Economia / Opinioni
Il “pilastro” necessario per l’Europa sociale
Archiviare l’austerità è possibile, ma occorre un impegno forte delle istituzioni comunitarie. A partire dai diritti, dal lavoro e dal reddito
L’Unione europea è considerata da molti cittadini come sinonimo di politiche di austerità. I provvedimenti noti come Six Pack, Euro+ Pact, Fiscal Compact, Two Pack e i MoU (Memorandum of Understanding) hanno caratterizzato gli ultimi anni della vita politica comunitaria. Di certo, questi ultimi non erano provvedimenti pensati per il rilancio dell’Europa sociale che, dopo i “fasti” della fine degli anni 90 e primi anni 2000, sembrava piuttosto destinata ad un incontrastato declino. Nel settembre del 2015 qualcosa si è mosso. Nel discorso sullo Stato dell’Unione, il Presidente della Commissione europea Juncker ha suonato la (debole) carica: “[…] Voglio sviluppare un pilastro europeo dei diritti sociali, che tenga conto delle mutevoli realtà delle società europee”. Da marzo a dicembre del 2016 la Commissione ha svolto una consultazione che si è tradotta nell’organizzazione di oltre 60 eventi in varie località europee, a cui hanno partecipato circa 2.500 persone in rappresentanza di istituzioni e organizzazioni sociali. Inoltre, nei 27 Paesi membri si sono svolti altri eventi di presentazione delle proposte della Commissione europea ed è stato realizzato un questionario a cui hanno risposto, a titolo individuale o in rappresentanza di un’organizzazione sociale, circa 16.500 persone. Alla fine dell’aprile di quest’anno, è stata approvata una “comunicazione” della Commissione in cui si è dato conto della consultazione, in vista di un summit europeo che si terrà a Göteborg il 17 novembre prossimo.
16.500 organizzazioni sociali e cittadini europei hanno risposto all’appello della Commissione europea circa l’istituzione di un “pilastro dei diritti sociali”, chiedendo il rilancio della dimensione sociale europea
Ma in cosa dovrebbe consistere il “pilastro europeo dei diritti sociali”? È davvero un’opportunità per il (ri)lancio dell’Europa sociale dopo anni di austerità? Finora, il pilastro europeo si è tradotto in tre dimensioni generali identificate per misurare il progresso sociale: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro; mercati del lavoro dinamici e condizioni di lavoro eque; sostegno pubblico, protezione e inclusione sociale. Alle tre dimensioni sono associati dodici ambiti in cui -secondo la Commissione- è possibile monitorare i progressi sociali: istruzione, competenze e apprendimento permanente; parità di genere sul mercato del lavoro, ineguaglianza e mobilità ascendente; condizioni di vita e di povertà; giovani; struttura della forza lavoro; dinamica dei mercati del lavoro; reddito, compreso quello da lavoro; effetto delle politiche pubbliche sulla riduzione della povertà; cura della prima infanzia; sanità; accesso digitale. L’articolazione dei settori, che verrebbero monitorati nel tempo attraverso una serie di indicatori, sembra promettente, ma di certo non sembra costituire una svolta perché non sono previste specifiche politiche pubbliche europee per il raggiungimento di un “progresso” sociale in ambito europeo. Certo, il fatto che vi sia una “misurazione” delle tre dimensioni costituisce un passo avanti; tuttavia, per la costruzione di un’Europa sociale sarebbe necessario un investimento maggiore che si traducesse in politiche europee di reale tutela dei diritti del lavoro e sociali. Come ad esempio un reddito di ultima istanza a livello europeo o, perlomeno, un’indennità di disoccupazione europea che possa far percepire alle cittadine e ai cittadini europei la reale esistenza di una protezione messa in campo dalle istituzioni comunitarie. Senza specifiche misure di politica pubblica, il rischio che il “pilastro” diventi rapidamente un gigante dai piedi d’argilla è molto alto.
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Paolo Graziano insegna Scienza politica e Politica comparata all’Università di Padova. È nell’Osservatorio per la coesione e l’inclusione sociale
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