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Fuggire dalla banalizzazione della vita per rispondere all’appello del futuro

© Christopher Burns, unsplash

Tra i fattori che causano i disastri storici ce n’è uno che riguarda il cuore e l’anima delle persone. Il mondo non potrà essere guarito senza uscire dal labirinto della disperazione silenziosa e normalizzata. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 260 — Giugno 2023

Tra i fattori che causano i disastri storici ce n’è uno che riguarda il cuore e l’anima delle persone. Il mondo non potrà essere guarito senza uscire dal labirinto della disperazione silenziosa e normalizzata. Intendo l’estrema banalizzazione della vita. Hannah Arendt parlava della banalità della coscienza che si spegne di fronte al male. Ma la banalità ormai investe tutto il modo di vivere dei singoli e dei popoli.

Il passo essenziale per guarire da questo stato di immiserimento della vita sta nell’andare al cuore della realtà. Non è una questione organizzativa, tecnica o politica. E neppure “culturale”, come si dice quando non si sa in che modo risolvere un problema complesso. È una questione di senso dell’esistenza. Che cosa vale veramente? Con quale spirito viviamo ogni giorno? Gandhi diceva che gli occidentali al massimo coltivano la “spiritualità”, ma non conoscono lo spirito. Alludeva all’ignoranza rispetto a quella che è la nostra Fonte di luce, di energia, di respiro e di orientamento per vivere con giustizia e in pace insieme agli altri.

Sembra si tratti di una faccenda privata. Eppure la relazione con la nostra Fonte è decisiva perché dà forma all’umanità di ciascuno e ha effetti determinanti sulla vita della società. Consciamente o meno, nello stile di esistenza che seguiamo, rispondiamo al senso della vita di cui abbiamo idea o presentimento, anche quando crediamo che esso non esista. Esistere significa corrispondere alla nostra origine. Senza cura per questa relazione siamo come alberi senza radici. Così le masse dei globalizzati annegano nel nichilismo del capitalismo assoluto, altri si rifugiano nella religione devozionale, altri ancora si danno al fanatismo perseguitando donne, giovani e dissidenti. La famiglia appare incapace di accompagnare il cammino dell’anima delle persone. E spesso lo sono pure scuola e università, piegate a formare le skills per i soldatini del mercato.

Capita raramente di incontrare persone in ricerca e in dialogo, appassionate dell’essenziale per vivere. Intendo una ricerca che si sperimenti, oltre che nel sentire e nel pensare, nel modo di essere, di stare in relazione, di agire. Vedo per lo più individui avvolti nell’inessenziale, storditi dall’obbedienza al principio di prestazione, abituati solo a calcolare il proprio interesse. Incapsulati dentro sistemi organizzativi costruiti come macchine in costante accelerazione, essi diventano a loro volta una piccola macchina e hanno le uniche soddisfazioni nel funzionare bene. Resta davvero vivo e fecondo solo chi va al cuore della realtà cercando la comunione con tutti i viventi e con l’origine e il futuro del mondo.

Solo persone e comunità attente alla Fonte della loro capacità di bene potranno fuoriuscire da un modello necrofilo di società per promuovere una civiltà biofila. Quanti assumono la nonviolenza nella lotta per un’economia ecologica e per la democrazia devono trovare la disponibilità a lasciarsi ispirare da una vera Fonte, scoprendo poi che è la stessa a fondare il bene comune e, come diceva Gandhi, a impedire la distruzione del mondo. Non si tratta affatto di avere tutti una stessa visione, ma di riconoscere che le dinamiche essenziali dell’esistenza non dipendono mai dal potere o dalle nostre prestazioni, perché invece vanno vissute umanamente grazie alla sintonia con quella Fonte che ci illumina al di là di ogni divisione.

Come in negativo la rimozione delle questioni di senso e il fanatismo religioso o ideologico avvelenano la società, così in positivo il dialogo e la condivisione in tale ricerca non potranno che promuoverne la liberazione. La continua frustrazione di veder prevalere l’avidità, la prepotenza, la menzogna e la guerra può logorarci, convincendoci di essere impotenti. Eppure il primo luogo in cui si giocano le sorti dell’umanità e della vita del mondo è quello dove accade l’atto insondabile in cui la libertà di ognuno decide o di tirarsi indietro, o di fidarsi della vita e di rispondere all’appello del futuro.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “La terra che verrà. Percorsi di trasformazione etica dell’economia” (Ecra edizioni, 2023)

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