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Interni / Intervista

I giudici “sgraditi” al ministro dell’Interno. Ecco perché è “un problema per la democrazia”

Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini

All’inizio di giugno, Matteo Salvini è tornato ad accusare alcuni magistrati di aver intralciato l’applicazione del “suo” decreto in tema di sicurezza e immigrazione. I loro provvedimenti, però, non sono stati mai contestati nel merito. Intervista a Chiara Favilli, professoressa di Diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze, nel comitato editoriale della rivista “Diritto, immigrazione e cittadinanza”

“È normale che un giudice va a un convegno che è uno spot per l’immigrazione di massa e poi giudica la politica del ministero dell’Interno? […] Qualcuno fa politica, scrive libri va a convegni a favore delle porte aperte per l’immigrazione”. All’inizio di giugno, il vice-presidente del Consiglio nonché ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha accusato alcuni magistrati di aver ostacolato tra le altre cose la piena applicazione del “suo” decreto legge in materia di sicurezza e immigrazione (Dl 113/2018). Ne ha fatto sapere nome, cognome, incarico (Tribunali di Firenze, Bologna e Tar Toscana) e genericamente il merito della decisione giudiziale ritenuta (da lui) non apprezzabile. Non solo. Il Viminale si sarebbe anche speso per accertare se le giudici in questione -ree di aver partecipato a convegni specifici o di far parte del comitato scientifico della rivista “Diritto, immigrazione e cittadinanza”– avrebbero dovuto astenersi.

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), da tempo bersaglio, ha fatto notare come “in ossequio al principio di separazione dei poteri, chi lamenti la lesione di un diritto, deve potere ricorrere ad un giudice terzo e indipendente”.
Lo ricorda anche Chiara Favilli, professoressa associata di Diritto dell’Unione europea all’Università di Firenze, che è nel comitato editoriale della rivista quadrimestrale online messa all’indice. Ed è stata proprio “Diritto, immigrazione e cittadinanza” a prendere una posizione netta, definendo “gravissimo” l’attacco del ministro “perché tende a intimidire tutta la magistratura, in spregio al principio costituzionale della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura”.

Professoressa Favilli, perché avete deciso di prendere posizione?
CF La collaborazione con la rivista è stata considerata una delle prove della faziosità delle magistrate che si sono cimentate in queste sentenze considerate, secondo la vulgata, “contro” il decreto, il Governo e “pro” immigrazione “clandestina”. Abbiamo sentito l’esigenza di chiarire l’impegno essenziale della rivista, che nasce dalla volontà dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e da Magistratura democratica. Stiamo parlando di una rivista voluta da un’associazione che è costituita da avvocati e professori universitari. E dall’altra parte da magistrati. Il suo scopo non è di essere contro qualcosa o qualcuno, o di essere a favore dell’immigrazione irregolare, anzi. Lo scopo è sempre stato quello di approfondire in modo scientifico il diritto degli stranieri e le questioni legate alla cittadinanza.

Il ministro sostiene che vi sia un “obiettivo” politico.
CF Direi quello ampiamente fallito di arrivare a una gestione più oculata e regolare dei flussi migratori, che purtroppo non c’è ancora stata. A parte le battute, vorremmo davvero che al diritto degli stranieri venisse riconosciuta la dignità che si merita, come accade per tutti gli altri. Chi sceglie questa materia lo fa perché ha delle particolari sensibilità, evidentemente.

In che senso?
CF Ad esempio io mi sono sempre occupata di diritto degli stranieri e non di diritto della concorrenza. Ho una predisposizione a studiare le questioni giuridiche legate ai movimenti delle persone, alle interconnessioni, alle migrazioni, alle sue regole. E l’ho sempre fatto a prescindere dal governo in carica.

Come spiegarlo ai teorici del “disegno”?
CF Intendiamoci: c’è in questa attività l’obiettivo anche di promuovere il diritto degli stranieri, anzi direi meglio, i diritti degli stranieri. Ma perché questo fa parte delle regole di fondo del sistema giuridico globale, non solo italiano. Ci sono dei diritti umani che si applicano a tutte le persone, anche agli stranieri, che dovrebbero essere interpretati nel modo più estensivo possibile. Non è una regola che sorge perché c’è Matteo Salvini al governo, è sempre stato così.

Prima ricordava tra le righe il fallimento della normativa italiana in materia di immigrazione. Perché?
CF Abbiamo assistito in questi anni a vari interventi legislativi, susseguitisi anche in modo poco ordinato. E questo ha creato ancor di più l’esigenza di avere momenti di approfondimento che vengono e provengono da tutti i giuristi. È curioso che proprio in uno dei comunicati stampa di ieri (5 giugno, ndr) si additassero “professori, avvocati e magistrati”. Come se questo fosse strano. Noi siamo giuristi, tutti insieme. Ognuno di noi è un giurista. Io insegno in un’Università che prepara i futuri magistrati e i futuri avvocati. In genere coinvolgiamo proprio i magistrati nelle nostre lezioni, nei nostri convegni, qualsiasi corso che noi offriamo in qualsiasi materia vede l’intervento di diversi soggetti che operano nel mondo del diritto.

