Diritti / Attualità
Giustizia riparativa, un’altra rotta possibile per i giovani autori di reato
Il progetto “Tra Zenit e Nadir. Rotte educative in mare aperto” aiuta chi è coinvolto in procedimenti penali a cambiare vita. Un modello che si oppone a quello repressivo mettendo al centro le comunità e i desideri dei partecipanti
Tra lo Zenit e il Nadir c’è un infinito spazio di possibilità: diverse rotte che ragazzi e ragazze autori di reato possono scegliere di percorrere secondo traiettorie ritagliate appositamente sui loro desideri e le loro necessità. È stata questa la scommessa che, nel settembre 2021, ha spinto il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e l’Istituto Don Calabria di Verona a promuovere il progetto “Tra Zenit e Nadir. Rotte educative in mare aperto”, con l’obiettivo di implementare iniziative di giustizia riparativa rivolte a minori e neomaggiorenni coinvolti in procedimenti penali. Tre anni dopo quella scommessa è vinta: oltre 420 partecipanti, con risultati convincenti. “Non solo per i ragazzi che hanno cambiato la loro vita e sono riusciti a uscire dai vortici della violenza e della devianza -spiega Silvio Masin, coordinatore del progetto per Fondazione Don Calabria-, ma soprattutto per la comunità di riferimento che ha avuto un ruolo decisivo in questi percorsi”.
Le attività sono state realizzate in otto province (Milano, Brescia, Cremona, Verona, Vicenza, Treviso-Bassano, Venezia e Trento) di tre diverse Regioni (Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige) con il coinvolgimento di 59 partner, sia enti pubblici (24) sia organizzazioni del Terzo settore (35). “Il partenariato interistituzionale è stato fondamentale -riprende Masin- perché nella presa in carico dei minori si intrecciano diversi fattori ed esigenze e serve far sì che i percorsi siano più ‘sartoriali’ possibili, cioè costruiti sulle specificità di ognuno”. Il progetto prevede diverse linee di intervento come la presa in carico dei minori nel circuito penale, il coinvolgimento delle famiglie per potenziare la relazione con i figli e percorsi di prevenzione all’interno degli istituti scolastici. Inoltre è fondamentale la creazione di tavoli permanenti istituzionali che promuovono la cultura della giustizia riparativa e interessano tutti i soggetti della comunità dai Comuni alle scuole fino alle imprese. “Il percorso è stato faticoso, spesso i servizi sono autocentrati e per la loro diversa natura faticano a ‘parlarsi’ -sottolinea Masin-. Ma siamo riusciti a individuare un linguaggio comune che ha portato alla costruzione in tanti territori di una vera e propria comunità educante, una rete costruttiva capace di sostenere e proteggere il giovane”.
È il caso di Trento dove il progetto ha preso in carico oltre cento ragazzi e ragazze dalle diverse storie personali ma accomunati da bisogni simili: “La necessità di essere visti, pensati e accompagnati”, spiega Cristina Stroppa di Progetto 92, cooperativa capofila delle attività in Trentino-Alto Adige. Non c’è nessuna rigida “lista della spesa” preimpostata da cui i partecipanti, alcuni con un trascorso anche all’interno di Istituti penali minorili, sono obbligati a scegliere. Il processo è esattamente l’opposto.
“Dall’ascolto di ognuno, dai suoi interessi e dalla tipologia di reato commesso viene costruito un percorso ad hoc con l’équipe educativa, in stretta collaborazione con l’Ufficio servizi sociali minorenni locale”, aggiunge Stroppa. Si va da attività in aziende agricole del territorio a fattorie didattiche passando per corsi di musica con dj professionisti fino alla realizzazione di un podcast dal titolo “Dentro il Colosseo. Storie di risse e realtà”, con cui dare voce e raccontare quanto rielaborato rispetto al reato commesso. Tante attività che coinvolgono anche la comunità di riferimento. “La titolare dell’azienda agricola che ha attivato cinque percorsi per far sperimentare i ragazzi non aveva mai collaborato in progetti simili. Ed è rimasta estasiata nel vedere la ricchezza che portavano i ragazzi: questo è decisivo, perché non possiamo interessarci di questo tema solo nel momento in cui siamo vittime di un reato”.
