del Libano aveva ucciso il giornalista libanese Abd al-Rahman Taqqush, che all’epoca lavorava per la Bbc. Le autorità israeliane non hanno mai processato i responsabili, non li hanno nemmeno cercati. Analogamente non hanno adottato alcun provvedimento nei confronti dei responsabili dell’omicidio della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, uccisa nel 2022 dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata.
“Secondo il diritto umanitario internazionale, le parti coinvolte in un conflitto hanno l’obbligo di proteggere i civili, compresi i giornalisti, e devono in ogni momento distinguere tra personale e obiettivi civili da un lato e combattenti e bersagli militari dall’altro -ha concluso Aya Majzoub-. Durante un conflitto armato, il ruolo dei giornalisti è particolarmente importante per garantire una valutazione sull’andamento delle ostilità ed evidenziare possibili violazioni”.
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