Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Ambiente / Reportage

Gli affari sul marmo delle Apuane e i riflessi su salute e ambiente

Una cava di marmo nella zona dei Ponti di Vara nel Comune di Carrara dove in totale sono 80 i siti attivi. A queste si aggiungono le quindici di Massa: tra queste molte rientrano all’interno del Parco regionale delle Alpi Apuane © Ylenia Sina

A Massa e Carrara la “marmettola” prodotta dalla lavorazione della roccia nelle cave impatta sulle falde. Diverse realtà locali denunciano la gestione problematica delle aziende e le ricadute ambientali del settore. Ecco perché

Tratto da Altreconomia 261 — Luglio/Agosto 2023

Sopra la vallata del fiume Frigido, nel Comune di Massa, c’è una cava inattiva da circa tre anni. Ci avviciniamo in un giorno di sole, risalendo il sentiero che si inerpica nel canale tra cumuli di massi bianchi. Dal tunnel scavato nel marmo si sente l’acqua che scroscia. “Le Alpi Apuane sono come un serbatoio, è il famoso carsismo: l’acqua penetra in abbondanza nella roccia, in direzioni che non conosciamo perché non seguono quelle dello spartiacque di superficie, e poi scende formando le sorgenti. Quella che senti, però, alla sorgente del Frigido non arriverà mai”, spiega Nicola Cavazzuti del Club alpino italiano (Cai), che da anni denuncia gli impatti ambientali delle circa ottanta cave attive a Carrara alle quali si aggiungono le quindici di Massa. Tra quest’ultime, molte rientrano all’interno del Parco regionale delle Alpi Apuane.

L’ultima denuncia risale all’inizio di giugno quando il Cai e altre realtà come il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) e Italia Nostra hanno presentato un’istanza di accesso civico a una serie di soggetti istituzionali, tra i quali la Regione Toscana, il ministero dell’Ambiente e i carabinieri forestali, per ottenere informazioni sulle azioni intraprese a tutela dell’ambiente, inviando anche un esposto alla procura di Massa. Al centro della denuncia c’è il fenomeno della “marmettola”, la polvere prodotta dall’estrazione e dalla lavorazione del marmo. Per le associazioni, produce un inquinamento “gravissimo, conclamato e ormai cronico delle acque destinate all’uso potabile”.

Il problema è noto da decenni e anche se oggi viene gestita come un rifiuto e sono aumentate le prescrizioni per evitare che si diffonda nell’ambiente, le realtà del territorio denunciano che spesso è ancora abbandonata sui piazzali delle cave. Così quando piove viene trascinata nei fiumi cementificandone il letto e riducendo l’habitat di microflora e piccoli organismi. “Le situazioni più critiche sono state osservate nel fiume Frigido e nel torrente Carrione”, si legge nelle conclusioni del “Progetto Cave” dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat), monitoraggio durato dal 2017 al 2019. In quegli anni l’Arpat ha effettuato una serie di controlli nelle cave di Massa, Carrara e Lucca, anche in merito alla gestione della marmettola, che “hanno evidenziato una diffusa illegalità e dato luogo a un consistente numero di sanzioni amministrative e di notizie di reato all’autorità giudiziaria”. Nel 2018, scrive Arpat, 18 cave su 60 hanno avuto un “controllo regolare”.

La marmettola finisce anche nelle falde. Secondo un articolo scientifico del 2019, redatto da docenti e ricercatori dell’università di Firenze, dell’Aquila e del Cnr, si è “accumulata negli acquiferi” con effetti “non ancora noti nel dettaglio” ma che potrebbero modificare “l’idrodinamica delle reti carsiche riducendone la capacità di accumulo”.

Montagne “sbriciolate” nella zona dei Ponti di Vara a Carrara. Nel 2022 solo il 18,6% del materiale estratto erano blocchi di marmo: dagli anni Novanta è diventato redditizio ricavare i detriti di carbonato di calcio, utili per vari usi industriali. Secondo gli ambientalisti in alcune cave si arriverebbe al 90% di detriti estratti sul totale © Ylenia Sina

A Forno, frazione di Massa dove nasce il Frigido, il problema è esploso il 19 novembre 2022. “La sorgente è diventata bianca e per dieci giorni l’erogazione dell’acqua è stata sospesa -racconta Cavazzuti-. È un problema costante, tanto che negli anni Novanta è stato costruito questo impianto di depurazione”, dice indicando le sue grandi vasche. Pochi metri più a monte, tra i massi di un fosso in secca, si è accumulato uno strato di marmettola. Le immagini di fiumi e torrenti di colore bianco sono una costante sui giornali locali. Quelle del Carrione che attraversa Carrara, scattate il 13 aprile 2023, sono arrivate anche sulla scrivania del ministero dell’Ambiente che ha chiesto all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) di valutare se si tratti di danno ambientale.

