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Giornalisti uccisi: nel 2019 l’America Latina è sempre più pericolosa
Secondo l’ultimo rapporto redatto dall’organizzazione Reporter senza frontiere, quest’anno nel mondo sono stati uccisi 49 giornalisti. È il dato più basso negli ultimi sedici anni. Tuttavia aumentano i cronisti incarcerati: sono stati 389, in particolare in Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Siria, Cina e Vietnam
La giornalista Norma Sarabia Garduza è stata assassinata fuori dalla porta della sua abitazione a Huimangillo, nello stato di Tabasco in Messico, il 12 giugno 2019. Si trovava in veranda, quando alcuni uomini a volto coperto hanno aperto il fuoco da una macchina in corsa e l’hanno uccisa. La reporter, 46enne, firmava gli articoli di Tabasco Hoy, giornale locale, da più di vent’anni. Aveva pubblicato un’inchiesta sul coinvolgimento delle forze di polizia cittadine in un rapimento e, nonostante le minacce ricevute, non era riuscita a ottenere alcuna forma di protezione. Sarabia Garduza figura nella lista dei giornalisti uccisi nel 2019, redatta da Reporter Senza Frontiere (Rsf). E non è la sola perché in Messico hanno perso la vita dieci professionisti dell’informazione. In totale, sono state 49 le vittime nel mondo. Come sottolineato dall’organizzazione non governativa con sede a Parigi, si tratta del dato più basso negli ultimi sedici anni. Solo nel 2018, erano morti 87 cronisti.
La riduzione delle cifre, spiega Rsf, è dovuta principalmente alla diminuzione dei giornalisti che hanno perso la vita in un conflitto armato. Le guerre in Siria, Iran, Yemen e Afghanistan hanno causato meno morti rispetto agli anni precedenti al punto che è necessario tornare indietro fino al 2003 per avere un numero così basso di decessi. Il 59 per cento delle vittime è stato registrato in Paesi che non stanno vivendo una guerra, aspetto che, mette in evidenza il rapporto, permette di affermare che i giornalisti sono stati uccisi in quanto target specifico. Almeno nel 63 per cento dei casi. Tra loro c’è Ahmed Hussein-Suale, giornalista investigativo del Ghana, colpito a morte il 17 gennaio 2019 mentre lavorava a un pezzo su un’organizzazione criminale locale. Stava rientrando nella sua abitazione di notte, quando è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco. C’è anche Mirza Waseem Baig, giornalista televisivo di 92 News TV channel, che ha perso la vita a Sarai Alamgir, 120 chilometri a Sud-Ovest di Islamabad in Pakistan, il 30 agosto 2019. Lavorava a un’inchiesta sui traffici di una gang locale.
“Il giornalismo continua a essere un mestiere pericoloso”, scrive Rsf. Perché, nonostante le vittime diminuiscano, non migliorano le condizioni di sicurezza per un professionista, anche se lavora in un Paese che è ufficialmente in pace. A ribadirlo è il direttore Christophe Deloire, che fa un esempio, sottolineando come “l’America Latina, con un totale di quattordici vittime, ormai sia diventata mortale quanto il Medio Oriente. Sempre più giornalisti vengono assassinati per il loro lavoro in Paesi democratici, cosa che rappresenta una sfida per la stessa democrazia”.
Nel 2019 è però aumentato il numero dei cronisti incarcerati: sono stati 389, il 12 per cento in più rispetto al 2018. Circa la metà è finito nelle prigioni di Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Siria, Cina e Vietnam. Oggi nelle carceri del Cairo e di Riad, si trovano più di 60 giornalisti. La maggior parte è detenuta senza essere sottoposta a un giusto processo o senza avere ricevuto un’accusa formale.
Raif Badawi è il blogger saudita inventore del forum “Liberi Liberali Sauditi”. Nel 2014 è stato arrestato con l’accusa di apostasia e si trova tuttora in carcere. Ha ricevuto cinquanta frustate e poi è stato chiuso in una cella. In Egitto la blogger e attivista Esraa Abdel Fattah è stata arrestata e torturata il 12 ottobre 2019. Stava documentando le proteste anti-governative nella capitale ed è stata portata in carcere con l’accusa di “diffondere notizie false” e di “essere parte di un gruppo terroristico”. Nel corso dell’interrogatorio, le hanno intimato di rivelare la password del suo cellulare. Si è rifiutata.
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