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Diritti / Opinioni

È il momento di rivedere il mandato di Frontex

© Grand Warszawski, depositphoto

Violazioni dei diritti dei migranti unite alla mancanza di trasparenza sono alcune tra le più gravi criticità dell’Agenzia. È ora di cambiare. La rubrica di Gianfranco Schiavone

Tratto da Altreconomia 249 — Giugno 2022

Il 28 aprile scorso il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, si è dimesso dopo la pubblicazione di un’accurata inchiesta condotta dal quotidiano francese Le Monde, dall’organizzazione Lighthouse reports, dal settimanale tedesco Der Spiegel e dalle testate svizzere Srf e Republik. Tra marzo 2020 e settembre 2021 (nello stesso periodo nel quale in Italia si attuavano le riammissioni illegali al confine terrestre con la Slovenia) alle frontiere marittime tra Grecia e Turchia Frontex coordinava 222 operazioni catalogate dall’Agenzia come “prevenzione di partenze” (termine in sé alquanto singolare).

In realtà si sarebbe trattato di respingimenti illegali in mare a causa dei quali almeno 957 persone sono state ritrovate alla deriva, su gommoni di salvataggio senza motore. Già nella “Relazione sull’indagine conoscitiva su Frontex relativa alle presunte violazioni dei diritti fondamentali” presentata il 15 luglio 2021 dal Frontex scrutiny working group guidato dalla commissione Libe del Parlamento europeo si dà atto che, pur non essendoci prove sufficienti a dimostrare che Frontex abbia direttamente eseguito respingimenti alle frontiere, è indubbio che l’Agenzia fosse a conoscenza di chiare violazioni dei diritti umani e non avesse agito per impedirle.

Anche considerata la difficoltà di reperire prove certe in condizioni di totale squilibrio tra le parti, dai contenuti della relazione del Parlamento europeo è possibile trarre almeno due conclusioni importanti: da un lato viene confermata l’esistenza di condotte illegali da parte dagli Stati Ue (sulle quali si indagherà?) concretizzatesi nella violazione del divieto di non refoulement; dall’altro emerge l’esistenza di una fitta rete di silenzi e complicità tra gli Stati e l’Agenzia.

La Grecia non è stata certo l’unica situazione in cui ciò è avvenuto giacché, fin dall’anno della sua istituzione, il 2004, Frontex ha tessuto una rete di accordi con molti Stati dell’Unione per il controllo dei confini terrestri e di quello marittimo verso la Libia, affiancando gli Stati nella gestione delle frontiere esterne (e in alcuni casi anche interne) con i propri mezzi (754 milioni di euro il budget previsto per il 2022) e con il proprio personale, cresciuto esponenzialmente nel tempo fino a giungere a cinquemila agenti nel 2022. Ben diversamente da quanto prevede il diritto dell’Unione che coniuga, seppure con qualche carenza, il controllo sugli attraversamenti delle frontiere con il rispetto dei diritti fondamentali e in particolare con il diritto d’asilo, l’azione di Frontex si è invece sempre più caratterizzata per ignorare l’esistenza di tali diritti a favore di un’azione di supporto a respingimenti collettivi e sistematici.

754 milioni di euro: a tanto ammonta il budget previsto per il 2022 per l’agenzia Frontex

Che cosa ci insegna la cupa vicenda di questa Agenzia? In primo luogo che nelle istituzioni Ue mancano meccanismi di controllo interni connotati da un adeguato livello di efficacia; in secondo luogo che il Parlamento europeo non è messo in grado di esercitare un proprio autonomo ma efficace ruolo di controllo e quel poco che emerge avviene solo per la meritoria opera di singoli deputati. In terzo luogo è emersa la radicale mancanza di trasparenza dell’azione dell’Agenzia tanto che nella citata relazione del Parlamento viene usata l’espressione “cultura delle segretezza”.

Oggi cade la sola testa del direttore Leggeri per evitare a qualcuno guai peggiori ma sarebbe ridicola ingenuità ritenere che troppi non sapessero tutto, da sempre. Frontex non è una scheggia impazzita ma un ente che svolge da anni un ruolo cruciale per implementare le mortali politiche dell’Ue, come ben spiegato nel libro “Respinti” di Duccio Facchini e Luca Rondi (Altreconomia). Molte voci autorevoli chiedono la chiusura dell’Agenzia ma è arduo che ciò avvenga, sicuramente per chiare ragioni di potere ma anche perché è difficile ipotizzare che all’Unione non serva un ente che supporti gli Stati nella sorveglianza delle frontiere esterne. L’obiettivo da perseguire dunque non è la sua chiusura ma il netto ridimensionamento di un ente divenuto ipertrofico e la revisione in profondità del suo mandato e delle sue funzioni, insieme alla definizione di efficaci meccanismi di controllo interni ed esterni sul suo operato, considerato che le azioni di una tale Agenzia hanno una immediata ricaduta nel campo dei diritti fondamentali che né Frontex né i singoli Stati possono mai violare. 

Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste

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