“Anche se dal punto di vista giudiziario non vengono individuati i responsabili, il danno ambientale è accertato. L’unica strada è fermare le attività” – Alberto Grossi

Contattata da Altreconomia, l’Arpat ha confermato che l’accaduto è da attribuire alla “presenza di molte attività estrattive, concentrate in uno spazio contenuto e molto scosceso” anche se non è possibile “attribuire la colpa a una singola attività”. GrIG, Italia Nostra e Cai puntano il dito contro gli “scarichi abusivi”. Arpat scrive invece che “anche se le cave rispettano le prescrizioni dell’autorizzazione, la modifica del territorio montano dovuta all’estrazione non è priva di impatto ambientale”. Contattato in merito al tema, Matteo Venturi, presidente della delegazione di Massa Carrara di Confindustria, che riunisce una parte degli imprenditori del territorio, ha commentato: “Facciamo il massimo affinché questi episodi non accadano”. Per Alberto Grossi, socio del GrIG e vincitore nel 2015 del premio “Luisa Minazzi” di Legambiente per i suoi documentari sulle cave, bisogna appellarsi al principio di precauzione: “Anche se dal punto di vista giudiziario non vengono individuati i responsabili, il danno ambientale è accertato. L’unica strada è sospendere le attività”.

La marmettola, polvere inquinante prodotta dall’estrazione e dalla lavorazione del marmo, accumulata nel letto di un torrente in secca nei pressi del depuratore del Cartaro a Massa. Anche se oggi viene gestita come un rifiuto e sono aumentate le prescrizioni per evitare che si diffonda nell’ambiente, le realtà del territorio denunciano che spesso è ancora abbandonata sui piazzali delle cave © Ylenia Sina

Il problema della marmettola si è aggravato con l’introduzione di strumenti più efficienti, come il filo diamantato, che ha reso possibile la lavorazione dei blocchi anche a monte. Le nuove tecnologie hanno anche generato un’impennata della quantità di materiale estratto, che oggi ammonta a quattro milioni di tonnellate all’anno. “Le montagne spariscono davanti ai nostri occhi”, commenta Grossi. Nonostante Carrara sia famosa per il suo marmo, secondo dati forniti dal Comune alla sezione locale di Legambiente, nel 2022 solo il 18,6% del materiale è stato estratto in blocchi (utilizzato quindi per uso ornamentale). “Il danno alla montagna viene inferto per ricavare detriti di carbonato di calcio che dagli anni Novanta è diventato un affare perché impiegato per vari usi industriali, dall’alimentazione alle vernici -denuncia Paola Antonioli, presidente di Legambiente Carrara che da 15 anni raccoglie i dati comunali-. Purtroppo non possiamo collegare i dati alle rispettive cave, perché l’amministrazione li ha secretati fornendoli solo in modo anonimo. Ma è importante saperli: alcune aziende estraggono il 90% di detriti e vorremmo che venissero chiuse”. Il Piano regionale cave del 2020 ha affrontato il nodo fissando il quantitativo minimo di blocchi, introducendo però delle deroghe. Per Antonioli “la norma è stata stravolta e le cave che non rispettano i parametri non sono mai state chiuse”.

“Non c’è ritorno per la comunità. Per ogni tonnellata di marmo rimangono al territorio circa 25 euro circa a fronte di un prezzo di vendita che va da 800 a 8mila euro” – Paolo Pileri

Per gli imprenditori del marmo il territorio non può fare a meno di un settore che, secondo un report di Confindustria con dati del 2017, vale il 15% del Pil provinciale per un fatturato totale di quasi un miliardo, di cui 560 milioni di export e rappresenta il 7% degli occupati. Per gli ambientalisti però il marmo grezzo che parte per l’estero, in particolare per la Cina, è sempre di più e i lavoratori sono sempre meno. Dal 1994 al 2020, secondo Fondo Marmo, ente che riunisce industriali e sindacati, il numero di dipendenti è sceso del 36%. Il calo più marcato riguarda i lavoratori impiegati “al piano”: meno 50,9%. Laboratori e segherie, invece, sono crollati del 55%.

Gli incidenti sul lavoro però non si fermano. Nonostante l’Inail abbia certificato un calo del rischio infortunistico, la provincia di Massa Carrara vanta il primato per gli incidenti mortali nel settore tra il 2015 e il 2019, sette in totale. Anche il 2023 ha già avuto la sua vittima nel bacino apuano, anche se in provincia di Lucca: il 13 maggio Ugo Antonio Orsi, 55 anni, è rimasto schiacciato da un masso che si è staccato dal costone in una cava a Minucciano, in Garfagnana. “Questa è una storia di sfruttamento di beni comuni che arricchiscono le tasche di pochi privati. Ammesso che si possa compensare un simile danno, quasi nulla viene risarcito alla comunità -commenta Paolo Pileri, docente di Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano-. Comparando i canoni di concessione e il contributo di estrazione incassato ogni anno dal comune di Carrara con la quantità di blocchi prodotti, ho calcolato che per ogni tonnellata di marmo rimangono al territorio circa 25 euro a fronte di un prezzo di vendita che va da 800 a 8mila euro. Preciso che si tratta di dati parziali, ottenuti grazie al lavoro di attivisti locali, che non sono resi accessibili così che tutti possano conoscere la situazione. Un pezzo di Paese viene così distrutto per alimentare un modello di sviluppo tossico”.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati