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Giorgio Beretta. Un Paese con il colpo in canna

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Giorgio Beretta, analista dell’osservatorio Opal, smaschera la retorica delle armi spiegando perché proprio quelle regolarmente detenute rendono meno sicura l’Italia

Tratto da Altreconomia 244 — Gennaio 2022

Giorgio Beretta nella vita fa “il mestiere delle armi”, ovvero analizza per l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia, il commercio di sistemi militari e di armi comuni in Italia e non solo. “Il Paese delle armi”, il suo libro in uscita per Altreconomia a gennaio 2022, sfata una congerie di credenze e miti sulle armi e mette l’accento in particolare su quelle “legali”, ovvero regolarmente detenute dalle persone per la loro “sicurezza” o per la pratica “sportiva”. Lo abbiamo intervistato.

Quali sono i motivi per un libro sulle armi in Italia?
GB C’è l’imbarazzo della scelta. Innanzitutto perché, nonostante sia un argomento che riguarda la sicurezza pubblica, cioè quella di ciascuno di noi, quello delle armi è uno dei settori meno trasparenti e che presenta diverse opacità. In Italia non solo mancano dati ufficiali sia sulle licenze di armi sia sulle armi regolarmente detenute, ma nemmeno sappiamo quanti siano gli omicidi, i femminicidi e i reati commessi con armi legalmente possedute. Una coltre di silenzio, se non di complice accettazione, avvolge tutto il settore alimentata dalla narrativa secondo cui l’Italia avrebbe le norme più restrittive sulle licenze per armi. Di fatto l’Italia è uno dei Paesi nell’Unione europea in cui è più facile non solo ottenere una licenza ma detenere un gran numero di armi. Tutto si basa sul certificato anamnestico, un’autocertificazione controfirmata dal medico di base, una visita all’Asl simile a quella per ottenere la patente di guida e un controllo della questura sui precedenti penali. Il libro entra nel dettaglio della questione.

Ma più armi -direbbe qualcuno- significa maggior sicurezza.
GB Assolutamente falso. Lo dimostra il caso degli Stati Uniti dove il “diritto alle armi”, garantito dal secondo emendamento della Costituzione, ha di fatto portato ad avere più armi che abitanti e, di conseguenza, oggi sono la nazione con il più alto tasso di omicidi per armi da fuoco tra i Paesi occidentali. Ma, limitandoci all’Italia, i dati che abbiamo a disposizione indicano l’esatto contrario: nell’ultimo triennio (2018-2020) a fronte di 63 omicidi di tipo mafioso e di 29 per furti o rapine ci sono stati almeno 108 omicidi commessi da persone con il porto d’armi. In altre parole, oggi in Italia è maggiore il rischio di essere uccisi da un legale detentore di armi che dalla mafia o da rapinatori. Una conferma viene dalla cronaca: nel recente caso di Ercolano, a fine ottobre 2021, un legale detentore di armi ha ucciso due giovani in auto scambiandoli per ladri.

© opalbrescia.org

Quali sono i principali miti che questo libro sfata?
GB Moltissimi. Uno dei più radicati è il presunto “allarme sicurezza”: le statistiche ufficiali -ignorate da una certa propaganda politica- dicono che gli omicidi sono calati dai 1.916 nel 1990 a 289 nel 2020, il numero più basso mai registrato dal Dopoguerra, con un tasso tra i più bassi in Europa. Sono diminuiti anche furti, rapine e omicidi per rapine (otto nel 2020, un altro minimo storico) cioè proprio quei reati, soprattutto le rapine in abitazione, che vengono utilizzati per giustificare e incentivare il possesso di armi. Il numero di omicidi familiari e soprattutto di femminicidi è invece invariato. Un recente rapporto del Senato rivela che nel biennio 2017-2018, il 16,1% dei femminicidi è stato commesso da persone in possesso di regolare licenza per armi.

Però un avvocato del diavolo direbbe che le armi sono un’eccellenza del “made in Italy” e un settore che “dà lavoro”.
GB Vero, ma anche qui c’è un altro mito da sfatare. Il fatturato per la produzione di armi e munizioni a uso comune, sportivo e per la caccia ammonta a non più di 700 milioni di euro l’anno. Una cifra che appare rilevante, ma che di fatto è molto modesta se consideriamo, ad esempio, l’esportazione italiana di prodotti di utensileria e ferramenta, che vale oltre 4 miliardi all’anno. L’occupazione del settore delle “armi comuni”, incluso il terziario non supera i 5mila addetti, 12mila se aggiungiamo anche le imprese di forniture generiche e settori ausiliari. Ma sono più di 31mila gli impiegati nella fabbricazione di schede e componenti elettronici. In altre parole ci sono diverse eccellenze del “Made in Italy” che non godono della stessa considerazione.

“Il Paese delle armi” (128 pagine, 14 euro) sarà disponibile dal 15 gennaio in libreria, nelle botteghe del commercio equo e solidale e online su altreconomia.it.


L’occhio attento di Opal sulle armi
L’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal) di Brescia, nato nel 2004, è un’associazione promossa da realtà dell’associazionismo bresciano e nazionale e da singoli aderenti. Ha l’obiettivo di diffondere la cultura della pace e offrire ai cittadini informazioni di carattere scientifico circa la produzione e il commercio delle “armi leggere”, approfondimenti sull’attività legislativa nel settore. Tra le molte battaglie e iniziative, convegni, pubblicazioni, Opal chiede al legislatore di rivedere le norme che regolamentano il porto d’armi nel nostro Paese e un censimento sulle armi in circolazione. L’associazione cura inoltre un database degli omicidi compiuti in Italia con armi legalmente detenute o da legali detentori di armi. È membro della Rete italiana pace e disarmo.

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