Grazie all’attività di Progetto 92 e dei diversi partner coinvolti è nato un tavolo istituzionale con l’obiettivo di promuovere la cultura riparativa come nuovo paradigma per affrontare il quotidiano che punta anche e soprattutto alla prevenzione dei reati. E quindi, di conseguenza, l’organizzazione di incontri nelle scuole ma anche di laboratori per i genitori. “Spesso in grande difficoltà -sottolinea Stroppa-. Distanti dai figli, vedono nel cellulare lo strumento che li rovina e li porta sulla ‘cattiva strada’ ma spesso non conoscono quello strumento e sono desiderosi di capire di più del ‘mondo dei figli’. E poi sono molto in difficoltà nello stare nei conflitti e nell’accettare che questi siano generativi e non per forza negativi. Così accontentare sempre i propri figli e figlie diventa il germe di comportamenti fuori controllo”.
Anche a Brescia, la cooperativa Il Calabrone ha promosso attività di prevenzione. Attraverso diversi incontri nelle scuole superiori della città con laboratori specifici (tre incontri da due ore) sulla promozione della legalità. Dopo un primo intervento formativo sul procedimento penale da parte della procuratrice capo del Tribunale dei minorenni di Brescia Giulia Tondina, gli studenti e gli educatori si sono confrontati in classe su differenti temi emersi. In totale oltre quattrocento persone hanno preso parte alle attività.
E poi, sempre nelle scuole, Il Calabrone ha proposto delle “sospensioni alternative”. “L’idea alla base è di affrontare in modo diverso i conflitti e le sanzioni -spiega Michele Tomasoni che coordina il progetto ‘Tra Zenit e Nadir’ per la cooperativa bresciana-. Così nel caso di un provvedimento di sospensione si propone allo studente un’attività a scuola per approfondire il ‘perché’ di quella trasgressione, poi un incontro con il coordinatore dei docenti che può concludersi con il ritorno in classe oppure con la conferma della sospensione. A quel punto si attiva per lo studente o la studentessa un’attività di volontariato sul territorio”. In totale sono dieci i percorsi realizzati, pochi, in senso assoluto, ma estremamente significativi. “Perché aiutano a prendere consapevolezza di quello che è stato fatto e ‘restituiscono’ qualcosa alla collettività”, sottolinea Tomasoni. Anche a Brescia, la stretta collaborazione con i servizi ha permesso di costruire percorsi personalizzati per chi, coinvolto in un procedimento penale, veniva inviato al progetto. Dopo un primo incontro con l’équipe, i ragazzi partecipano a un laboratorio di circa un mese in cui sperimentano le proprie attitudini e passioni. C’è una sala di registrazione, una stanza con strumenti grafici, tra cui una stampante 3D e un’altra più “artistica”.
Sono 1.143 i ragazzi e le ragazze che nel 2023 hanno fatto ingresso negli Istituti penali minorili (Ipm): mai così tanti negli ultimi quindici anni secondo i dati raccolti dall’associazione Antigone. E il ritmo delle presenze non è diminuito all’inizio dell’anno: nel mese di gennaio 2024 i giovani detenuti in misura cautelare erano 340 contro i 243 dell’anno precedente
“Chiediamo a loro di raccontarsi attraverso questi diversi linguaggi -riprende Tomasoni-, così individuiamo quale può essere il percorso migliore”: laboratori per maturare le soft skills, consulenze specifiche per il ritorno tra i banchi di scuola o l’attivazione dei tirocini. Ma anche attività sul territorio. “Ad alcuni ragazzi abbiamo proposto di riqualificare uno spazio pubblico, chiedendo all’amministratore locale di rivolgersi direttamente a loro per chiedergli di svolgere l’attività. Il suo coinvolgimento ha dato valore a quel gesto”, sottolinea Tomasoni. Significativa anche la collaborazione con la Fondazione Brescia Musei che gestisce le sedi museali del territorio: un mezzo per aumentare il senso di appartenenza a una comunità e aiutare i ragazzi a riconoscere il valore della bellezza. In totale sono state 69 le persone prese in carico dal progetto per un periodo variabile tra i sei e i dodici mesi. Alcuni hanno richiesto ancora un sostegno dopo la fine della messa alla prova. “La percentuale di recidiva è praticamente nulla”, conclude Tomasoni. Gli fa da eco Stroppa: “a Trento la stragrande maggioranza dei percorsi è riuscita”.
Un modello vincente e diametralmente opposto a quello puramente repressivo che ispira provvedimenti come il decreto Caivano. Emanato dal Governo Meloni all’indomani degli stupri di gruppo avvenuti nella cittadina napoletana, ha portato all’aumento di presenze negli Istituti penali minorili. E soprattutto un sistema che propone un lavoro più ampio e complesso della “semplice” messa alla prova, in cui è centrale il ruolo della comunità. Silvio Masin non ha dubbi: “Da questi percorsi traggono beneficio tutti i soggetti coinvolti. La giustizia riparativa è la via da seguire”.
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