Poi però dovrebbero “astenersi”, sostiene il ministro dell’Interno.
CF Un magistrato che si cimenta in una sentenza, a volte approfondendo una questione in maniera molto puntuale, diventa una persona che può dare un contributo molto rilevante e quindi può scrivere un articolo giuridico, può partecipare a un convegno. Ognuno lo fa con le proprie sensibilità e con le proprie predisposizioni. Collaborare con una rivista significa contribuire alla costruzione di un pensiero scientifico-giuridico della materia e non invece schierarsi contro il governo.

Che cosa l’ha più colpita di questa vicenda?
CF La cosa grave è l’accusa mossa contro le magistrate e che riguarda il loro impegno nei convegni, come se questo possa o potesse determinare un motivo di astensione. I motivi per cui i magistrati si devono astenere ci sono ma non è l’orientamento politico. Vorrebbe dire che tutti i magistrati che non condividono l’orientamento politico di questo governo non possono assumere decisioni o sentenze su provvedimenti adottati dal governo. È inconcepibile, impossibile da applicare, praticare e non avrebbe senso.
I magistrati hanno tutti una loro opinione, possono esprimerla liberamente e da questa deriva una trasparenza totale che può essere valutata nei provvedimenti.

Il punto è che nella posizione critica del governo non c’è alcun esame dei provvedimenti adottati.
CF Esatto. Viene invece attaccata la persona e il suo comportamento. Io invece i provvedimenti li ho letti tutti e sono sicura che questi non vengono attaccati nelle loro tesi perché sono ben argomentati e molto difficilmente attaccabili. Se non si è d’accordo con un provvedimento ci sono gli strumenti per contrastarlo.

Uno di quelli sgraditi è del tribunale di Firenze.
CF Si tratta di una seconda sentenza sul reclamo presentato dal ministero dell’Interno contro un primo pronunciamento sul divieto di iscrizione anagrafica. Questo non accoglie il ricorso del Governo per motivi processuali. L’esecutivo, infatti, non aveva preso parte al primo grado. Mi sembra un principio semplice: se non si partecipa al primo grado non si può intervenire nel secondo. Ma questo non lo ha stabilito la giudice Luciana Breggia ma lo afferma il codice processuale civile. Il Governo avrà altre sedi per sostenere la validità della norma introdotta dal decreto legge 113/2018 (cd “Decreto sicurezza”), financo arrivare alla Corte costituzionale se è questo che si vorrà fare. Siamo in uno Stato nel quale esistono gli strumenti per poter reagire a una sentenza che sia ritenuta sbagliata. Non ci sono -e non ci dovrebbero essere- gli strumenti per attaccare i giudici che si ritiene essere lontani dalla posizione politica del governo. Questo diventa un problema per la democrazia.

Nel settembre 2018 il Parlamento europeo prese atto dell’ “esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione”. L’indipendenza della magistratura era (ed è) una questione “chiave” posta all’attenzione. Nota similitudini tra il nostro Paese e l’Ungheria da questo punto di vista?
CF Il clima politico e la volontà chiaramente espressa da una parte dei membri del Governo italiano, non tutti, è sicuramente in linea con quanto dice. Oggi senza dubbio l’applicazione del decreto legge 113/2018 sta incontrando dei limiti nelle sentenze emesse da alcuni giudici. Pochi limiti, sottolineo, perché il decreto legge sta “andando avanti” sotto tanti aspetti. Si intravvede però una insofferenza da parte di un pezzo del Governo e lo strumento utilizzato per manifestarla è sintomatico, in effetti, di una non condivisione delle regole basilari della democrazia e di uno Stato di diritto.

Torniamo alle fondamenta quindi. Quali sono queste regole basilari?
CF Il Governo innanzitutto non ha poteri illimitati. Ha diritto di esercitare il suo mandato, ovviamente, ma nel perimetro degli strumenti e dei poteri che ha, e soprattutto della Costituzione. Non esiste alcun potere dello Stato che ha un potere assoluto. Ogni potere dello Stato incontra un contro-potere, deve essere verificato, controllato. Non riconoscere questo è non riconoscere un elemento fondamentale. In questo vedo la distanza abnorme tra questo pezzo del Governo e noi giuristi, persone democratiche. Al di là della destra e sinistra, che conta fino a un certo punto in questo caso, è proprio questa non accettazione che ci siano regole del gioco che debbano essere condivise da tutti.

C’è dell’altro in questa di profonda divergenza, viene da dire quasi feroce?
CF Alla separazione dei poteri e al rispetto del giudiziario da parte dell’esecutivo, l’altra non accettazione è che ci siano dei diritti umani universali, mi colpisce proprio questo non voler accettare e riconoscere una conquista delle democrazie moderne. Ovvero che le persone nascono tutte uguali in relazione al godimento di quel “minimo” di diritti che la Comunità internazionale ha stabilito. Al non riconoscimento del fatto che ci siano persone che sono titolari di diritti universali, discende una politica che tende a non riconoscere il fatto che un diritto debba essere anche difeso, che si possa andare di fronte a un giudice se si è stranieri, che si possa avere il diritto di arrivare nel territorio per chiedere asilo. Tutto ciò dovrebbe essere patrimonio comune di tutti, a prescindere dall’orientamento politico.

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